Riporto un articolo scritto da Bepi Covre (già sindaco di Oderzo e parlamentare per la Lega) sulla Tribuna di Treviso


Al di là delle buone intenzioni e delle poesie, il comportamento e le abitudini di vita dei nomadi (Rom e Sinti) rappresentano un problema serio e molto impegnativo. Problema di gestione per un qualsiasi comune ove si trovino a transitare o sostare per giorni; basta parlare con un sindaco qualsiasi. Queste sono etnie che hanno da sempre scelto di vivere «in movimento», mai in una collocazione stabile. Già questa è una grossa differenza rispetto alla grande maggioranza della gente, che preferisce la stanzialità. L’uomo stanziale si comporta in un certo modo, accetta e condivide regole, usi e costumi; i nomadi invece si comportano in maniera molto diversa. In Italia, a livello di atteggiamento, il problema viene affrontato grosso modo in due modi diversi. Quello di sinistra prevede l’inclusione sociale, un certo lassismo e tolleranza verso il rispetto delle regole, in una valutazione molto generosa nel riconoscere molti diritti e pochi doveri. Quello di destra è insofferente all’inclusione, vorrebbe un maggior rispetto delle regole, un più efficace controllo nei comportamenti e una correlazione stretta fra diritti e doveri.Questa è la mia breve analisi antropo-storica. Nei nostri paesi assistiamo all’invasione sempre più numerosa e frequente di roulotte e camper di nomadi, frequentate da variopinte ed eterogenee moltitudini di persone. Quando arrivano creano subito allarmismo e tensione; dove passano lasciano il segno, gran sporco di ogni genere e come ricordo una scia di furti e ruberie nelle abitazioni. Altro aspetto dello stesso problema, ma molto più drammatico è il comportamento che spesso i nomadi riservano ai bambini. Chi non ha mai visto bambini piccoli, malridotti, costretti a chiedere l’elemosina? Chi non ha mai visto bimbi in tenera età in braccio a mamme infreddolite o sotto la calura estiva, dormire pesantemente, oppure piangere e soffrire... utili strumenti per impietosire la gente? Di fronte a questi deprecabili e ingiusti comportamenti criminali cui ci tocca assistere, osserviamo il comportamento di molte «anime belle» che sentenziano e lanciano insegnamenti puntuali. A mio avviso queste «anime belle» non vedono il problema, meglio, attuano una specie di dissociazione mentale e psicologica, convincendo se stesse che quel che vedono in realtà non esiste; una specie di miraggio che va rimosso in fretta. Succede che arriva un ministro (razzista perché proveniente da un partito notoriamente xenofobo e razzista!) e dice: «Basta!». Ci sono migliaia di bambini che girano per l’Italia senza identità, che vengono sfruttati e resi in schiavitù, trattati peggio delle bestie. Bisogna identificarli per proteggerli, verificare la patria potestà, se e dove esiste e viene praticata. Se per arrivare a questo, cioè risolvere il problema, serve prendere le impronte digitali, lo si deve fare, perché quel che succede a questi minori è insopportabile. A questo punto, le «anime belle» che per anni hanno attuato il processo di dissociazione psico-mentale, salgono in cattedra (esercizio che praticano con una regolarità invidiabile) e insegnano. Prima lezione: bisogna dare una casa ai nomadi (sanno benissimo che i nomadi non vogliono una casa, casomai un camper); qualche sindaco ci ha provato con risultati disastrosi perché i nomadi vogliono girare e non stanziare. Seconda lezione: bisogna prendere i bambini e costringerli a frequentare la scuola (secondo errore, perché chi gira il mondo non può dar continuità alla frequenza scolastica). E via con queste amenità. La conclusione è sempre la stessa, chi non obbedisce a questi insegnamenti e cerca altre soluzioni al problema è perlomeno un razzista. Giorni fa a Verona sono stati arrestati, e poi in parte scarcerati (ah, certa magistratura!) alcuni mostri che avrebbero dovuto far da genitori ai piccoli nomadi. Giorni fa «Famiglia Cristiana» ha preso posizione contro il provvedimento del ministro Maroni che intende identificare i bambini dei campi nomadi per proteggerli, ricorrendo anche alla rilevazione delle impronte digitali. Premesso che «Famiglia Cristiana» ha il diritto di fare del giornalismo in totale e assoluta libertà, vorrei chiedere a «Famiglia Cristiana» quante volte ha trattato l’argomento in questione, quante denunce ha fatto in proposito, quante inchieste ha condotto, quante proposte di soluzione, quanti interventi e iniziative dirette (vista la potente organizzazione economica che le sta dietro). Mi piacerebbe saperlo. Ricordo che «Famiglia Cristiana» è l’unico settimanale edito in Italia che ha il grande ed esclusivo privilegio di venir diffuso capillarmente anche nelle migliaia di chiese cattoliche italiane. A me sta benissimo. Chiedo solo: la dissociazione «vedo ma ignoro» è un valore o ipocrisia allo stato puro? Quando ci si propone per la diffusione in una chiesa, bisognerebbe avere le idee chiare.
Giuseppe Covre