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    Predefinito Soldi pubblici gettati...

    ....al vento

    D’ora in avanti per indicare qualcuno o qualcosa dagli effetti nefasti, nessuno si azzardi più a dire «fa più danni della grandine». L’invito è a correggere l’affermazione cambiando lo strumento. È a usare da domani «fa più danni dell’eccesso termico». Sacrosanto, specie se vi trovate in Calabria.
    Quella che ha l’aria di una boutade di fine luglio, però nei fatti è qualcosa di molto serio. La questione è legata agli indennizzi per gli agricoltori in caso di eventi naturali imprevedibili, un risarcimento previsto da una legge del 1970 che ha istituito il Fondo di solidarietà nazionale, per promuovere interventi di prevenzione e di soccorso nelle aree colpite da calamità naturali o da altri cataclismi eccezionali.
    Lo scopo è quello di favorire la ripresa e la produttiva delle imprese danneggiate, insomma una prima mano per «riavviare la macchina» e tamponare la perdite economiche degli agricoltori.
    Il caso singolare, che il quotidiano Italia Oggi ieri in edicola evidenzia, è quello legato alla Calabria. Ebbene, spulciando tra le richieste di risarcimento, o meglio, di accesso al Fondo, si scopre che nella regione guidata da Agazio Loiero nel 2007 deve aver fatto davvero molto caldo, un «eccesso termico» appunto tale da produrre danni a dir poco considerevoli. Che sommati a quelli causati da una tromba d’aria e da alcune gelate ad inizio 2008 hanno portato l’amministrazione a chiedere allo Stato ben 446 milioni di euro (e spicci) di risarcimento. Più o meno simili a quelli, ricorda Italia Oggi (e come non essere d’accordo) prodotti da un terremoto.
    Per capire ancora di più, bisogna spiegare che il Fondo prevede l’assegnazione dell’ammontare in maniera proporzionale (e fissa) alla richiesta effettuata dalle regioni. Questo significa che più alto sarà il danno quantificato (e comunicato), maggiore sarà la percentuale e di conseguenza la cifra a cui si avrà diritto.
    Detto questo, una cosa sono le richieste e un’altra le disponibilità. Perché per tutto il 2008 e per tutte le regioni, il Fondo prevede una dotazione di appena 48,151 milioni di euro. Tradotto in ottica calabrese, significa che a Loiero andrà circa il 31,6% del totale, pari a poco più di 15 milioni e 200 mila euro.
    Ma non è poi così diversa la situazione nelle altre regioni italiane. Un po’ a sorpresa, scopriamo che l’Emilia Romagna ha dichiarato danni per quasi 273 milioni di euro, dovuti in gran parte alla siccità che si è abbattuta sulla regione tra l’ottobre 2006 e il settembre 2007.
    Per il gioco delle percentuali, il governatore Vasco Errani potrà così iscrivere in bilancio poco più di 8 milioni e 600 mila euro. Un fenomeno che però, fa notare il quotidiano, non sembra aver particolarmente interessato le contigue Marche e Toscana. Anzi, la terra di Dante pare sia stata toccata, nell’aprile scorso, solo da una tromba d’aria che ha causato guasti e rotture per 130 mila euro. Meglio così, anche perché il risarcimento sarà di appena 5000 euro, cioè lo 0,01 del totale. Ancora più fortunate le Marche che non hanno avanzato nessun tipo di pretesa.
    Ma non a tutti è andata così. Perciò se, singolarmente, in mezzo alle richieste di risarcimento del Veneto per piogge e alluvioni ce n’è una, più o meno nello stesso periodo, per siccità, la Sicilia sale sul terzo gradino del podio. Tra giugno e agosto dello scorso anno succede un po’ di tutto, tra venti sciroccali ed eruzioni dell’Etna che provocano danni per quasi 192 milioni di euro, cioè il 13,65 del totale.In questo caso, a finire nel paniere del presidente della regione Sicilia, Raffaele Lombardo, saranno un po’ più di 6 milioni e mezzo.
    Il provvedimento che prevede l’erogazione degli importi, superato lo scoglio della conferenza Stato Regioni, sarà diramato a breve. Con alcune critiche, nella specie, relativamente al «divario tra entità dei danni denunciati dalle regioni e risorse disponibili». Seguite dall’invito alle amministrazioni ad integrare il Fondo con proprie risorse.
    Il tutto con una anomalia. La quantificazione dell’entità del danno è prerogativa delle Province che fanno le istruttorie. La palla poi passa a Regioni e ministero delle Politiche agricole. Senza però nessun ente «terzo» chiamato a fare una verifica sull’effettività delle dichiarazioni. Che se «maggiorate» ad arte si tradurrebbero in un gettito indebitamente ottenuto. Certo, ci sono calamità capaci di mettere in ginocchio regioni intere e obbligano gli enti locali a sborsare cifre da capogiro. Ma quando si chiedono fior di risarcimenti per un fulmine o per un vento di scirocco, spira aria di doppio gioco.

    Stefano Casamassima www.ilgiornale.it 27 07 08

    saluti

  2. #2
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    Predefinito Ma quanto ci costa lo scirocco

    Il termine calamità evoca, di solito, emergenze e improvvisi bisogni e chiama la comunità nazionale a sforzi ed erogazioni straordinari per soccorrere le popolazioni colpite.
    Ma lo stesso termine, nella straordinaria trasformazione dovuta alla peggiore prassi politica ed amministrativa, può anche significare inganno e truffa, espediente socialmente accettato e politicamente tollerato di indebito sfruttamento delle risorse pubbliche.
    Sono in molti ad evocare lo stato di calamità, regioni ed enti locali, per poter mungere le mammelle gonfie, nonostante la crisi, del latte statale.

    Prendiamo la Regione Calabria.
    Questo governatorato, miserevolmente guidato dal centrosinistra, ha lamentato, per il 2007, un “eccesso termico” e per il 2008 alcune gelate, che sommati ai presunti effetti di una tromba d’aria hanno legittimato sulla carta una richiesta di oltre 400 milioni di euro.
    L’autore di questa nota è nato in Calabria e lì ha vissuto fino alla maggiore età. Ha subito, per più anni, l’eccesso termico dovuto alle pessime abitudini dell’estate e, pur nelle difficoltà che la congiuntura riservava alle parti economicamente più deboli del Paese, nessuno pensava che lo Stato dovesse compensare il caldo eccessivo. Il solleone era il solleone, non una calamità.
    Forse eravamo arretrati nel non chiedere allo Stato il rimborso per la temperatura elevata, ma non credo che le attuali procedure garantiscano maggiori disponibilità e un più vigile senso critico: si sopravvive, quando va bene, di elemosine e furti, malamente dissimulati, alle casse dello Stato.

    Ma non spariamo soltanto sulla Calabria. Anche l’Emilia Romagna ha chiesto risarcimenti e aiuti per i danni provocati dalla siccità.
    Più difficile, sul piano della logica, la posizione del Veneto, che chiede risarcimenti, oltre che per le alluvioni, anche per la siccità.
    La calamità, intesa come straordinaria manifestazione, irrituale, della forza della natura, è diventata un espediente burocratico, un capitolo corrente di appropriazione indebita che, per il semplice fatto di essere effettuata su risorse pubbliche, con procedure collaudate, diventa lecita e socialmente accettabile.

    La vera calamità è questa, che cioè la rappresentazione di un pericolo denunciato e non sempre subito oltre i limiti del normale andamento delle cose possa consentire uno sfruttamento delle risorse pubbliche.
    È difficile pensare a una riduzione delle tasse, quando tutti paghiamo l’imposta sulle calamità vere o presunte e non riusciamo a individuare chi ha realmente bisogno dell’aiuto dello Stato e chi ciurla nel manico gonfiando calamità che aiutano soltanto politici spregiudicati.

    Salvatore Scarpino www.ilgiornale.it 27 07 08

    saluti

  3. #3
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    Predefinito 32 miliardi per il terremoto dell'Irpinia

    Ventisette leggi, ventotto anni, fondi equivalenti a tre finanziarie, a due punti di prodotto interno lordo: dal 1980 a oggi lo Stato ha stanziato per il terremoto dell’Irpinia 32 miliardi e 363 milioni di euro.
    Una cifra che si fa fatica a convertire nelle vecchie lire (più o meno 60mila miliardi). Supera l’intero debito estero della Bulgaria, corrisponde al sestuplo dell’Alta velocità ferroviaria Bologna-Firenze, consentirebbe di costruire 30 aeroporti di Malpensa.
    Eppure è certificata dal «supervisore» dei bilanci pubblici, la Corte dei conti, che ha appena compilato quattro pagine di tabelle per spiegare quando e come lo Stato ha versato soldi per quel sisma, più altre venti, nella relazione pubblicata il 25 luglio sulla «gestione dei fondi del terremoto dell'Irpinia e della Basilicata», per chiedersi perché si è speso tanto per una tragedia che ha portato morti in 2mila famiglie ma da cui è partita una ricostruzione inspiegabilmente lenta e costosissima.
    «Dopo oltre 27 anni dal sisma che ha colpito alcune regioni meridionali - scrivono i giudici contabili nella relazione - continuano ad essere finanziati con nuovi stanziamenti gli interventi di ricostruzione».
    I 32 miliardi di euro sono riferiti ai soli contributi statali: ne sono esclusi i quasi trentennali stanziamenti regionali di Campania e Basilicata.
    Gli ultimi soldi, 157 milioni 500mila euro, sono arrivati con la Finanziaria 2007 del governo Prodi, che ha previsto un ulteriore «contributo quindicinale».
    Ma lo stanziamento, scrive la Corte, «è rimasto del tutto inutilizzato nel corso dell’anno non essendo stato emanato il previsto decreto del presidente del Consiglio, che doveva fissare puntuali criteri e modalità di distribuzione delle risorse tra i Comuni dell’Irpinia e della Basilicata».
    In pratica si è stanziato denaro fino al 2022, ma per la burocrazia italiana fatta di decreti attuativi senza i quali nulla si può spendere, nemmeno con una legge finanziaria, i 157 milioni di euro sono rimasti fermi.
    Soldi che poi non sarebbe facile distribuire, dal momento che «ha subito ritardi la definitiva fissazione del fabbisogno di ciascuna amministrazione».
    Una «serie di complicazioni» sorte «in sede decentrata» che hanno plasmato la triste storia della ricostruzione dell’Irpinia, non solo quella più recente.

    Finalmente, il 13 giugno del 2008, è stato il nuovo governo a mettere la firma che consente di spendere i fondi bloccati «per la distribuzione delle risorse».
    Come se non bastasse, la Corte dei conti si è ritrovata in mano una serie infinita di contenziosi «presso le diverse amministrazioni e organi subentrati», ancora non quantificabili in costi «per la carenza di un completo e aggiornato monitoraggio».
    Il fatto anzi che lo Stato, pur continuando a pagare, abbia ridotto gli stanziamenti per l’Irpinia negli ultimi anni, rischia di ritardare i pagamenti dei contenziosi e di «far lievitare i relativi oneri per gli interessi di mora da parte dei creditori».
    Una spesa di cui non si intravede il limite, che anche fosse ancora ridotta, creerebbe solo altre spese per lo Stato per cause vecchissime da saldare.
    Un buco nero del bilancio pubblico: un conto giudiziario, ammette la Corte dei conti, che «al momento non è nemmeno presumibilmente quantificabile...».
    E che potrebbe portare sorprese in negativo oltre al saldo certificato del costo generale.

    «Nidi di vespe sfondati», aveva definito Alberto Moravia le case distrutte dal terremoto del 23 novembre del 1980 in Campania e Basilicata. Scossa del settimo grado della Scala Richter, duecentottantamila sfollati, 2914 morti, un numero di Comuni da aiutare che nel corso degli anni è salito a quota 679, classificati in «disastrati», come Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi e Conza della Campania, «gravemente danneggiati» e «danneggiati».
    Stato commissariale per gestire la situazione, primo stanziamento, corrispondente agli attuali 3 miliardi e 700 milioni di euro, con la legge 219 dell’81.
    Poi altri 26 provvedimenti (due nell’83, uno nell’84, uno nell’86, e via così fino al 2007), tra finanziarie e decreti legge, per nuovi fondi a volte tolti nelle manovre correttive ma poi reinseriti per un totale che supera i 32 miliardi di euro.
    E che continua a salire, a 28 anni da quelle prime settimane di disperazione e sospetti in cui l’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, fendendo l’aria con la pipa in un intervento televisivo si sdegnò:
    «Se vi è qualcuno che ha speculato io chiedo: costui è in carcere, come deve essere? È in carcere?».
    E.Fontana www.ilgiornale.it 27 07 08

    saluti

    p.s Povero Pertini!

  4. #4
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    Predefinito Ecco e regioni .....

    ....mangiasoldi

    Milano - Undici regioni a un passo dal crac. Soldi che finiscono nel colabrodo dei «servizi di pubblica utilità», senza essere compensati dal fisco locale e dalla copertura dello Stato, lasciando i conti inesorabilmente in rosso. Mancano 47 giorni e il 12 settembre la riforma che introduce il federalismo fiscale arriverà in Consiglio dei ministri. Ma come stanno le regioni italiane all’alba della svolta? Sicilia, Campania, Calabria, Puglia, Sardegna, Basilicata, Abruzzo, Molise, Trentino Alto Adige, Umbria e Valle d’Aosta già molto male. In rigoroso ordine di chi sta peggio. A scapito del club dei virtuosi, oggi frequentato da appena nove autonomie territoriali: Lombardia (di gran lunga la più ricca), Lazio (staccata di molto), Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Liguria, Friuli Venezia Giulia e Marche.

    Un filo ideale sembra tagliare la Penisola, secondo l’analisi del Centro Studio Sintesi. Da Perugia in giù, ad eccezione di Roma - in favore del Lazio, però, lo Stato continua a versare di più in assoluto, oltre 12 milioni e mezzo di euro - il passivo fa colare a picco le amministrazioni regionali ben al di sotto della soglia di autosufficienza. Il calcolo è semplice: non bastano le entrate fiscali delle Regioni (Iva, Irpef, Irap, Ires e addizionale regionale Irpef) a compensare le uscite (al netto delle spese per rimborso di prestiti e dei trasferimenti da altri enti pubblici) declinate nei principali servizi al cittadino tra cui sanità, trasporti, assistenza sociale e istruzione. Un indicatore parziale, dicono i tecnici, ma altrettanto significativo del deficit che presto saranno chiamati a fronteggiare undici governatori italiani su venti.

    Il rosso, certo, ha sfumature diverse. Profondo quello della Sicilia, con 17,6 miliardi di euro di differenza tra spesa e gettito vale a dire 3.500 euro per abitante. Seguono nella graduatoria dei dissesti più pesanti la Campania (meno 11,4 miliardi), la Calabria (- 6,2), la Puglia (- 5,9) e la Sardegna (- 3,2). Con una certezza: nemmeno le regioni a statuto speciale potrebbero permettersi di recuperare gli investimenti di competenza con l’attuale regime di tributi imposti. A parte il caso Friuli Venezia Giulia, che vanta una bilancia di pagamenti in positivo per 520 milioni. Proprio così: quelle regioni spesso indicate come modelli di autonomia finanziaria non godono affatto di ottima salute.

    Il Trentino Alto Adige, infatti, è scivolato dietro al Molise. E la Valle d’Aosta resta comunque tra gli enti in difficoltà, sebbene con «soli» 609 milioni di buco. «Ci saranno forme di deterrenza per le regioni inadempienti sul federalismo fiscale», avverte il governo. «Prima di tutto eviteremo l’innalzamento della pressione fiscale nei territori a gestione inefficiente» - spiega il ministro del Welfare Maurizio Sacconi -. Sarebbe un’inaccettabile punizione nei confronti dei cittadini. Lavoriamo a un’ipotesi di “fallimento” politico. Cioè un commissariamento dell’istituto, con la consegna dei libri non al tribunale, bensì agli elettori».

    la redazione de www.ilgiornale.it

    saluti

  5. #5
    Pasdar
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    Livori polentonici da piccola bottega.
    «Non ti fidar di me se il cuor ti manca».

    Identità; Comunità; Partecipazione.

 

 

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