Lo stato attuale

L’economia odierna si trova ora in uno stato di stagnazione inflazionistica (stagflazione), e negli ultimi anni è passata da una bolla all’altra: prima le azioni del settore hi-tech, poi il settore immobiliare, poi le materie prime (tutte, non solo il petrolio e il grano: oro, argento, rame…).

Come se non bastasse, i sistemi bancario e finanziario mostrano una grave fragilità sistemica, come si è visto con la crisi sub-prime nel 2007, tanto che si può dire che tali istituzioni non potrebbero sopravvivere senza i continui interventi delle banche centrali. Interventi che, però, si sono rivelati già da diversi anni del tutto inadeguati per fare uscire l’economia dalla stagnazione, e hanno provocato soprattutto inflazione e bolle speculative.

Uno dei problemi maggiori è che il dibattito su un tema estremamente complesso come questo è guidato da persone che spesso non hanno interesse, e in genere neanche la capacità, di produrre buone analisi, come i politici e i giornalisti. Idem, ovviamente, per me.

Un problema altrettanto importante è che non c’è quasi nulla nella teoria economica contemporanea che ci dica qualcosa di utile su ciò che sta accadendo. In questo articolo metto assieme un po’ di banali affermazioni di teoria economica, grazie alle quali qualcosa degli eventi degli ultimi anni potrebbe diventare più chiaro. La mia intenzione è di evitare i temi più specificamente austriaci e limitarmi a ciò che è palesemente ovvio.

Miseria della macroeconomia


Comprendere i fenomeni degli ultimi è complicato, e la mia impressione è che non ci sia granché nei libri di testo di economia che permetta di spiegare questi fenomeni: leggere un manuale di macroeconomia e leggere giornali come l’Economist sembrano due attività abbastanza scollegate tra loro.

In fisica, se le equazioni del campo elettromagnetico (le equazioni di Maxwell) fossero inadeguate a spiegare il funzionamento delle antenne dei cellulari, ci si renderebbe subito conto del problema: non così in economia, perché il mondo economico è troppo complesso: non sono possibili esperimenti, ogni evento può avere una molteplicità di cause, non esistono relazioni quantitative stabili, la maggior parte delle informazioni rilevanti è ignota. Di “spiegazioni” ce ne sono sempre troppe: ognuno ha le sue, e non esiste in genere alcun experimentum crucis in grado di eliminare quelle sbagliate.

La teoria macroeconomica è costantemente e coerentemente in ritardo sugli eventi: ogni nuova crisi economica provoca una rivoluzione del pensiero economico. La crisi del ’29 fece notare che le vecchie analisi di lungo periodo dei “classici” non erano soddisfacenti per spiegare alcuni importanti fenomeni economici: shockati dall’esperienza, gli economisti decisero di buttare a mare l’intera teoria economica e adottare le indifendibili teorie di Keynes (nel dopoguerra cercarono di recuperare qualcosa dalle macerie, con la “sintesi neoclassica”). La crisi del ’73 distrusse le certezze keynesiane, aprendo le porte al monetarismo e alle rational expectations. La crisi odierna dovrebbe mostrare la totale inutilità delle teorie del real business cycle, ma anche l’inadeguatezza del paradigma dominante, quello neo-keynesiano, che, nonostante il nome, non ha molto di keynesiano, a parte l’introduzione di qualche frizione nel modello neoclassico: è una razionalizzazione ex post delle politiche economiche keynesiane, ma senza elementi teorici keynesiani, che del resto avrebbero reso totalmente indifendibile il tutto.

Non so cosa succederà in futuro, ma l’alternativa austriaca era già disponibile nel ’29, nel ’73, e ora: più o meno uguale, visto che di evoluzione, purtroppo, se n’è vista poca, anche per alcuni problemi di sociologia della scienza interna alla Scuola, da decenni troppo interessata a temi politici e ideologici e all’ortodossia dottrinale. Probabilmente un'ottima idea è partire dagli studi del più interessante austriaco vivente, lo spagnolo Huerta de Soto, e il suo monografico "Money, bank credit and economic cycles". In ogni caso, nel prossimo articolo farò molto di meno... quello che dirò probabilmente può essere condiviso anche senza accettare (perlomeno in toto) le teorie austriache.

Combinando un po’ di pezzi

E’ giunta l’ora di mettere assieme un po’ di pezzi sparsi. Tutti, tranne i punto 10, 11 e 12, ancora da pubblicare, mi sembrano ovvi, per non dire banali. Questi richiedono infatti un po’ di economia austriaca, mentre gli altri fondamentalmente possono essere compresi senza troppi riferimenti alle teorie di Mises e soci. Anche il punto 4 è forse un po’ austriaco, ma in realtà si tratta dell’effetto Wicksell sugli interessi (Wicksell scrisse le sue opere basandosi sul lavoro di Boehm-Bawerk), che mi sembra del tutto ovvio.

1. L’inflazione è un fenomeno monetario

Il prezzo di una merce è la quantità di moneta che serve per comprarla. L’aumento della quantità di moneta a parità di merci da comprare tende a far aumentare i prezzi. La cosa è resa meno che automatica da una serie di fattori, che vedremo dopo, ma in prima approssimazione è vera.

Se sapete questo, potete smettere di stupirvi del fatto che i prezzi stiano aumentando: la quantità di moneta aumenta in continuazione, anche in euro. La vera domanda è perché i prezzi aumentano così poco: il tasso di espansione dell’offerta di moneta è maggiore del tasso di crescita economica reale e del tasso di inflazione. Una spiegazione sono che le bolle spesso non vanno nel paniere Istat: azioni e case possono aumentare di prezzo senza influenzare il costo della spesa; un'altra è che gli investimenti, stimolati dalla politica monetaria, richiedono moneta, che però non viene spesa in beni di consumo, ma in beni da investimento, appunto.

2. L’inflazione dei prezzi non è omogenea né istantanea

Il motivo della stranezza del punto 1 è che l’inflazione dei prezzi non è un fenomeno omogeneo: la politica monetaria influenza i prezzi relativi. La moneta infatti viene iniettata nel sistema economico attraverso i prestiti delle banche commerciali, e quindi entra sotto forma di credito, e viene spesa inizialmente per investimenti. Soltanto successivamente la moneta iniettata verrà spesa anche per i beni di consumo: per questo motivo, l’inflazione dei prezzi sarà quasi sempre in ritardo rispetto all’inflazione monetaria. Il quasi è legato al fatto che ci può essere un'inflazione "speculativa" legata alla riduzione della domanda di moneta in relazione ad aspettative di svalutazioni future della moneta: è la meccanica dell'iperinflazione, e al momento non è il nostro caso.

Per motivi che vedremo meglio in seguito, i beni capitali, e in genere quindi anche le materie prime, oltre ai valori degli asset finanziari, aumentano di prezzo prima dei beni di consumo; e i prezzi delle case prima degli affitti delle case stesse.

3. L’espansione monetaria agisce sull’interesse

Il canale di trasmissione dalla politica monetaria all’economia reale di cui ci occupiamo è l’effetto Wicksell, un caso particolare dell’effetto Cantillon.

Chi stampa moneta genera inflazione: ma siccome l’inflazione è un processo sequenziale, chi spende moneta per primo comprerà più merci, mentre chi spenderà la moneta per ultimo ne potrà comprare di meno: questo è il modo in cui i falsari guadagnano soldi, e, tra l’altro, è anche l’origine del signoraggio dello stato (almeno quello originario, quello moderno è più complicato). Questo effetto redistributivo legato ai ritardi nell’aggiustamento dei prezzi si chiama effetto Cantillon.

Quando l’effetto Cantillon agisce trasferendo risorse dai consumatori agli investitori, si parla di effetto Wicksell. Questo effetto è legato al fatto che l’iniezione di moneta avviene nel mercato del credito, e quindi questa viene prima spesa per gli investimenti, e soltanto successivamente per i consumi. Questo trasferimento fa sì che gli investimenti possano aumentare, come se i risparmi disponibili fossero di più: il che equivale ad un abbassamento del tasso di interesse.

Se il tasso di interesse si abbassa, i beni di produzione sensibili all’interesse si apprezzeranno rispetto agli altri. Così, i beni capitali si rivaluteranno rispetto ai beni di consumo, e i titoli finanziari si apprezzeranno con loro. Le case sono sicuramente un bene sensibile all’interesse: un flusso di affitti di 10,000€ l’anno con tasso di interesse al 5% vale 200,000€, mentre al 3% vale 330,000€.

4. La politica monetaria genera disequilibrio intertemporale

In condizioni normali, senza effetto Wicksell, si investe ciò che si è risparmiato: si impiegano risorse non consumate per mantenere o accrescere la struttura del capitale. La politica monetaria rende impossibile questo equilibrio: togliendo risorse ai consumatori, aumenta fittiziamente i risparmi, e quindi gli investimenti. Ma queste risorse non sono tolte ai consumatori una volta per tutte, ma solo finché dura l’effetto Wicksell: quindi per mantenere una struttura produttiva insostenibile non basta un’iniezione di credito una tantum, ma occorre premere l’acceleratore sull’offerta di moneta per sempre, allontanando sempre di più l’equilibrio tra risparmi e investimenti.

Di fatto, si sostituisce alla libera scelta dei risparmiatori la decisione arbitraria delle autorità monetarie.

5. L’interventismo monetario provoca aspettative inflazionistiche

Per risolvere la crisi subprime, le banche centrali hanno iniettato tonnellate di liquidità nel sistema economico, per sfruttare l’effetto Wicksell e far riprendere l’economia. La cosa non è servita a molto, però ha provocato inflazione. Su questo punto mi hanno recentemente ripreso: in realtà la BCE non ha iniettato liquidità, ma concesso crediti di medio termine sul mercato monetario indebitandosi sul mercato overnight (debiti a un giorno), quindi di fatto accollandosi tutto il rischio di liquidità delle banche europee e trasformando crediti di 24h in crediti di una settimana, un mese, o un semestre: poco cambia. La BCE ha fornito credito alle istituzioni bancarie, in ogni caso.

Aspettative inflazionistiche derivano da due cose: la prima è che se la politica monetaria non è efficace, ci saranno meno beni da comprare. Ma l’aspetto fondamentale è che le banche centrali hanno di fatto mostrato che faranno di tutto per “salvare” l’economia, e quindi continueranno a stampare soldi finché la situazione non si normalizza, cosa che potrebbe richiedere ancora molti anni, e necessariamente passerà per una recessione. Più probabilmente, le politiche monetarie continueranno ad essere espansive, quindi ci sarà inflazione. E l’efficacia della politica monetaria è al momento molto ridotta, quindi ci sarà stagflazione.

6. L’interventismo monetario provoca moral hazard

Se le banche vengono sempre salvate dall’intervento monetario delle banche centrali, se le aziende possono indebitarsi confidando che ogni problema sistemico verrà affrontato a spese della collettività (generando inflazione), se i privati sanno che possono indebitarsi perché tanto i loro mutui diventeranno a lunghezza variabile o saranno scontati… si incentivano comportamenti irresponsabili.
Questo si chiama moral hazard: un aumento del rischio sistemico legato alla diffusa, e giustificata, percezione che il rischio non è un costo, tranne quando si è troppo piccoli, o troppo pochi, per attirare l’attenzione delle banche centrali. Il sistema diventa così fragile, le azioni imprenditoriali irresponsabili, e la varianza impazzisce.

7. La crescita sostenibile è dovuta ai risparmi

Se risparmio e investo le risorse così liberate per incrementare i capitali, cresco. Lasciamo perdere le stupidaggini del modello di Solow: la crescita è anche investimenti in R&D, e lo sviluppo del mercato ha ritorni crescenti. Ma rimane che il risparmio è l’unico vero motore “economico” della crescita: nessuna idea scientifica o ingegneristica può provocare crescita se non si hanno i risparmi per metterla in pratica. Lo stesso non si può dire della crescita basata sull’inflazione monetaria…
La crescita sostenibile è l'impiego di risparmi per espandere la dotazione di capitale, introdurre nuove tecnologie, ampliare gli impianti... il tutto in maniera coordinata (è inutile spendere tutti i capitali per costruire un bullone e dimenticarsi di costruire una vite). Coordinata significa che si devono rispettare i vincoli di complementarità tra i vari mezzi di produzione, e che i beni necessari per completare la produzione siano disponibili quando servono. La coordinazione più importante è quella temporale, e si può quindi dire che i risparmi devono esserci quando le scelte di investimento li richiedono.

8. Il sistema bancario a riserva frazionale è instabile

Senza banche centrali, le banche commerciali odierne morirebbero come mosche: la ragione è la riserva frazionale. Le banche sono per definizione imprese fallite: hanno passività a vista e attività a termine… quindi, non appena i clienti chiedono più moneta di quanto preventivato, o le imprese restituiscono meno fondi di quanto promesso, le banche devono necessariamente andare in bancarotta. L’unica risposta possibile a questo problema, in regime di riserva frazionale, è che lo stato presti alle banche le banconote necessarie a far quadrare i conti.
Quindi, il continuo intervento statale è necessario per garantire la sopravvivenza delle banche, per come sono organizzate allo stato attuale. Probabilmente banche con riserve frazionali del 70% o del 100% non avrebbero questo problema, ma stiamo probabilmente sul 2%... la fragilità è evidente. Un cluster di fallimenti sui crediti erogati dalle banche alle aziende può far crollare tutto.
Se una banca fallisce, l’intero sistema rischia di collassare. Questo implica che il sistema attuale è radicalmente fragile: le banche centrali sembrano essere la cura. Purtroppo sono anche la causa della malattia: senza il continuo interventismo monetario non sarebbe possibile immaginare un sistema bancario siffatto, perché tali banche sarebbero fallite già da tempo. Il cuore dell’economia inflazionistica è quindi la banca centrale, che consente l’espansione scriteriata dell’offerta di moneta, col fine di manipolare i tassi di interesse.
Qui c'è molto da approfondire: pare che nella recente crisi subprime le passività non erano a vista, ma a breve termine (pochi mesi). In questo caso il duration mismatch, pur enorme, comunque non era "infinito", e quindi in teoria anche senza moltiplicatore monetario è possibile che ciò avvenga sul mercato. Rimane da vedere se senza le politiche della Fed sarebbe stato possibile un livello di cartolarizzazioni e di estensione di credito a questi livelli: probabilmente no. Ma, appunto, è da pensarci su.

9. Per fare una bolla serve liquidità, in genere

Una bolla richiede moneta: bisogna scambiare asset a prezzi sempre crescenti, e spesso con volumi di transazione elevati. Senza un creatore seriale di bolle come Greenspan, sarebbe possibile comunque avere bolle, ma sarebbe difficile: bisognerebbe ridurre la spesa monetaria in altri mercati, o aumentare la velocità di circolazione della moneta, o avere aumento dei prezzi con contemporanea riduzione del volume delle transazioni… improbabile. Se le bolle durano, è perché hanno un garante: se nascono e si espandono, è perché c’è chi fornisce la materia prima finanziaria.
Questo dal punto di vista dei pagamenti, che è un aspetto puramente tecnico. Ma per quanto visto prima, le bolle sono facilitate dall'effetto Wicksell, che fa rivalutare gli asset finanziari e tutti i beni interest-sensitive.

10. Liquidità e solvibilità sono legate tra loro

La solvibilità è la capacità di un agente di pagare i propri debiti liquidando i propri asset; la liquidità è la capacità di pagare i debiti in scadenza immediatamente. Ovviamente, chi è insolvente è anche illiquido, ma è possibile che un agente abbia problemi a pagare in tempo i propri debiti, anche se, posticipandoli, riuscirebbe a risolvere il problema.
L’espansione monetaria può trasformare istituzioni bancarie insolventi in istituzioni solvibili, creando liquidità: ciò rende difficile tracciare una netta linea di demarcazione tra i due concetti. Il motivo è l’effetto Wicksell: la creazione di credito migliora le condizioni delle banche, drenando risorse dal resto della società verso le banche (e le aziende che investono per prime, e lo stato, eccetera). Di conseguenza, se si fornisce sufficiente liquidità, si può fare in modo di fornire a queste istituzioni sufficiente credito da risolvere un problema di insolvibilità. Di fatto, è un salvataggio obbligatorio, a spese dell’utilizzatore di moneta. Lo stesso vale per le aziende che hanno problemi a completare gli investimenti.
Inoltre c’è un problema di calcolo economico: la singola impresa o banca può essere giudicata solvibile dato il market price dei propri asset e delle proprie passività: di fatto quindi il mercato assiste la società di auditing fornendole dati sul valore di quello che sta in cassaforte. Lo stesso non accade quando si analizza la solvibilità dell’intero sistema economico: se i prezzi sono distorti, fuor d’equilibrio, come nel caso dell’inflazionomia, dove il valore dei beni capitali non dipende dai fondamentali (la preferenza per il risparmio) ma dall’arbitraria scelta delle banche centrali, non sono una guida affidabile. Il mercato paga la manipolazione dell’interesse sotto forma di distorsione informativa intrinseca al sistema dei prezzi…
Il sistema economico in un’economia inflazionistica è sempre strutturalmente insolvente, ma grazie alla politica monetaria è possibile togliere agli utilizzatori di moneta le risorse necessarie ad evitare fallimenti a catena.

11. L’inflation targeting è un pericolo per la stabilità economica

La mia impressione è che non esista una teoria “ortodossa” di come l’economia sia influenzata dalla moneta, se non per qualche banalità sui prezzi rigidi. Quindi gli economisti non sanno se l’economia è strutturalmente distorta dall’inflazione o meno; e non sanno se la moneta ha effetti di lungo termine. Eppure un po’ di questi effetti li vediamo: negli USA, ad esempio, abbiamo tanti debiti e pochi risparmi (cosa spiegabile con un po’ di effetto sostituzione, ma solo ipotizzando che esista un effetto Wicksell reale, altrimenti non ci sarebbe nessuna necessità di sostituire).
In mancanza di una teoria, gli apprendisti stregoni della politica monetaria hanno creato un sistema economico basato sull’inflazione, e che non può reggersi senza inflazione continua.
L’inflation targeting è uno dei pericoli pubblici del XXI secolo, a fare il paio con la stabilizzazione fisheriana del potere d’acquisto negli anni ’20. L’idea è che inflazione costante, e nota a priori, sia innocua, o anzi utile per la stabilità economica. Ma supponiamo che la storia che ho raccontato finora sia corretta, e che la crescita basata sull’inflazione sia in realtà insostenibile. Se questo è vero, allora l’inflation targeting genererà cicli economici: se l’economia sta in equilibrio intertemporale, e c’è uno shock di produttività positivo, la banca centrale creerà moneta per compensare l’effetto sul livello dei prezzi di questo shock, e farà uscire l’economia dall’equilibrio intertemporale. Fisher diceva che l’economia negli anni ’20 non aveva nulla che non andava perché i prezzi erano stabili. Poi è arrivato il diluvio.

12. La crescita inflazionistica non è vera crescita

Sulla carta, sembrerebbe che la crescita inflazionistica sia vera crescita: sottrae risorse ai consumatori e le dà agli investitori, quindi di fatto comprimendo i consumi e accelerando l’accumulazione di capitale. Non ottimizza l’utilità dei risparmiatori (altrimenti non ci sarebbe bisogno di derubarli), ma genera comunque crescita.
C’è un evidente problema: non è vero che nel boom i consumi calano, tanto che è la propensione al risparmio a calare. Con consumi e investimenti che crescono assieme, c’è qualcosa che non va: sembrerebbero esserci dei pasti gratis. Ciò è incompatibile con la teoria economia standard, e fondamentalmente contrario al buonsenso: e infatti è falso.
Un altro problema, meno evidente, è che le aziende hanno continuamente bisogno di nuova moneta per continuare ad investire… quindi la crescita economica inflazionistica genera una sorta di credito-dipendenza, di cui la recessione è la crisi d’astinenza. In poche parole, le risorse investite grazie all’inflazione saranno consumate non appena l’effetto Wicksell si esaurisce: quindi si pone la scelta di lasciare o raddoppiare, e le banche centrali normalmente raddoppiano. Se qualcosa si inceppa, si va in stagflazione. Se si inceppa tanto, in iperinflazione.
Mi sembra molto più realistico affermare che l’inflazione produce uno squilibrio negli investimenti: le risorse liberate per aumentare i consumi, e l’euforia degli investimenti, sono l’effetto di questo squilibrio. Se non esistono pasti gratis, qualcuno dovrà pagare il conto: i fondi per pagarlo vengono dalla struttura del capitale. Supponiamo infatti che si investa troppo poco in infrastrutture con un tempo di vita di 10 anni: le risorse risparmiate, evitando di mettere da parte i fondi per reinvestire in queste infrastrutture quando sarà necessario, potranno aumentare i consumi; l’aumento dei prezzi dei beni capitali e degli asset finanziari può far dimenticare questo dettagli; è soltanto dopo 10 anni che ci si accorgerà che manca un pezzo importante della struttura produttiva: la crescita inflazionistica è quindi strutturalmente mal diretta. Prima o poi incorrerà in bottlenecks, e l’unico modo per uscirne sarà comprimere i consumi, per completare gli investimenti: e a questo punto parlare di boom saprebbe di cattivo gusto: probabilmente il "boom" post crisi e-economy è stato di questo tipo... è stato un non-boom che è sfociato nella crisi subprime e in livelli mostruosi di indebitamento. E ancora stiamo al punto di partenza, con solo più debiti, più consumi (anzichè i salutari risparmi), una moneta meno credibile (almeno il dollaro), e 5 anni di distorsioni sul mercato finanziario e quindi sull'allocazione degli investimenti.

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