Avrei intenzione di dare inizio, su questo Forum, ad una serie (saltuaria) di pubblicazioni relative alla letteratura italiana contemporanea (prosa critica, narrativa, poesia) legata all'impegno politico, alla critica intellettuale e sentimentale della realtà e della società, o al vero e proprio moto di rivolta del soggetto contro il sistema-mondo.
Citando un grande poeta dei nostri giorni, Gianni D'Elia, da "L'eresia di Pasolini" (Effigie, 2005), e più precisamente dal capitolo "Civile perchè incivile": "Incivile è chi è tenuto fuori della città, come non-cittadino, ma anche colui che si tenga fuori del Potere e lo critichi. E' una scuola eretica, che avrà nel Pasolini bolognese e nei suoi compagni di Officina il suo atelier teorico "marxisant", fino ai giorni corsari e luterani del suo autori di punta che si rivolgerà a ogni giovane con in mano "il Libro senza la Parola": saluto e augurio alla nuova gioventù evocata con la passione del poema politico in prosa o in versi molto prossimi alla prosa. Per un vangelo eretico, per una critica poetica della restaurazione italiana e mondiale, si allestisce un'eresia civile da parte di un soggetto incivile, diverso, scandaloso, escluso sia dalla politica che dalla poesia tradizionali".
Quello che ho intenzione dunque di iniziare, sarà un piccolo invito alla lettura della nostra "tradizione letteraria incivile".
Posterò qui interventi (articoli, brani, testi) di intellettuali e poeti, comunisti, comunardi o di sinistra alternativa e critica. Intellettuali d'epoca contemporanea, da Pasolini ad i nuovissimi, da conoscere e su cui potremo poi discutere e confrontarci.
Sono personalmente convinto che l'ideologia senza la passione, per citare ancora il titolo di un importante libro di saggi critici di Pier Paolo Pasolini (Passione e ideologia, Mondadori 1957), e quindi la lucidità della ragione senza il sentimento della poesia della vita, corra il rischio di reprimere la bellezza rivoluzionaria dell'utopia (il sol dell'avvenire) in burocrazia organizzativa, dogma, disumana astrazione.
So già che questi interventi, e lo stesso spirito con il quale tento questo esperimento, saranno spesso oggetto di derisione e disprezzo da parte di alcuni compagni.
Tentare però non nuoce, e forse in una platea di indifferenza potrà esserci un segnale colto, un dono consegnato e tramandato.
E allora sarà valsa la pena.
Inizio con un brano poetico del già citato, più volte, Pier Paolo Pasolini:
Versi del testamento (da Trasumanar e organizzar, 1971)
La solitudine: bisogna essere molto forti
per amare la solitudine; bisogna avere buone gambe
e una resistenza fuori del comune; non si deve rischiare
raffreddore, influenza o mal di gola; non si devono temere
rapinatori o assassini; se tocca camminare
per tutto il pomeriggio o magari per tutta la sera
bisogna saperlo fare senza accorgersene; da sedersi non c’è;
specie d’inverno; col vento che tira sull’erba bagnata,
e coi pietroni tra l’immondizia umidi e fangosi;
non c’è proprio nessun conforto, su ciò non c’è dubbio,
oltre a quello di avere davanti tutto un giorno e una notte
senza doveri o limiti di qualsiasi genere.
Il sesso è un pretesto. Per quanti siano gli incontri
– e anche d’inverno, per le strade abbandonate al vento,
tra le distese d’immondizia contro i palazzi lontani,
essi sono molti – non sono che momenti della solitudine;
più caldo e vivo è il corpo gentile
che unge di seme e se ne va,
più freddo e mortale è intorno il diletto deserto;
è esso che riempie di gioia, come un vento miracoloso,
non il sorriso innocente o la torbida prepotenza
di chi poi se ne va; egli si porta dietro una giovinezza
enormemente giovane; e in questo è disumano,
perché non lascia tracce, o meglio, lascia una sola traccia
che è sempre la stessa in tutte le stagioni.
Un ragazzo ai suoi primi amori
altro non è che la fecondità del mondo.
È il mondo che così arriva con lui; appare e scompare,
come una forma che muta. Restano intatte tutte le cose,
e tu potrai percorrere mezza città, non lo ritroverai più;
l’atto è compiuto, la sua ripetizione è un rito. Dunque
la solitudine è ancora più grande se una folla intera
attende il suo turno: cresce infatti il numero delle sparizioni –
l’andarsene è fuggire – e il seguente incombe sul presente
come un dovere, un sacrificio da compiere alla voglia di morte.
Invecchiando, però, la stanchezza comincia a farsi sentire,
specie nel momento in cui è appena passata l’ora di cena,
e per te non è mutato niente; allora per un soffio non urli o piangi;
e ciò sarebbe enorme se non fosse appunto solo stanchezza,
e forse un po’ di fame. Enorme, perché vorrebbe dire
che il tuo desiderio di solitudine non potrebbe esser più soddisfatto,
e allora cosa ti aspetta, se ciò che non è considerato solitudine
è la solitudine vera, quella che non puoi accettare?
Non c’è cena o pranzo o soddisfazione del mondo,
che valga una camminata senza fine per le strade povere,
dove bisogna essere disgraziati e forti, fratelli dei cani.