Originariamente Scritto da
Giò91
Una destra gotica e guelfa
L'ultimo libro di Tremonti descrive la crisi come farebbero Ruffolo o Reichlin. Ma quando indica la terapia va incontro a De Maistre
L'ultimo libro di Giulio Tremonti ('La paura e la speranza' editore Garzanti) è nelle librerie da pochi giorni ma è già diventato oggetto di
pubbliche presentazioni e di private discussioni. L'autore stesso è molto attivo nel promuoverlo, al punto che i suoi detrattori non hanno mancato di far circolare la battuta di un ex ministro del Tesoro che tenta di riciclarsi come intellettuale in attesa di riprendere la carica perduta due anni fa se le urne elettorali saranno benevole con lui e con i suoi amici politici.
Mi astengo dal far mia quella battuta. Tremonti ha dimestichezza con le idee, spesso le maneggia come un giocoliere. Soprattutto è molto attento all'importanza del
'senso comune', allo
'spirito dei tempi' cui attribuisce un peso oggettivo assai forte.
Secondo me un intellettuale dovrebbe contrastare il senso comune e non assumerlo come canone cui ispirare i propri pensieri. E qui vedo una prima contraddizione che emerge da queste pagine: l'autore usa a piene mani il senso comune per
diagnosticare il male che secondo lui corrode l'Europa e la cultura occidentale, ma la sua ricetta terapeutica per vincere quel male contrasta il senso comune in modo radicale. Disegna infatti una
civiltà gotica, obbediente al dio medievale, alla 'Kultur' della legge e dell'ordine, della terra e del sangue, della famiglia e della comunità, in contrasto con la modernità secolarizzata, con il pluralismo e il relativismo delle verità.
C'è da aggiungere che il Tremonti uomo politico torna invece ad ispirarsi al senso comune: gli chiedevano meno tasse e lui se la cavò con i condoni, con l'aumento della spesa pubblica, con l'aumento del debito (palese e occulto). Ma questo è un altro discorso e non c'entra con le pagine del libro. Il quale è nettamente diviso nelle due parti preannunciate dal titolo,
la paura (diagnosi della crisi) e la speranza (terapia per uscirne).
La prima parte stupisce per chi credeva di conoscere Tremonti giudicandolo dalla sua biografia professionale e politica. Un esperto nella conoscenza del fisco e dei modi per difendersene, un uomo politico di destra con marcate simpatie leghiste. Sedotto da Berlusconi e dalla sua capacità di sciamano e di venditore. Sicuro come pochi di possedere la verità in esclusiva.
Quest'ultimo tratto del suo carattere emerge riconfermato e ampliato nelle pagine del libro, soprattutto nello stile, quanto mai apodittico, assertivo, dilemmatico, icastico. Bisognerebbe stare attenti a non esagerare con quel tipo di stile; usato con parsimonia ha una sua efficacia, ma usato a piene mani diventa stucchevole e ripetitivo.
Nella prima pagina del libro per esempio l'autore dice che "siamo passati da Marx al marketing". È vero ed è ben detto con una battuta che descrive in tre parole una trasformazione epocale. Ma di battute, di dilemmi, di assiomi ce ne sono almeno una decina per pagina (non esagero). Non lascia spazio al lettore di riflettere, lo inchioda, lo stringe con le spalle al muro, lo obbliga a rincorse che tolgono il fiato. Insomma lo manipola per averlo alla fine esanime e domato nelle sue mani. Questo non va bene, l'eccesso di bravura va a detrimento della credibilità e dello spessore dei pensieri.
Ma dove nasce lo stupore del lettore? Dal fatto di scoprire, nella prima parte del libro, un Tremonti di sinistra.
Contro il 'mercatismo'. Contro la globalizzazione. Contro le multinazionali. Contro il consumismo. Contro l'asservimento della pubblica opinione alle manipolazioni tecnologiche. Contro le disuguaglianze. Contro i veleni che deturpano l'ambiente e devastano il paesaggio. Contro il mito del Pil.
Beninteso, l'autore imputa alla sinistra la mostruosità del regime staliniano e conduce una serrata arringa contro gli intellettuali che imbonirono le masse con ilmito del paradiso comunista in terra. Ma per tutto il resto - in questa parte del suo scritto - la sua diagnosi non è lontana da quella che potrebbero fare un Giorgio Ruffolo o un Alfredo Reichlin e, con loro, anche molti liberali di sinistra tra i quali mi ascrivo. Non a caso l'autore esprime ammirazione per il Partito d'azione che commise però un
(28 marzo 2008)
fonte:
http://espresso.repubblica.it/dettag...lfa/2009608/18