Vendite in calo, fatturati in crescita anche grazie alla crisi dei mutui UsaAl supermercato i conti non tornano maiReuters
Monica Di Sisto
Anche i carrelli piangono, in questi tempi di ristrettezze nazionali. Federalimentari, che rappresenta oltre il 70% dei supermercati italiani, lamenta che i loro volumi di vendita, cioè il numero di pacchetti e confezioni rifilati agli italiani, tra gennaio e maggio è cresciuto di appena l'1,8%, correggendo di poco il calo verticale registrato negli anni passati. L'istituto Nielsen, infatti, misurava un +3,6% nel 2005, poi un +2,7% nel 2006 e un secco +0,9% in chiusura del 2007.
I fatturati del settore, però, continuano a crescere nei primi cinque mesi del 2008 del 4,5% perché i prezzi dei prodotti diventano sempre più cari. Per questo i consumatori si attrezzano: Federalimentari rivela che comprano meno prodotti non alimentari, fuggono dai grandi marchi, preferiscono i prodotti griffati dai supermercati di fiducia - che costano fino al 20% in meno rispetto agli altri e valgono il 16% del venduto - e concentrano gli acquisti nei periodi delle promozioni. Saldi, sconti e 3X2 assicurano ormai circa un quinto di tutto il fatturato della grande distribuzione italiana.
Non c'è di che stare tranquilli per l'immediato futuro. Anzi: bisogna tenere d'occhio con molta attenzione la crisi dei mutui d'Oltreoceano. Il collegamento non è immediato ma c'è: Coldiretti avverte infatti che i crolli delle borse e del dollaro sono stati accompagnati, oltre che dal record del petrolio, da un nuovo aumento delle quotazioni di tutti i principali prodotti agricoli di base. Per Coldiretti è «il segno più evidente dell'esistenza di forti manovre speculative, con lo spostamento di capitali dai mercati finanziari e valutari in difficoltà a quelli delle materie prime come il petrolio ed i prodotti agricoli di base».
Dal suo osservatorio privilegiato sulle dinamiche globali, il presidente della Banca Mondiale, Robert Zoellick conferma: i prezzi dei prodotti alimentari resteranno alti, sopra i livelli del 2004, fino al 2012, ed è quanto mai necessario destinare 10 miliardi di dollari di aiuti ai Paesi più poveri. Ma se cominciassimo, banalmente, a pagare meglio i produttori agricoli che rappresentano, secondo la Fao, due terzi dei più poveri del Pianeta? Se torniamo in Italia e verifichiamo i prezzi alla produzione di quegli stessi cereali che infiammano le borse di mezzo mondo, e che fanno diventare pane e pasta sempre più cari, scopriamo infatti che i conti non tornano.
Secondo l'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea) a giugno scorso i prezzi alla fonte dei cereali erano in calo del 4,9% rispetto a maggio, quando erano già scesi del 5,6% rispetto ad aprile. In ribasso anche vini e oli di oliva, i cui valori hanno registrato rispettivamente riduzioni del 2,2% e dell'1,6% su base mensile. E allora perché i consumatori non se ne sono accorti?
«Perché i supermercati continuano a trattenere il massimo del profitto possibile lungo la filiera e a spremere i cittadini», ci risponde Antonio Onorati, che oltre ad essere il presidente dell'ong che da più anni in Italia si occupa di agricoltura, Crocevia, è anche contadino. «Uno studio di qualche anno fa condotto dall'Istituto Tagliacarne in collaborazione con le Camere di Commercio - racconta Onorati - che è diventato un classico del genere, ci ha dimostrato che il valore della carne nazionale era di 3,5 miliardi di euro alla stalla, saliva a 5,2 miliardi nel passaggio della trasformazione per raggiungere i 13,2 miliardi al supermarket. Il rapporto tra il prezzo al produttore e quello pagato dal consumatore in media è di uno a cinque». Nei nostri campi in questi giorni si comincia a raccogliere il grano: «abbiamo finito di mietere all'inizio di questa settimana, e dati non ufficiali ci dicono che in Italia avremo un 30% di produzione in più per quest'annata. Ecco perché il prezzo flette - continua Onorati -, perché l'agricoltura vera, fuori dalle borse, segue la vecchia regola della domanda e dell'offerta e quindi più grano è disponibile e meno ti pagano». Negli Stati Uniti, stessa storia. La National Farmers Union, il sindacato di settore più forte, è comparsa in audizione il primo maggio scorso davanti alla Commissione economica congiunta del Congresso a Washington e ha denunciato che, secondo i dati forniti dal ministero dell'Agricoltura, i coltivatori e gli allevatori portano a casa solo 20 centesimi di ogni dollaro che i consumatori spendono per l'alimentazione in casa e fuori casa. Il marketing, la trasformazione, la distribuzione e i servizi di vendita assorbono gli altri 80 centesimi. Un lusso che nessuno può più permettersi.
LIBERAZIONE.
13/07/2008