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    Predefinito Sacerdozio e diaconato femminili nella Chiesa antica?

    Un po' di giorni fa, discutendo con un forumista privatamente, stimolato da una discussione che era stata aperta altrove, ho avuto modo di sviscerare questo tema.
    Innanzitutto sembra di poter porre dei paletti, irrefutabili, a questa indagine.
    Non esistono casi di sacerdotesse od "episcope", cioè donne-vescovo, all'interno della Chiesa primitiva ufficiale. Qualche sporadico caso si è posto, per la verità, nel caso di sacerdotesse, ma si tratta di ambiti fuori della Chiesa, di matrice settaria, che, dunque, non possono essere presi seriamente in considerazione.
    Quanto alle "episcope", ha destato in passato particolare attenzione il caso rappresentato dalla "Episcopa Theodora". Di che si tratta? In un mosaico della nella cappella di S. Zeno o Zenone, nella Basilica di Santa Prassede a Roma, compaiono quattro busti muliebrii: la Madre di Dio tra le due sante sorelle martiri Prassede e Prudenzianta e poi, alla destra di chi guarda una figura il cui nimbo non è circolare ma quadrato, segno che trattasi di persona ancora vivente all'epoca in cui fu completata l'opera musiva. Intorno al nimbo la scritta "THEODORA EPISCOPA":

    Scuola romana, "Episcopa Theodora", IX sec., Cappella di S. Zeno, Basilica di S. Prassede, Roma

    L'applicazione di questo titolo ad una donna - che, peraltro, dovrebbe dirsi unico, non esistendo, a quanto ne sappia, altri simili - ha fatto pensare alcuni che, nella Chiesa primitiva, almeno sino all'epoca di papa Pasquale I (inizi IX sec. d.C.), vi era l'uso, pure per le donne, di diventare "vescovi". Questo è stato, ad es., uno degli argomenti portato dagli anglicani per giustificare l'ordinazione sacerdotale ed episcopale pure per le donne.
    A parte l'eccezionalità e singolarità del reperto - non esistendo precedenti in termini - che non consente di trarre conclusioni univoche e sicure, l'argomentazione non regge.
    La feminilizzazione dei termini clericali, infatti, era tradizionalmente associata alle mogli del clero. Presbytera e diakonissa sono ad esempio usate attualmente per indicare le mogli dei presbiteri e dei diaconi nella Chiesa Ortodossa. Poiché la chiesa antica aveva vescovi sposati, il titolo di episcopa indica semplicemente la moglie di un vescovo. Di conseguenza nel caso della Teodora del IX secolo il titolo onorario di episcopa le fu dato a causa della posizione del figlio come Vescovo di Roma. La Teodora in questione, quindi, vissuta a Roma nel IX secolo, non era una "vescovessa" ma era la madre di Papa Pasquale I (cioè il vescovo di Roma) il quale fece edificare la cappella al fine di - a tempo debito - seppellirivi la madre e per suffragarvi l'anima della pontificia genitrice all'altare della medesima cappella dedicata alla Santa Vergine dal bell'appellativo di "Santa Maria libera nos a poenis Inferni".
    Più complesso e più serio è l'argomento legato alle "diaconesse", benché il caso ora segnalato smorzi parecchio della sua forze persuasiva.

  2. #2
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    Predefinito Fermiamoci, in primo luogo, alle "Costituzioni apostoliche"

    Le fonti vanno lette nel loro complesso, non in maniera frammentata ed asistematica. Ebbene, se si leggessero le stesse Costituzioni apostoliche (d'ora innanzi CA), III, 19.1, si vedrebbe che ivi sono specificati i compiti delle diaconesse, che devono occuparsi del "servizio delle donne", del buon ordine dei locali occupati dalle donne (CA II, 57.10; 58.6), filtrando chiunque vi entrasse (CA II, 58.6).
    Insieme ai diaconi maschi, si occupavano della distribuzione dei beni alla comunità, dei forestieri e del servizio e dell'assistenza (ai poveri). I diaconi o i suddiaconi sorvegliavano poi le porte degli uomini e le diaconesse (CA II, 57.10; VIII, 11.11).
    Insomma, le diaconesse accompagnavano le donne, tant'è che Epifanio di Salamina si limita a giustificare ciò adducendo ragioni di decenza (PG 42, 744-745). E Severo d'Antiochia, in una lettera scritta tra il 519 ed il 538, ricorda che le diaconesse avevano il ministero di accompagnare le donne nel bagno rigeneratore del battesimo. Proprio le Costituzioni apostoliche chiariscono che il servizio di assistenza delle diaconesse, nei confronti delle donne, si giustifica a causa dell'opinione di alcuni malevoli (III, 16.1). Anzi, si raccomanda che fossero le diaconesse a visitare le donne malate ed a fornire loro il necessario, a lavare le loro persone, ecc. Tutto questo si comprende se si considera che, nella Chiesa primitiva, vi era una rigida separazione tra gli uomini e le donne, persino nelle assemblee eucaristiche (cfr. CA, II, 57.17 e VIII, 11.9). E la riprova che l'imposizione delle mani alle donne non comportasse il conferimento di un vero e proprio ordine sacro è data dal fatto che proprio le Costituzioni apostoliche escludono radicalmente che le diaconesse si "accompagnino ai presbiteri ed ai diaconi (sottinteso maschi)" (CA VIII, 28.6-8). Anzi, proprio le costituzioni, nello stesso passo, precisano che i suddiaconi, i lettori, i cantori e le diaconesse "servono il diacono" (maschio, evidentemente). Insomma, è escluso per le diaconesse ogni ruolo di "presidente" dell'assemblea al pari di un laico. Viceversa, secondo le testimonianze dei Padri (ad es., sempre il sopraccitato Epifanio di Salamina), le diaconesse hanno un ruolo fondamentale nella guida dei monasteri femminili (è ricordato, ad es., nelle fonti il caso di una certa Olimpia), ruolo nel quale assumeranno - con l'evoluzione dei tempi - la funzione di badesse, tant'è che gli storici vedono in questo compito l'origine, appunto, della figura della badessa dei monasteri.
    Quanto al rito di imposizione delle mani, in primo luogo, le diaconesse sono menzionate dopo il vescovo, il presbitero ed il diacono, ma prima del suddiacono e del lettore, come fa del resto pure una costituzione imperiale di Teodosio II e Valentiniano III del 434 d.C. Va considerato che, secondo le Costituzioni, il rituale è pressocché identico per il presbitero, il diacono, la diaconessa, il suddiacono ed il lettore (CA VIII, 16-22), comportando per tutti l'imposizione delle mani con l'epiclesi dello Spirito santo.
    In altre parole, qualsiasi ministero, nella Chiesa primitiva si svolgeva con l'imposizione delle mani e con l'invocazione dello Spirito Santo (CA VIII, 21-22). Questo lo spiega bene Teodoro di Mopsuestia nel suo commento ad una lettera paolina (1 Tim 3, 14-15), dal momento che coloro che ricevevano quei ministeri, in maniera diretta o indiretta, avevano a che fare ed a servire "alle cose sante". In questo contesto, visto il peculiare ministero rivolto alle donne, le diaconesse ricevevano l'imposizione delle mani per una scelta di carattere pastorale compiuta dalla Chiesa primitiva; esigenza che nasceva dal bisogno di evitare voci critiche - specie presso i pagani - in chi visitava a domicilio le donne malate e, d'altro canto, sempre per lo stesso motivo, di procedere all'unzione battesimale delle donne. In questo contesto, si può considerare l'istituzione di ministeri femminili come un'iniziativa pastorale, evitando che le differenze sessuali siano di ostacolo al ricevimento dei doni di Dio ed alla trasmissione del messaggio cristiano, soprattutto nel momento del battesimo e dell'assistenza domiciliare. Per tale motivo, l'imposizione delle mani e l'epliclesi allo Spirito si comprendono come azioni con le quali si domandano i doni dello Spirito per i ministri incaricati di certe funzioni all'interno della Chiesa. S. Giovanni Crisostomo, nelle su Omelie sugli Atti degli Apostoli (15, 1, in PG 60, 119 C), spiega che "la grazia solo non è sufficiente. C'è bisogno dell'imposizione delle mani, di modo che ci sia un'aumento dello Spirito già ricevuto col battesimo".
    Ecco, dunque, spiegato il "mistero" delle diaconesse nella Chiesa antica.

  3. #3
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    Predefinito

    Taluno potrebbe obiettare, onde assimilare il ruolo dei diaconi uomini alle "diaconesse" quanto afferma il Vaticano II:

    È ufficio del diacono, amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l'eucaristia, assistere e benedire il matrimonio in nome della Chiesa, portare il viatico ai moribondi, leggere la sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, presiedere al rito funebre e alla sepoltura. Essendo dedicati agli uffici di carità e di assistenza, i diaconi si ricordino del monito di S. Policarpo: "Essere misericordiosi, attivi, camminare secondo la verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti" (Vaticano II, Lumen Gentium, n. 29).
    A prescindere dalla questione che questo forum, per netiquette, non riconosce alcun valore a questo sedicente documento conciliare, promulgato, come detto anche altrove, da un antipapa, Montini, ad ogni buon conto esso non apporta nulla, in termini di discussione, al tema che ci sta occupando.
    Infatti, si è detto che l'ufficio diaconale femminile, nella Chiesa primitiva, era stato riconosciuto per mere ragioni pastorali, onde evitare di prestare il fianco a polemiche, in specie con i pagani.
    Si era ritenuto, infatti, opportuno che l'assistenza, pure religiosa, alle donne fosse svolta, appunto, da donne. Sta di fatto che alle diaconesse fosse, in ogni caso, riconosciuto un ruolo subordinato rispetto ai diaconi ed in ogni caso la loro posizione non consentiva di accedere al sacerdozio ministeriale.

  4. #4
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    Predefinito

    Una conferma di quanto si dice deriva dal can. 11 del Concilio di Laodicea che vieta che le diaconesse diventino "presbitere". Il canone adopera chiaramente il termine "presbutera". S. Giovanni Crisostomo, parlando del sacerdozio, si limita ad affermare che "La legge divina le ha escluse dal servizio divino (leitourgia)" (Sul Sacerdozio, III, 9). Il grande trattato di Epifanio di Salamina contro le eresie è più ricco (Epifanio, Panarion, haer., 79, c. 1-3 e c. 7-8). Anzi, la partecipazione delle donne al sacerdozio costituisce - tutt'oggi anche per la Chiesa bizantina - una delle caratteristiche dell'eresia. L'argomento utilizzato da Epifanio è che, sin dall'origine, alcuna donna ha esercitato il sacerdozio: tutti i sacerdoti nominati nell'Antico Testamento sono degli uomini; nel Nuovo Testamento, solo degli uomini sono chiamati Apostoli e, di conseguenza, i loro successori non possono che essere uomini. L'esclusione, conclude Epifanio, riposa sulla chiara volontà divina.
    Ancora il Concilio di Laodicea offre ulteriori spunti. Il can. 44 asserisce: "Non bisogna che le donne entrino nel santuario (thusiasterion)". Di fatto l'accesso è riservato solo al clero: ne sono esclusi i laici e, appunto, le donne - che pure se diaconesse - vengono considerate come appartenenti al gruppo dei laici. Le donne, può dirsi, sono più laiche dei laici uomini e considerate "più periferiche" in rapporto al sacro.
    Le donne sono escluse pure dal magistero. Il testo principe è un passo della 1° lettera a Timoteo (1 Tim 2, 12). All'interno dell'ortodossia proprio il sinodo Trullano - quello utilizzato dai sostenitori del ruolo "essenziale" delle diaconesse - al can. 70 stabilisce: "che non sia permesso alle donne di parlare nel momento della divina liturgia, ma che esse restino silenziose, secondo le parole dell'apostolo Paolo, poichè non è loro permesso di parlare, ma di essere sottomesse, come la legge anche afferma". Il testo del canone è una citazione pressocché letterale della 1° lettera di Paolo ai Corinzi (1 Cor 14, 34-35), che rinvia essa stessa alla prescrizione della Legge sulla sottomissione delle donne. Si tratta, in fondo, delle parole che, nella Genesi, Dio indirizza ad Eva dopo la caduta (cfr. Gen 3, 16). S. Giovanni Crisostomo invoca la sottomissione femminile (hupotage) che la legge divina prescrive per le donne per evidenziare che queste possono essere solo "discepole": spetta all'uomo l'onore del magistero (PG 62, 543-545). Nello stesso ordine di idee, egli ricorda che l'uomo è la testa (kephale) della donna: ora la testa non potrà essere diretta dal resto del corpo. Infine, sempre il Padre della Chiesa ricorda l'esempio di Cristo che ha inviato i 12 apostoli (uomini) ad istruire tutte le nazioni, e non ha scelto per questa missione delle donne, nonostante ve ne fossero numerose al suo seguito.
    Una piccola riserva, tuttavia, è apportata dal Crisostomo per quanto riguarda l'insegnamento: le donne possono istruire in privato (PG 51, 192): ciò che è riservato all'uomo è l'insegnamento pubblico ed il sacerdozio.

  5. #5

 

 

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