I dirigenti leghisti non sembrano avere preso di buon grado l’ultima iniziativa pubblicitaria di Ryanair nella quale, utilizzando Umberto Bossi come testimonial involontario, si critica pesantemente l’operato del governo in materia di politica aerea. Il sottosegretario Castelli si è chiesto se la presa di posizione della compagnia irlandese sia “compatibile con l'attività di operatore negli aeroporti italiani” ed ha aggiunto che lui non si avvarrà più dei servizi di Ryanair. Ancora più in la è andato Mario Borghezio con una sorprendente dichiarazione a sostegno dello Stato italiano (“la Commissione Europea verifichi se queste false affermazioni non siano lesive dell’immagine e degli interessi legittimi di uno Stato membro”). Lo stesso europarlamentare poi, dimostrando scarso senso del ridicolo, si è chiesto se la pubblicità di Ryanair: “non costituisca anche violazione della concorrenza”.
Eppure, a ben guardare, la pubblicità del vettore irlandese non dovrebbe affatto essere dispiaciuta ai leghisti, né nella forma, né nella sostanza. In maniera poco urbana, come al solito, Michael O’Leary, fa propaganda alla propria società raccontando la verità dei fatti. L’unica imprecisione del messaggio è che, ad essere oggetto di un trattamento poco piacevole da parte del governo, non sono tanto i passeggeri ma piuttosto tutti i contribuenti italiani. Sono loro che, da tempo immemorabile, fino all’ultimo prestito ponte, contribuiscono involontariamente, Bossi forse direbbe da “schiavi di Roma”, a garantire i privilegi di Alitalia. Al contrario di quanto sostiene Borghezio, è la compagnia di bandiera a violare le basilari norme della concorrenza. Senza gli aiuti di stato, in un mercato normale, la società sarebbe scomparsa da tempo.
D’altra parte, la libertà dalla schiavitù promessa a gran voce dalla Lega, sembra essere assai più apparente che sostanziale. Molto spesso si predica contro i governanti passati ma poi si ripercorrono quasi identiche le stesse strade come mostra, ad esempio, la volontà espressa negli scorsi mesi da alcuni esponenti del partito di rimpiazzare Alitalia con una compagnia pubblica del Nord. E cosa dire delle dichiarazioni della scorsa settimana del Ministro dell’agricoltura Zaia che, intervistato da La Stampa in merito al negoziato del WTO, se l’è presa, non diversamente da quanto avrebbe potuto fare un no-global, con le “multinazionali e le lobby che vogliono mettere le mani sul sistema agroalimentare” e contro le quali dovrebbero quindi essere previsti “i giusti handicap che non permettano loro azioni di dumping”. A quanto pare, al ministro, come a quasi tutti i suoi predecessori, stanno più a cuore le (presunte) ragioni di pochi produttori, fonte di consenso elettorale, di quelle dei consumatori ai quali non deve essere concessa la libertà di scegliere tra prodotti italiani e quelli stranieri. Gli agricoltori padani, come Alitalia, devono ricevere un trattamento di favore: se non sono in grado di competere nel mercato si fa uno sgambetto ai concorrenti. A rivelare lo spirito dirigista e conservatore della Lega è poi venuto negli scorsi giorni l’emendamento al disegno di legge sui servizi locali dell’ormai famoso deputato Fugatti con l’obiettivo implicito di mantenere lo status quo nel settore. La modifica proposta, che fortunatamente sembra essere stata accantonata, riammetteva infatti la possibilità di affidamento diretto per le società municipalizzate e miste quotate in borsa mettendole così al riparo dalla concorrenza. Se fossero stati presenti in Parlamento, non c’è dubbio che i rappresentanti di Rifondazione comunista avrebbero sottoscritto con entusiasmo l’emendamento del segretario della Lega Nord Trentino.
Ma, forse, ancor più rivelatrice della strana concezione di libertà dei vertici leghisti è la polemica relativa alla scuola: le dichiarazioni ostili verso i professori originari delle regioni meridionali sembrano infatti riflettere una concezione dell’istruzione al guinzaglio della politica. Ai docenti ed ai programmi ministeriali Bossi vorrebbe probabilmente sostituire quelli padani. Non un grande passo in avanti né per la libertà nè per la scuola. Niente a che vedere con le proposte avanzate già sessanta anni fa da Luigi Einaudi e da Luigi Sturzo che auspicavano il superamento del monopolio pubblico.
Nelle sue Prediche inutili lo statista piemontese scriveva: “Nulla è certo in materia di insegnamento; non sono certi i programmi, non gli ordini degli studi; non è certa neppure l’esistenza di alcuna scienza”. E al monopolio statale contrapponeva il “metodo della libertà” fondato sul principio del tentativo e dell’errore. Un metodo che presuppone la competizione fra le diverse scuole: “La scuola libera è viva e feconda, sinché chiunque abbia il diritto di dire: gli altri sono in errore e io conosco la via della verità; ed apro una scuola mia nella quale insegno cosa sia la verità e proclamo dottori in quella verità gli scolari che, a mio giudizio, l’abbiano appresa. Ma chiunque altro ha ragione di insegnare una verità diversa, con metodo diverso. In ogni tempo, attraverso tentativi ed errori ognora rinnovati, abbandonati e ripresi, le nuove generazioni accorreranno di volta in volta alle scuole le quali avranno saputo conquistarsi reputazione più alta di studi severi e di dottrina sicura”. Analoga posizione, come ha ricordato Marcello Veneziani su Libero, venne assunta nel ’68 da un altro vero ribelle, Giuseppe Prezzolini che, tra le sue modeste proposte, proponeva di abolire la pubblica istruzione ed il relativo ministero.
Quanti leghisti (ma anche forzisti) sarebbero disposti oggi a seguire la via indicata da quei maestri di libertà radicale? Assai pochi, temiamo.
Da Libero Mercato, 29 luglio 2008
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