Aggiungeremo che se oggi tanto si parla di razza, la ragione è che si è avvertito infine il fatto della sua effettiva decadenza in Europa. Là dove la razza veramente viveva e vigeva, non se ne parlava, un istinto sicuro bastava come guida, ed era esso a conferire silenziosamente una autorità imprescrivibile a norme e a leggi ben precise. Il razzismo scientista batte falsa strada, perché vuol quasi ripetere il tentativo della creazione dell'homunculus: crede sul serio (o almeno dà ad intendere), che la razza pericolante la si possa ricostruire e salvare quasi con procedimenti da laboratorio, sulla base delle conoscenze "positive" acquisite, quasi come si coltivano i funghi artificiali quando scarseggiano quelli genuini. Il sentimento indiscutibile e integrale della razza e del sangue che testimoniarono le antiche civiltà arie d'Oriente, Sparta, l'antica aristocrazia romana e certe parti della stessa nobiltà europea non ebbe bisogno di questi scherzi, si mantenne ben fermo senza gli alibi scientismi i quali, ripetiamolo, possono far colpo solo sul popolino e sui provinciali del nostro mondo borghese e intellettuale. Risvegliare in modo diretto, per vie essenzialmente spirituali, il sentimento e la dignità di razza, ecco invece ciò che essenzialmente conta. Biologia, genetica, antropologia, leggi mendeliane e quanto altro si voglia, tutte cose utili, ma subordinatamente, come strumenti accessori e come fonti di conoscenze da utilizzare, cum grano salis, tenendo sempre presente esigenze di carattere superiore, etico e politico. Sarà, cioè, una concezione integrale, epperò soprattutto etica e spirituale, della razza a fissare la misura e il modo secondo cui certe "conoscenze" scientifiche possono esser accettate e incorporate come elementi ausiliari.