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Risultati da 1 a 4 di 4

Discussione: Emergenza ingiustizia

  1. #1
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    Predefinito Emergenza ingiustizia

    Chiedetelo ai beoti di Piazza Navona, chiedetelo ai centinaia di sottovuoto-spinto che ieri erano indecisi se ascoltare Beppe Grillo o fare lo struscio in corso Vittorio: di quale giustizia dovremmo parlare?
    Di quella evocata dal pitecantropo molisano che associa un governo democratico a «magnaccia» e «stile mafioso» e «stuprare i bambini»?
    O quella di un pluriomicida, Michelangelo D'Agostino, che i bambini intanto li sorvegliava in un parco giochi?
    Dopo che aveva già ammazzato quindici persone?
    Dopo che aveva già preso un bambino in ostaggio?
    Qual è il problema della giustizia in Italia?
    Il Lodo Alfano? Quel pateracchio inesistente che è il processo Mills, che finirà in niente come sanno tutti? La Carfagna? La moglie di Willer Bordon?
    Sono gli scatti professionali dei magistrati, il problema?
    Loro sfilano, giocano con le bandierine, si trincerano nel nulla internettiano come alternativa alla Playstation, incassano grano da libri e dvd: chissà quanti di loro parleranno di Michelangelo D'Agostino, oggi.
    Chissà quanti chiederanno conto all'intoccabile terzo potere italiano di un signore di 53 anni che è stato libero di ammazzare un'altra volta dopo averne spazzati via 15.
    Bella la vita del pirlacchione che manifesta a piazza Navona.
    E bella la vita dei Michelangelo D'Agostino, una vita al massimo.

    Non è lui il problema. È già un camorrista, nell'aprile 1983, e in un conflitto a fuoco coi carabinieri viene beccato: finisce dentro.
    Non è un problema. Era già un killer, faceva parte della Nuova Camorra Organizzata e nel 1985 si accodò alla messe di pentiti che dal nulla accusarono Enzo Tortora di essere uno di loro, un infame: disse che il giornalista faceva parte del clan di Cutolo e contribuì sensibilmente a farlo condannare in primo grado: «Ho firmato i verbali senza leggerli, speravo in qualche beneficio», dirà anni dopo.
    Torna in galera, ma nel 1997 ecco la semilibertà. In fondo era uno che aveva semplicemente detto ai magistrati che «uccidere è quasi un gioco, ho cominciato per caso, poi ci ho preso gusto e ho continuato. Prendevo a calci i cadaveri; baciavo la pistola sporca di sangue».
    In libertà.
    Esce e subito due rapine, «spatascia» un'auto contro un semaforo, sequestra una madre col figlioletto in carrozzina; cede alle forze dell'ordine solo dopo essersi preso due proiettili in corpo.
    Passa un po' di tempo ed eccoti un'altra licenza premio (premio di che?) che lui utilizza immediatamente per rapinare un bar e fottersi 4.000 euro: per quel che sappiamo.
    Poi, essendo palesemente una persona seria e affidabile, nell'aprile scorso ottiene una bella licenza lavorativa e lascia il carcere Calstelfranco Emilia, vicino a Modena, e se ne va a Pescara improvvisandosi guardiano del parco giochi Villa De Riseis, dove pure dorme e fa lavoretti vari.
    Era un lavoro regolare? No. Aveva un contratto? No: la cooperativa che gestisce il parco lo lasciava fare al pari dei Servizi sociali cittadini.
    È passato anche dalla Caritas: «Ma dalla magistratura», ha detto il direttore don Marco Pagnillo al Corriere della Sera, «non ho mai ricevuto nessuna disposizione».
    Non lo controllava. E nessuno, invero, aveva ricevuto mai nessuna comunicazione da nessuno.
    Si sono limitati ad allontanarlo anche dalla Caritas, perché non stava alle regole.
    Tra due settimane avrebbe dovuto tornare in carcere, ma probabilmente non ci pensava nemmeno.
    Ed ecco dunque che lui, un uomo che aveva compiuto oltretutto quindici omicidi in tre mesi, domenica scorsa decide di emanciparsi dalla sua «licenza trattamentale» e, dopo una lite da niente, spara in testa e all'addome di Mario Pagliaro, 64 anni, moglie e figli, trucidato tra le mamme e i bambini.
    Avevano litigato, sapete.
    È rimasto libero fino a ieri pomeriggio e ha vagato tranquillo per il nostro Paese, armato.
    E non una parola: silenzio da un mondo politico e giornalistico tutto concentrato su una banda di cialtroni intenti a spiegare come il problema, tra questo porco assassino e Silvio Berlusconi, sia il secondo.
    Perché è ancora libero.

    Filippo Facci www.ilgiornale.it del 9 07 08

    saluti

  2. #2
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  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da Dottor Zoidberg Visualizza Messaggio
    quoto (drammaticamente) al 100%
    ---------------------
    Chiedo scusa: ho scordato di avvisare chi vuol leggere di indossare prima la maschera anti-rifiuti.

    saluti

  4. #4
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    Predefinito I tribunali dei...

    ...fanulloni

    nostro inviato a Orvieto (Terni)

    L’aula d’udienza sembra un teatrino d’epoca o un’antica farmacia trasformata in museo. Alle 13 di un giorno qualunque le sedie sono vuote. Immobili. Silenziosissime.
    «In questo locale - sussurra premuroso l’impiegato - si celebrano i processi un paio di volte alla settimana». La porta a vetri sigilla di nuovo quell’ambiente rarefatto come una teca, si attraversa un cortiletto, con vista sui panni stesi in alto alle finestre, e si raggiunge l’edificio principale del «Tribunale condominiale», costretto a dividere gli spazi con un grappolo di famiglie asserragliate all’ultimo piano.
    Avvocati, impiegati, testimoni, imputati: stanno tutti in un fazzoletto, un saloncino formato foyer. Non ci sono gli spazi smisurati, le prospettive dechirichiane e le sciatterie che si registrano quotidianamente a Milano e Roma.
    Qua, il più piccolo tribunale della penisola - spalla a spalla con quello di Mistretta in Sicilia - è un specchio che riflette ordine, gusto ed efficienza.
    Gli scaffali alle pareti sono ordinati, le segretarie gentili, perfino gli imputati sorridono. Sembrano tutti sul punto di accomodarsi ai tavoli per una cena conviviale, invece di quando in quando il cancelliere si affaccia alla porta e chiama i processi che vanno avanti a rullo compressore nella grande aula.

    Il pubblico ministero multiuso Flaminio Monteleone esce un istante: «È da 6 ore che discuto processi. Droga. Furti. Esportazione clandestina di quadri». Monteleone afferra i pantaloni che ballano vistosamente:
    «Per sette-otto mesi fino a maggio sono stato solo in questa città. Ero di turno 24 ore su 24, compresa la domenica, Natale, Pasqua e tutte le feste comandate. Pregavo che non succedesse niente e mi è andata bene». Neanche un omicidio. Ma lo scoppio di una fabbrica con tre morti, le rapine sull’Autostrada del sole, l’arresto di Fabrizio Corona, i rifiuti di Napoli in discarica.
    Certo, i numeri sono quelli che sono: il tribunale - secondo i dati del Csm aggiornati al 23 ottobre 2006- offre giustizia a 55.594 utenti. L’equivalente di un quartiere di Milano o della capitale.
    Al 23 ottobre 2006 i procedimenti penali pendenti, come dicono gli esperti, erano solo 312 - contro i 343 di Mistretta - quelli sopravvenuti, insomma i fascicoli nuovi, 331 - contro i 341 di Mistretta.
    Ha senso per lo Stato tenere aperto un presidio dalle misure lillipuziane?
    I giudici sono cinque come le dita di una mano, ma la pianta organica ne prevede sei. E per sopravvivere e non perdersi nel labirinto delle incompatibilità, il presidente Edoardo Cofano, un signore dai modi garbati e dal polso di ferro, ha inventato una sorta di meccanismo a incastri che funziona a meraviglia: «Un giudice del civile fa il gip, un altro il gup e un altro ancora scrive le sentenze collegiali».
    Tradotto in italiano: tutti fanno tutto.
    Nel 2007 le sentenze civili sono state 224, senza contare i provvedimenti del lavoro, affidati alla quinta toga.
    «Sono cinquanta-sessanta a testa, un numero contenuto - spiega Cofano - perché si ritiene che un giudice del civile possa scrivere almeno un centinaio di provvedimenti l’anno, ma naturalmente dobbiamo tenere conto della realtà di qui».

    Meticcia.
    «Quest’anno comunque faremo di meglio - aggiunge con un pizzico di orgoglio - perché nei primi sei mesi del 2008 abbiamo prodotto 172 sentenze contro le 102 dell’anno scorso».
    Nel penale, invece, i verdetti arrivati nel 2007 sono stati 269, quasi tutti monocratici. «Qui - riprende Cofano - le inchieste si fanno in pochi mesi, i processi in un paio d’anni, la prescrizione e l’arretrato non sappiamo cosa siano. Certo, se il Tribunale di Orvieto scomparisse o diventasse una sede staccata di quello di Terni, lo Stato risparmierebbe, ma i calcoli esatti sono difficili».
    Il Procuratore Francesco Novarese, arrivato pochi giorni fa dalla Cassazione a rompere l’isolamento di Monteleone, la prende da lontano:
    «In Italia bisogna riformare il processo: nullità, notifiche, competenza. E va sfoltito il catalogo dei reati. A quel punto si potrebbe anche ridisegnare la mappa delle circoscrizioni».
    Sempre sotto esame, sempre intoccabili. E magari abolire quei piccoli tribunali la cui sopravvivenza è perorata da almeno trent’anni da uno stuolo di deputati, avvocati, autorità varie.
    «Il bacino ideale è quello compreso fra i 250 e i 500mila abitanti». Dunque, secondo Novarese si dovrebbe dividere in quattro Milano e cancellare con un tratto di penna Orvieto, Tortona o Tolmezzo. «Ma per l’economia della nostra città - spiega il presidente dei 114 avvocati Sergio Finetti - sarebbe una mazzata. Pensi solo ai consulenti del tribunale».
    Così, le forbici s’impugnano ai convegni. Poi tornano in un cassetto.

    S. Zurlo www.ilgiornale.it del 12 07 08

    saluti

 

 

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