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  1. #1
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    Predefinito Falluja la Martire......

    Che Falluja il 13 novembre sia su tutte le nostre bandiere

    (10 novembre 2004)
    Cari compagni,

    la controinformazione internazionale e in particolare quella USA, perlopiù ripresa da Uruknet, ci riversano agghiaccianti materiali su quello che sta succedendo a Falluja. Come sapete, la città è assediata e bombardata giorno e notte da oltre un mese. Nessun centro abitato, dalla fine della seconda guerra mondiale, da Dresda, Stalingrado e Hiroshima, ha subito un simile tentativo di liquidazione totale. 10.000 soldati statunitensi, rinforzati nelle retrovie dalle truppe britannicke della Black Watch e da decine di migliaia di mercenari delle compagnie private, stanno stringendo d'assedio i 100.000 abitanti sopravvissuti o non fuggiti dei 500.000 originari. Sono ormai quasi esclusivamente uomini. I bombardamenti hanno distrutto centinaia di case d'abitazione con il pretesto, totalmente falso e smentito da osservatori, analisti, nonchè dalle autorità religiose e amministrative della città, di voler colpire Abu Mussab Al Zarkawi e i suoi seguaci. Mentre è ormai provato che Zarkawi è un'invenzione degli strateghi USA (oscenamente avallata da Padre Benjamin - divenuto repentinamente antisaddamista - che gli attribuisce addirittura il controllo su 62 gruppi di combattimento: http://www.uonna.it/vivi-reporter-francesi.htm ), un pretesto come lo era Bin Laden quando si trattava di polverizzare l'Afghanistan per uccidere il socio di Bush, gli abitanti di questo eroico simbolo della resistenza antimperialista sono privati, non solo degli elementi di base per sopravvivere - acqua, cibo, medici e farmaci (quasi tutti gli ospedali sono stati distrutti), energia - ma perfino di un minimo di solidarietà internazionalista, di quella che era ancora viva e si manifestava al tempo dei massacri sionisti di Jenin, Ramallah, Rafah, Khan Junis, Nablus - pure assai minori per portata genocida - e quanto menoriuscì a frenare l'impeto stragista degli israeliani e a portare questi crimini contro l'umanità alla ribalta internazionale, alimentando la crescita e la forza del movimento contro la guerra e contro l'imperialismo.

    A Falluja sono stati frantumati a forza di bombe ad alta penetrazione, ordigni incendiari, cannonate di grosso calibro, bombe a grappolo, bambini, donne, uomini, quanti non ne hanno uccisi nei loro attacchi tutti i combattenti suicidi palestinesi. Contemporaneamente una ONG dalle ambiguità comprovate come Human Rights Watch, da sempre in sintonia con i regimi di Washington, salvo qualche "correzione", fa circolare la cifra di 400.000 vittime del precedente governo iracheno, di cui 100.000 curdi, curdi che sarebbero stati uccisi nell'ultimo anno di guerra Iraq-Iran. Inutile dire che la bufala dei curdi gassati da Saddam a Hallabja è già stato smentita (il bombardamento con i gas fu effettuato dagli iraniani) nel modo più autorevole dagli alti livelli della CIA (Stephen Pelletiere, capo analista Cia di quella guerra, New York Times 31/1/2003) (1), nonchè da tutti i servizi d'informazione dell'epoca. Ma HRW non fornisce la benchè minima prova, oppure una per quanto dubbia fossa comune, a sostegno della cifra (2), che, comunque, collide con quanto ipotizzato dalla Croce Rossa e da altri enti di ricerca per i quali le morti violente sotto il precedente regime non superano il 2% di quelle verificatesi dall'inizio di questa guerra. E' chiaro l'intento di questa organizzazione sedicente non governativa di annullare l'effetto degli almeno 100.000 ammazzati tra i civili iracheni, documentati da istituti prestigiosi come la Columbia University e l'Università Al Mustanseria di Bagdad e riportati dall'insospettabile periodico medico britannnico "Lancet".

    A Falluja si muore come le mosche, a Falluja si sta compiendo, secondo Simon Hersh, il giornalista che ha violato la consegna del silenzio sulle stragi di My Lai in Vietnam e la strategia delle torture imposte da Washington ad Abu Ghraib e in mille altre carceri, un olocausto di porporzioni inenarrabili. Confortato dalla rielezione del burattino Bush, la cerchia di neonazisti sionisti germogliati sotto Reagan e ormai completamente padroni di un paese lobotomizzato dalla paura indotta e in corso di rapida fascistizzazione, si appresta, fuori dal giudizio di qualsiasi consesso umano o giuridico, a menare colpi definitivi al più resistente e avanzato popolo del Medio Oriente. Un popolo decisivo per il destino di quella regione, e non solo. Caduta Falluja, e poi le altre città sotto controllo di una Resistenza che, come dimostrano il suo eccezionale coordinamento, la sua capacità di colpire come e quando vuole, l'appoggio popolare totale, le sue riserve militari e umane, la sua coscienza politica, rappresenta oggi la più grande minaccia per l'avanzata dell'imperialismo occidentale, le armate barbare intenderanno muoversi all'assalto e alla distruzione di altri popoli, stati, classi.

    Falluja è una linea di resistenza dall'elevatissimo valore simbolico e politico. Falluja è la cartina di tornasole dell'agghiacciante barbarie degli aggressori e dell'eroismo degli aggrediti. A Falluja, come hanno scritto gli abitanti della città martire inviando appelli alla comunità umana, si difendono i valori di quella comunità, la sua stessa vita, il suo futuro. Possibile che il presidente fantoccio installato dagli USA a Bagdad si possa spendere per frenare il suo primo ministro, l'arnese terrorista Cia Allaui, dall'assalto a Falluja, possibile che lo spento notaio della "comunità internazionale" a stelle e striscie, Kofi Annan, si sbilanci con un'invocazione ad evitare la carneficina e passare al negoziato, mentre il movimento contro la guerra, lo schieramento antimperialista, le persone perbene se ne rimangano in silenzio, per poi inorridire magari quando qualche evento fortuito o qualche residuato dell'ecatombe porteranno alla luce frammenti dell'orrore inflitto a Falluja?

    Dove è la nostra solidarietà con coloro che resistono all'imperialismo ben oltre le nostre capacità e disponibilit, fino al costo della vita? Potevano, i combattenti, la gente di Falluja fuggire tutta quanta e lasciare ai barbari il loro deserto. Perchè credete che sono rimasti lì, in armi, a difendere la loro città, il loro paese, la loro sovranità, la loro dignità? Per tutte queste cose e per una cosa in più: noi!

    IL 13 NOVEMBRE ABBIAMO ANNUNCIATO CHE MANIFESTEREMO A ROMA, DA TUTTO IL PAESE, CONTRO IL MURO DI SHARON, Abbiamo anche inserito un capoverso contro l'occupazione di Palestina e Iraq e per il ritiro delle truppe straniere dall'Iraq. Giusto. Ma oggi come oggi, con Falluja moribonda e in piedi sotto i nostri occhi e alla mercè del nostro nemico mortale, forse, nel rilanciare la manifestazione nazionale del 13, ci vuole qualcosa in più. A Stalingrado abbiamo dovuto stare zitti. A Dresda eravamo confusi. A Marzabotto eravamo inermi. A Hiroshima abbiamo capito tardi. Non facciamo che dobbiamo vergognarci davanti ai ragazzi di Falluja stroncati con l'RPG in mano, alle mamme e ai bimbi tritati dalle bombe, davanti al nostro specchio, davanti ai nostri figli. Non pieghiamoci davanti agli imbroglioni della "spirale guerra-terrorismo"! Non ce le perdonerebbero gli stessi palestinesi che, ricordiamocene, il 17 gennaio del 1991 seppero stare, a costo di tutto, dalla parte giusta.

    Che Falluja il 13 novembre sia su tutte le nostre bandiere, su tutti i nostri striscioni, in tutte le nostre parole d'ordine, in tutte le nostre anime, se ce l'abbiamo.


    Fulvio Grimaldi
    http://www.pane-rose.it/files/index.php?c33957

  2. #2
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    Predefinito lo scandalo mondiale del fosforo

    IRAK - Lo speciale di Rai24 sulle atrocità americane a Falluja sta facendo il giro del mondo, ospitato da decine di siti internet; e sta provocando una crescente indignazione negli ambienti angloamericani.
    Viste le immagini dei corpi di civili iracheni disciolti e carbonizzati dal fosforo bianco, sentite le testimonianze dei reduci americani che hanno visto piovere le bombe al fosforo, vari gruppi stanno chiedendo l’apertura di un’indagine internazionale sui crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti in Iraq.

    Il più autorevole è l’associazione britannica «Physicians for Social responsability» (medici per la responsabilità sociale).
    Il suo presidente, Robert Musil, ha dichiarato all’Independent: «quando esistono chiare testimonianze sull’uso di questo tipo di armi, ciò esige una piena e completa indagine. E’ dalla guerra del Vietnam che [l’uso del fosforo] è stato condannato, per via delle ferite e conseguenze che provoca».
    Il fosforo bianco, s’incendia spontaneamente all’aria, e si appiccica alla pelle, bruciando la carne fino all’osso; il suo vapore, se inalato, brucia i polmoni dall’interno, e danneggia irreversibilmente gli occhi.

    La Convenzione ONU del 1980 su «talune armi convenzionali» vieta l’uso di sostanze come il fosforo e il napalm su obbiettivi civili, ma non militari.
    Gli USA non hanno mai ratificato la convenzione e continuano a fabbricare bombe al fosforo e al napalm.
    A Falluja, il Pentagono ha ammesso di aver usato bombe al fosforo contro i nidi di presunti «terroristi», ma solo «con estrema parsimonia» e solo «per illuminare la scena dei combattimenti». Sic.
    Ma il documentario di Rai24 dimostra un uso molto esteso, con centinaia di corpi di civili «caramellizzati» e orribilmente deformati dal fosforo; anche cani, gatti e polli sono morti a centinaia a Falluja.
    I comandi USA hanno vietato per settimane il ritorno dei civili, e hanno messo in opera molti bulldozer per strappare il terreno superficiale contaminato, onde far sparire le tracce del loro crimine.
    Solo dopo hanno consentito a medici iracheni di entrare nella città distrutta.
    Ma ai medici è bastato poco per capire quello che era successo.
    Sono loro, che hanno creato un «Centro Studi sui diritti Umani» a Falluja, ad aver fornito il materiale alla RAI.

    Vale la pena di ricordare che quando alcuni giornalisti occidentali, fra cui Giuliana Sgrena, hanno cercato di indagare su quel che era accaduto a Falluja interrogando i sopravvissuti, sono stati rapiti da «terroristi islamici».
    Oltre che col fosforo, il Pentagono ha asperso generosamente Falluja con il suo napalm nuova formula, chiamato Mark77, dove il kerosene ha sostituito la benzina (il napalm è una gelatina di celluloide disciolta in benzina, brevetto Dow Chemicals: la celluloide si appiccica alla pelle, e la benzina la ustiona.
    Il kerosene migliora l’effetto perché è meno volatile (dura di più).
    Bombe da 510 libbre, ossia 2 quintali e mezzo di gelatina incendiaria.
    Il fatto è, ha detto un alto funzionario del Pentagono che ha confermato l’uso delle bombe di Mark77 all’«Independent», che «i generali amano il napalm. Ha un grandioso effetto psicologico» (1).

    Note
    1) Andrei Buncombe, «Us criticised for use of phosphorous in Falluja raids», Independent, 9 novembre 2005.
    http://www.identitaeuropea.org/archi..._scandalo.html

  3. #3
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    Predefinito l'eroica Falluja

    L’eroica Falluja
    Maurizio Blondet
    01/04/2007
    I combattenti di Falluja

    IRAQ - Nell'aprile del 2004, e poi di nuovo nell'autunno, gli invasori americani «pacificarono» Falluja, roccaforte dei sunniti fedeli a Saddam.
    Bombe al fosforo, napalm, volumi di fuoco superiori a quelli scatenati durante la seconda guerra mondiale.
    Questa città di 300 mila abitanti, di cui almeno 25 mila erano rimasti intrappolati nelle case, fu ridotta a un cumulo di rovine fumanti, dove, come a Stalingrado, i cani divoravano i cadaveri insepolti.
    Seguirono i rastrellamenti, casa per casa.
    Gli americani - lo provarono diversi video - finivano i combattenti feriti a mitragliate, per rabbia.
    Dopo un mese di diluvio di fuoco, i tikriti continuavano a combattere.
    «Sono pochissimi quelli che si arrendono», ammise un colonnello dei marine.
    Ma i marine spararono anche sui civili che, con la bandiera bianca, cercavano di uscire dalla città.
    Gli aggressori non permisero che aiuti medici e rifornimenti, organizzati dagli iracheni di Baghdad, entrassero nella città devastata.
    Lo vietarono perfino a delegazioni dell'ONU e dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: prima, raschiarono il terreno completamente, per nascondere l'uso di fosforo e di tossici proibiti.
    I cecchini americani uccisero 17 fra medici e infermieri che cercavano di entrare nella città per curare i feriti.
    I feriti americani furono 417, i morti non sono stati comunicati.
    Nel marzo 2005, molti mesi dopo, un rapporto del Tribunale Russell definì il risultato delle operazioni a Falluja come «genocidio». (1)
    «Al momento di diffondere questo rapporto», si leggeva, «il recupero dei cadaveri provocati dall'attacco del novembre 2004 continua. Gli operatori specializzati hanno trovato circa 700 corpi. Gli americani dicono di averne uccisi 1.300, ma non si sa dove i corpi siano stati sepolti. Il fatto che continuino a negare l'accesso ai delegati dell'ONU conferma che hanno riempito delle fosse comuni. I dispersi sono centinaia, ma le famiglie esitano a riferire i nomi dei loro familiari presso l'ufficio di registrazione dei dispersi, per timore di arresti e intimidazioni delle forze americane. I cittadini di Falluja detenuti soffrono di trattamenti inumani».


    «Gli abitanti di Falluja subiscono ogni sorta di umiliazioni quando entrano o escono dalla città. Nella loro vita quotidiana soffrono vari tipi di angherie e di minacce da parte delle forze occupanti, che li considerano terroristi semplicemente perché rifiutano l'occupazione. Ci sono continue uccisioni casuali, che non escludono bambini e vecchi, uomini e donne. Molti bambini hanno dovuto guardare i loro genitori uccisi davanti ai loro occhi. Uomini hanno dovuto assistere all'uccisione dei loro figli e delle mogli. Quasi ogni famiglia di Falluja ha dovuto seppellire un familiare nel cortile.
    La forza d'occupazione americana ha assegnato speciali carte di identità ai cittadini di Falluja, per impedire a visitatori da altrove di entrarvi. Ciò isola Falluja dai suoi dintorni e dal resto del Paese, e l'ha trasformata in una grande prigione.
    Come misura di punizione collettiva, la forza occupante ha sequestrato le scuole della città che usa come sue caserme, privando gli studenti della possibilità di continuare a studiare, e senza offrire un'alternativa.
    Avvengono ritardi deliberati nella ricostruzione di Falluja, e nel ripristino dei servizi essenziali.
    Gli annunci in questo senso sono pure menzogne, rivelate dal fatto che le persone che stanno lavorando alla ricostruzione di Falluja, per numero, non sono adeguate alla misura delle distruzioni. Gli americani stessi ammettono che sono state demolite 90 mila case
    » […].
    Ma non c'è stato un vescovo, un pastore o un rabbino a protestare.
    Non uno dei grandi media ha più parlato di Falluja dopo quel rapporto: la città era, comunque, «pacificata».
    Invece no.
    Nel settembre 2006, gli americani hanno dovuto dare una ripassata brutale: stavano perdendo il controllo della città e della provincia di Anbar.
    La resistenza, irriducibile, li ha messi di nuovo alle strette: fra l'altro ha abbattuto un F-16 con un missile a spalla «Strela».
    La gente non ha mai cessato di resistere, di infliggere colpi.
    E ciò, nonostante gli americani abbiano affidato l'ordine a Falluja alle loro squadre della morte sciite.
    Altri mesi di silenzio.


    Arriviamo ad oggi: la settimana scorsa, due autocarri guidati da combattenti suicidi, uno carico di esplosivi e l'altro di gas tossici al cloro, sono riusciti a penetrare nell'accampamento fortificato americano facendolo saltare.
    I ribelli hanno intensificato gli attacchi mordi-e-fuggi di giorno, e di notte hanno il completo controllo della città.
    Così, gli americani stanno montando la terza pacificazione. (2)
    Bombardamenti dal cielo, massacri a terra: dalle poche notizie che ci giungono, le operazioni USA hanno intento palesemente genocida, perché ormai è impossibile distinguere fra combattenti e civili, ed è chiaro che la rovina, la fame, la sete, le ferite non curate hanno unito gli uni e gli altri allo stesso destino.
    Combattono ancora.
    Da soli, contro la superpotenza militare mondiale.
    Contro forze schiaccianti, contro una brutalità senza limiti.
    Senza alcuna speranza umana, senza alcun aiuto e appoggio da fuori.
    La cosiddetta «Al Qaeda», che si proclama la guardia armata sunnita, non ha mai combattuto a Falluja: e nei giorni scorsi ha ucciso 400 sciiti nel sud del Paese: ancora una volta, «Al Qaeda» fa il lavoro indicato dal Mossad.
    La gente di Falluja è sola.
    Possiamo solo immaginare le sue condizioni; ma resiste e contrattacca.
    Combattono ormai da tre anni.
    Questa è la verità atroce della guerra di popolo: mai darsi per vinti, resistere un giorno di più del nemico.
    Dopo tre anni, essi ancora lo fanno, difendono la loro città, la loro dignità come popolo, il loro sistema di vita.
    E il mondo li chiama «terroristi».
    Nessuno prende atto del loro eroismo e del loro valore, spinto oltre ogni limite di sacrificio.


    Lo facciamo qui noi, umilmente, anche se da soli.
    Ma ci obbliga a farlo il nostro stesso onore di occidentali.
    Anzitutto, è il minimo, li chiameremo con il loro vero nome: onore ai patrioti di Falluja.
    Onore agli eroi di Falluja, onore a Falluja.
    La El Alamein dei sunniti.
    La Stalingrado dei tikriti.

    Maurizio Blondet




    Note

    1) «Genocide in Falluja», Brussel Tribunal, 25 marzo 2005.
    2) «Falluja may slip out of US control», Uruknet, 27 marzo 2007.






    http://www.effedieffe.com/rx.php?id=1866%20&chiave=La

  4. #4
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    Predefinito 11 marzo 2005

    VIDI FALLUJA E PO' MORI

    11 mar 2005

    by Sammy
    DI MAURIZIO BLONDET





    Dopo l’atroce battaglia di Falluja, l’armata americana vi è entrata con bull-dozer e autobotti. I bull-dozer hanno cominciato a scorticare il terreno tutto attorno ai crateri di esplosione delle loro bombe. Hanno asportato accuratamente 200 metri quadri di terreno attorno ad ogni cratere, caricato la terra su autocarri e l’hanno portata in località sconosciuta (1). La stessa cosa hanno fatto con alcune delle case bombardate. Hanno abbattuto gli edifici e portato via il materiale. Queste operazioni sono state compiute soprattutto nei quartieri di Julan e di Jimouriya, teatro dei più feroci scontri, ma anche a Nazal, Mualmeen, Jubail. Attenzione, solo “alcune” case sono state demolite. Quelle dove erano cadute le “bombe speciali” usate dagli americani. Le stesse che avevano formato i crateri accuratamente ripuliti.

    Di che bombe si trattava? Tutti gli abitanti di Falluja che erano ancora in città durante i raid le hanno descritte così. “Facevano una colonna di fumo a forma di fungo. Poi, piccoli pezzi cadevano dall’aria, con una coda di fumo dietro ogni pezzetto”. Cadendo, questi “pezzetti” esplodevano con grandi fiammate che “bruciavano la pelle della gente, anche quando vi si gettava sopra dell’acqua. Molti hanno sofferto tanto per questo effetto, combattenti non meno che civili”.
    E’ la descrizione esatta degli effetti di bombe al fosforo, molto usate dai liberatori anglo-americani contro Germania e Giappone. Ma vietate dalle convenzioni internazionali, e perciò sostituite dagli Usa con l’invenzione del Napalm, mistura gelatinosa e adesiva di celluloide sciolta in benzina che ha il “vantaggio”, come il fosforo, di appiccicarsi alla pelle mentre brucia, ed è molto più economico (brevetto Dow Chemicals). L’uso del fosforo però è più “efficiente” se lo scopo è di ridurre corpi umani a tizzoni ardenti carbonizzati, con un effetto terroristico aggiuntivo.
    L’uso di queste armi è un crimine contro l’umanità. Ecco perché, dietro ai bull-dozer, il Pentagono ha inviato anche grosse autobotti: le quali hanno “lavato” con potenti getti forzati tutti i muri o quel che ne restava in piedi, evidentemente per dilavare il fosforo. E’ il tentativo di coprire il crimine, di farne sparire le tracce.

    Ciò potrebbe spiegare anche parte della sciagurata avventura di Luciana Sgrena. Come si ricorderà, la giornalista stava andando a un appuntamento con alcuni profughi di Falluja quando fu, molto opportunamente per i criminali di guerra, “rapita” da “insorti”. Altrimenti avrebbe potuto raccontare di quelle bombe al fosforo, cosa che non hanno mai fatto “i grandi giornali” neocon ed ebraici, come il Corriere della Sera o il New York Times. Lo stesso discorso si può fare per la francese Aubenas di Libèration: sempre giornalisti di piccoli giornali no-global poco controllabili dalla nota lobby.
    Naturalmente, la Sgrena non ha saputo nulla: ha recitato la parte che le è stata assegnata, “drammatizzando” in video, e ascoltando i suoi rapitori ripetere che in Irak “non vogliono nessuno”, nemmeno, anzi specialmente, giornalisti simpatizzanti con la guerriglia; frasi che acquistano un senso illuminante, se attribuite a “terroristi” dal Pentagono. La sua tentata uccisione dopo la “liberazione” con riscatto pagato dai contribuenti ai cosiddetti “insorti” (probabilmente la solita banda Al-Mossad, che ci ha fatto anche un guadagno) può essere interpretata forse come “una lezione” da dare agli italiani. E va ascritta anche ad errori da parte italiana. Il primo dei quali è non voler capire chi è, in Irak, il nemico principale.
    Maurizio Blondet
    Fonte:www.effedieffe.com

  5. #5
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    Predefinito Ramadi come Falluja

    Ramadi come Falluja, altro martirio
    Maurizio Blondet
    16/06/2006
    Marines durante un'operazione a Ramadi

    IRAQ - Sopra Ramadi è cominciato l’attacco aereo.
    I caccia bombardieri solcano il cielo.
    Decine di migliaia fra marines e «soldati» del nuovo esercito iracheno, ossia miliziani sciiti e squadroni della morte, convergono sulla città.
    Gli altoparlanti americani avvertono la popolazione (questa capitale della provincia di Anbar ha 50 mila abitanti più di Falluja) del «forte attacco imminente».
    Decine di migliaia di abitanti restano tuttavia nelle loro case, non sapendo dove andare e temendo le milizie sciite.
    Ma ormai da settimane, in realtà, Ramadi viene strangolata.
    Al modo in cui Israele soffoca i palestinesi di Gaza.
    «Ramadi è stata privata di acqua, luce, telefoni e altri servizi da circa due mesi», ha detto un visitatore della città al giornalista iracheno Dahr Jamal (1).
    «Gli americani e le forze governative hanno detto chiaro alla popolazione che non avranno nessun servizio ospedaliero se non consegnano i ‘terroristi’. Le operazioni militari vere e proprie sono cominciate da una settimana, ma i marines pare abbiano dei problemi a prendere una città che è molto più grande di Falluja. Le uccisioni di civili da parte di cecchini e di soldati sui cingolati USA sono un fatto quotidiano. Il punto che rende la situazione degli abitanti di Ramadi anche più difficile di quelli di Falluja nel 2004 è che non possono fuggire a Baghdad, per paura degli squadroni della morte del governo».

    Il visitatore anonimo dice: «ogni nuovo governo comincia con un massacro», come l’altro governo provvisorio «democratico» assistette al massacro di Falluja, ora tocca a Ramadi.
    «E’ il prezzo che gli iracheni devono pagare, specie nelle zone sunnite».
    Dice ancora questa voce: «l’armata USA sta intimando alla popolazione di abbandonare la città. D’altra parte, il governo e gli americani hanno chiarito che le milizie partecipano all’attacco. L’ONU e il mondo tacciono come al solito, e tutti s’infischiano di quello che sta per accadere a Ramadi».
    Pochissime le notizie.
    Fra queste, alcune parlano di migliaia di residenti che hanno effettivamente lasciato la città, ma sono stati impediti di entrare a Baghdad.
    Sono accampati nei dintorni, senza tende, né cibo, né acqua (un crimine di guerra in sé, quando l’occupante non provvede agli occupati) e non sanno dove andare.
    «Sta per avvenire una catastrofe umanitaria», ha detto al parlamento iracheno Hassan Zaidan Lahaibi, membro del consiglio dei rappresentanti alla camera: «gente viene uccisa e ferita ogni giorno, gli altri vagano senza meta».
    Molte case della periferia sono state occupate dai temutissimi marines, che vi bivaccano con gli abitanti dentro, e ne usano i tetti come postazioni di cecchini.
    Gli abitanti devono convivere con la soldataglia - spesso drogata, alcolizzata, sotto stress - che non si fa scrupoli di sparare su donne e bambini.
    Ormai è una routine, i comandi USA compensano le famiglie degli uccisi con circa 2.500 dollari per ogni civile trucidato; fino ad oggi hanno speso 19 milioni di dollari.

    Il silenzio-stampa attorno a Ramadi è calato più fitto e sinistro di quello che preluse all’attacco di Falluja nel novembre 2004, segnale che anche lì si useranno armi proibite e di sterminio come le bombe al fosforo, e si compiranno atrocità.
    I giornalisti, anche «embedded» e americani, non sono ammessi.
    Di fatto, la sola fonte sono le poche voci che possono ancora comunicare dalla città assediata, e la propaganda USA.
    Anche questa molto laconica.
    Il portavoce dell’occupante, maggiore Todd Breasseale, ha solo annunciato, diversi giorni fa, lo spostamento di 1.500 soldati americani dal Kuwait a Ramadi, con queste parole: «lo spiegamento di questa forza consentirà ai capi tribali ed ai funzionari del governo di perseguire il difficilissimo compito di strappare la loro città agli elementi criminali». Lo stesso enunciato che Israele ripete a Fatah: disarmate i terroristi voi stessi, l’occupato deve collaborare con l’occupante.
    Ramadi assetata e affamata attende il proprio martirio di fuoco dal cielo, come Falluja.
    E come questa, sarà resa inabitabile: altra tattica israeliana, che gli americani hanno portato a brutale perfezione.
    E nonostante ogni brutalità, l’America non sta vincendo.
    Lo dice un’analisi del Guardian (2), che si spinge a temere una «nuova Dunquerque» per il corpo di spedizione britannico.

    Il rischio maggiore, dice il giornale, non viene dalla guerriglia, ma dalla «disintegrazione dell’armata» occupante «usurata dallo stress».
    I marines che hanno compiuto la strage di civili di Haditha, per esempio, non avrebbero dovuto essere più in Iraq da tempo: stavano compiendo il terzo turno sulla linea del fuoco, erano già a Falluja nel 2004 e là sono stati impegnati in combattimenti casa per casa, non ricevono rincalzi né avvicendamenti, né veri turni di riposo.
    La moglie di un sergente della Compagnia Kilo, la più segnalata per i massacri immotivati di civili, ha parlato a Newsweek di un «crollo totale della disciplina», specie dopo l’arrivo del nuovo comandante, colonnello Jeffrey Chessani: «droga, alcol, bullismo, tutto insieme. Sono convinta che quando hanno ammazzato quei civili ad Haditha, i ragazzi erano tutti sotto l’effetto di qualche eccitante».
    E i comandanti militari dicono in privato che Haditha è solo la punta dell’iceberg, e sussurrano che la guerra «è perduta».
    John Burns, inviato del New York Times, che non è un pacifista, ha detto in un talk show televisivo che l’esercito americano «ha perso sia l’iniziativa, sia il controllo».
    Quanto ai soldati britannici nell’area meridionale di Bassora, hanno cessato i pattugliamenti offensivi.
    Se ne stanno nei loro quartieri fortificati.
    Pare che sia diventato pericoloso, per loro, anche far alzare gli elicotteri di giorno.


    La scarsità delle truppe occupanti, che tre anni fa già era un problema, oggi rischia di diventare disastrosa.
    Le usurate truppe USA compensano sempre più la loro debolezza numerica e operativa con l’aumento del volume di fuoco, fino a rendere ogni cosa, edificio e persona a frammenti sanguinosi. L’effetto politico è di accrescere l’ostilità circostante.
    Con quali effetti finali?
    Lasciamo la parola al Guardian.
    I britannici sono ancora in grado di evacuare attraverso il porto di Bassora, anche «sotto il fuoco», perché lo controllano.
    Ma radunare le sparse e indisciplinate truppe americane e tirarle fuori di lì «rischia di diventare un calvario».
    La riturata «sotto fuoco nemico» ma anche della guerriglia, è sempre difficile; specie per un’armata «con problemi di disciplina a livello di compagnia e di plotone».
    Un’evacuazione dal cielo significherebbe abbandonare miliardi di dollari di materiali; dal mare, sarebbe impossibile per l’assenza di porti adeguati.
    La sola via di ritirata sarà la strada per il Kuwait sulla quale 15 anni fa l’America vittoriosa distrusse le forze armate di Saddam, e che percorse quattro anni fa trionfalmente puntando su Baghdad…
    Se queste cose appaiono su un giornale inglese, è perché vengono raccolte dalle bocche di comandanti sul posto.
    Sono queste che parlano di «una nuova Dunquerque».
    E che spiegano le atrocità americane come il collasso di un esercito già disfatto.
    E Ramadi come il colpo di coda di un Quarto Reich in rotta morale.

    Maurizio Blondet

    Note
    1) Dahr Jamal, «Ramadi, Falluja redux», Antiwar.com, 16 giugno 2006.
    2) Nicholas von Hoffman, «Nightmare scenario», The Guardian, 13 giugno 2006.




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