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    שמע ישראל
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    Predefinito Una vita straordinariamente normale

    Il passaggio
    Maria Di Lorenzo
    ----------------------------------------
    Ci sono degli uomini che sembrano passare silenziosi sulla terra e scivolare inavvertitamente nell’oblio il giorno in cui reclinano il capo, come la corolla sul gambo di un fiore, a una brezza sconosciuta e maligna. Non ne parla la tv, non ne parlano i giornali, qualcuno si ricorderà di loro un giorno? Eppure essi non vennero inutilmente, il loro passaggio sulla terra non fu vano.
    Così è stato per un medico missionario di soli trent’anni che si chiamava Lido Rossi e che morì un caldo giorno d’estate di cinquanta anni fa, in Africa. Appena due anni prima era arrivato nella Missione di Stegi, un piccolo ospedale dello Swaziland, dopo una lunga ed avventurosa traversata sulla motonave Africa che lo aveva portato verso il continente nero. Verso il suo destino, la sua vocazione di stare sempre accanto ai poveri, di curare gli ammalati, che in Africa sono i più poveri dei poveri.
    Non era solo in quella traversata. Accanto a sé aveva la giovane moglie Elena, sposata appena quattro mesi prima, con cui era partito dal porto di Venezia, alla vigilia della grande festa dell’Immacolata Concezione, in una giornata fredda e brumosa di dicembre del 1956.
    Lido Rossi era nato nel 1928 a Rosignano, in provincia di Livorno, da una famiglia modesta. Il padre era un operaio della Solvay. Rimasto presto orfano, egli che era l’unico figlio fu avviato con grandi sacrifici agli studi dalla mamma Leda, una donna semplice ma di grande fede.
    Dotato di una natura fortemente sensibile, Lido visse un’adolescenza piuttosto malinconica e solitaria, duramente segnata dall’assenza del padre. Aveva una spiccata predisposizione per la letteratura, ma all’università scelse la facoltà di medicina. Voleva essere un medico, e in particolare un medico missionario.
    Lido era un ragazzo esuberante, gli piaceva nuotare e fare lunghe camminate all’aria aperta. Iscritto alla FUCI, nel circolo universitario aveva intravisto una ragazza di nome Elena Falleni di cui si era innamorato. “Tutt’e due – scriveva - amiamo la poesia della vita”. E così il 2 gennaio del 1953 si fidanzarono, per sposarsi tre anni dopo, conseguita la laurea in medicina e assolto l’obbligo di leva. Elena era laureata in lettere e insegnava con grande passione, ma soprattutto comprendeva alla perfezione i sogni e i desideri che si agitavano nel suo cuore, “l’unica – come diceva lui - che legge il Braille delle mie cieche malinconie”.
    Il neodottore Lido Rossi aveva una preparazione scientifica di primo ordine, era capace e intelligente, tanto che gli avevano suggerito di optare per la carriera universitaria, ma lui non era diventato un medico per salire sulla cattedra. Al contrario, lui voleva scendere, per poter servire i fratelli bisognosi e sofferenti. “Fin da quando mi iscrissi a medicina – aveva confidato a un amico - , ebbi sempre in mente di essere medico missionario”.
    Nel febbraio del 1956 Lido scrive una lettera al CUAMM (Collegio Universitario Aspiranti e Medici Missionari), nato in seno alla diocesi di Padova nel 1950 per accogliere e preparare studenti di medicina italiani ed esteri desiderosi di spendersi per le popolazioni in via di sviluppo. Proprio in quei giorni era giunta al CUAMM la richiesta di un medico per l’ospedale missionario di Stegi, nell’Africa del sud. Così il giovane dottore livornese e la sua giovane sposa erano partiti per lo Swaziland, dove li attendeva una casetta tutta bianca nei pressi dell’ospedale della missione e due anni scarsi di intenso e gioioso servizio con i fratelli poveri dell’Africa nera: “una cosa bella come un sogno – la definiva Lido - basta avere fede e coraggio”.
    “Non è bisogno di avventura – spiegava lui nelle lettere agli amici - , ma bisogno di fare del bene in una maniera difficile…”. E ancora: “Io, ogni giorno che passa, mi sento sempre più docile alla volontà di Dio e sento la pace nell’anima perché questa è la mia strada”.
    In Africa, d’accordo con la moglie Elena, ci sarebbe rimasto tutta la vita, ma evidentemente i disegni di Dio erano diversi. Nell’estate del 1958 cominciò ad avvertire una “stanchezza tremenda”, ma non se ne curò. Una nefrite maligna, fulminea e senza scampo, lo conduceva alla morte il 16 agosto 1958.
    Una vita di eroismo, la sua? Sì, certo, eppure una vita straordinariamente normale. Che può insegnarci qualcosa, che può parlarci ancora. Ci sono degli uomini che non passano invano sulla terra.
    http://www.inpurissimoazzurro.org/giugno_2008.htm


  2. #2
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    Molto bello, grazie

  3. #3
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