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Discussione: Nord contro sud....

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    Predefinito Nord contro sud....

    ....La guerra dei bidelli.

    Quelli del Nord accusano: «Dal Sud ci rubano i posti migliori». La scuola italiana divisa da una lotta di secchio e ramazza. Per lo Stato una doppia beffa.
    Il meccanismo è semplice: i cosiddetti «riservisti» (cioè i bidelli meridionali con lo status di invalidi) ottengono - grazie a una certificazione medica di comodo - l'assunzione nelle scuole del Nord.

    Una volta assunti - grazie sempre ai vantaggi normativi previsti per i «riservisti» - ottengono nel giro di pochi mesi il trasferimento nelle loro regioni di origine.
    Un meccanismo che determina il seguente paradosso: nelle scuole del Nord, dove c'è bisogno di bidelli, i posti restano sempre vuoti. Una vera e propria guerra tra poveri, perché alla fine si tratta di arrivare a un posto che dà uno stipendio che non supera i 900 euro mensili. Se si pensa che a questi posti accedono persone costrette a lasciare la famiglia al Sud per vivere a Milano, è facile immaginare a quali sacrifici vanno incontro.
    Per molti resta comunque un traguardo importante.
    Ma perché allora non mettere tutti gli aspiranti sullo stesso piano?
    La soluzione sarebbe quella di rivedere la normativa, fissando dei parametri validi su tutto il territorio nazionale.
    Ed è proprio questa la linea sulla quale intende muoversi il ministro dell’Istruzione, Gelmini.

    Intanto, però, la situazione legislativa resta nel caos, aprendo la strada a qualsiasi tipo di sopruso. Le inchieste giudiziarie sui falsi invalidi del «personale Ata» (categoria alla quale appartengono i bidelli) si moltiplicano. Senza contare le direttive ministeriali che sollecitano i provveditorati agli studi a verificare la posizione di tutti i «riservisti» entrati in ruolo negli ultimi anni. Sono migliaia i casi in cui aleggia lo spettro di certificati medici compiacenti. Nella definizione degli organici delle scuole esiste una «riserva» del 15 per cento dei posti (un indice che tra i bidelli raggiunge il 40 per cento) destinata a una serie di categorie cosiddette «protette».
    Quanti sono? «La quota degli invalidi veri e propri - spiegano al ministero della Pubblica istruzione - è di 2 su 15 “riservisti” fra i docenti, 6 su 40 fra i bidelli». Complessivamente non dovrebbero essere, insomma, più di 25mila.

    In realtà alcune categorie (gli orfani di guerra, ad esempio, o i figli delle vittime del terrorismo) sono irrilevanti o praticamente in estinzione, e quando vengono esauriti i loro elenchi, quei posti vengono recuperati appunto dagli invalidi.
    Veri o finti, conta poco. Una delle città più attive nell'assunzione di «riservisti» è Milano, perché qui era più facile farsi assumere. Sta di fatto che per i bidelli l'assunzione «riservata» può avvenire addirittura «per chiamata diretta», senza, cioè, alcun concorso.
    A Milano e, in genere, nelle città del Nord, ne sono passati a migliaia: un posto conquistato, e poi un rapido trasferimento, ancora una volta favorito dal fatto di essere «riservisti».

    Ma per il ministero non ci sono solo i falsi invalidi da combattere, ma anche quelli che hanno utilizzato l'invalidità degli altri, di un parente, per ottenere un vantaggio che altrimenti sarebbe stato loro negato.
    Esiste infatti una disposizione che consente a chi deve assistere una persona invalida di poter avere il trasferimento. Un docente o un non docente in servizio al Nord, dunque, attraverso questo criterio continua a ottenere il trasferimento a casa. Al di là della bontà della questione di principio, questa è diventata però una scorciatoia per ottenere l’agognato ritorno al Sud. Riformare questo meccanismo significa toccare un'autentica polveriera, perché questo fenomeno è servito a portare al Sud migliaia di persone a ingolfare organici spesso già ingolfati, lasciando al Nord posti vuoti che poi dovevano essere coperti con altre assunzioni e, ovviamente, con altri stipendi.
    Per lo Stato una doppia beffa.
    Intanto la guerra tra poveri tra Nord e Sud continua.

    A.P. www.ilgiornale.it 06 08 08

    saluti

  2. #2
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    Predefinito E quella dei prof.

    La signora Anna rabbrividisce, nonostante il caldo agostano, al pensiero dell’inizio dell’anno scolastico. Il suo bambino, Luca, della scuola elementare di via Foppette a Milano, ha già cambiato quattro maestre di matematica, quattro di italiano e due di inglese nell’arco di due anni scolastici.
    L’unica insegnante, di ruolo, calabrese, si è messa in malattia appena ha avuto la certezza del posto sicuro. Non potendo chiedere il trasferimento se non alla fine dell’anno scolastico. In classe, comunque, non si è quasi mai vista. Lasciando gli sventurati alunni nelle mani delle diverse supplenti.

    Anna, come le altre mamme, spera almeno quest'anno di avere delle insegnanti di ruolo. Che non chiedano il trasferimento dopo qualche mese per tornare al paese natìo.
    Ma il meccanismo perverso è legale.
    Ed è utilizzato soprattutto dagli insegnanti del Sud che spostano al Nord il domicilio solo per ottenere una cattedra e fare punteggio.
    Del resto, la migrazione è ovvia visto che due insegnanti su tre sono meridionali. Una percentuale che lievita di anno in anno.

    Erano il 66,4% nel 2006, sono diventati il 67,5 nel 2007.
    Un fenomeno ben chiaro anche al ministro della Pubblica istruzione, Mariastella Gelmini, che vorrebbe introdurre degli incentivi per i professori che assicurino la propria presenza in classe per un intero ciclo scolastico di cinque anni.
    «È naturale che un professore desideri insegnare vicino a casa – ha dichiarato la Gelmini in una recente intervista –. Ma non è possibile realizzare un meccanismo di questo tipo, anche se di buon senso. Si può solo incentivare il professore di Milano che si trasferisce a Caltanissetta e quello di Caltanissetta che va a insegnare a Milano perché restino in quella sede per almeno cinque anni».

    La proposta deve concretizzarsi e in attesa che questi incentivi arrivino, il turnover del personale docente non accenna a diminuire. In modo inammissibile per qualsiasi azienda che si rispetti.

    Basta affidarsi ai numeri per capire il fenomeno.
    Nel settembre scorso hanno cambiato scuola oltre 73mila insegnanti a fronte di 130mila richieste, pari all’11,1% del totale. La percentuale media di mobilità degli anni scorsi oscillava invece intorno al 12,8%. Una cifra che esclude la situazione dei precari la cui mobilità sale al 19,4%. In totale, il carosello degli insegnanti si aggira attorno al 32,2% a livello nazionale. Fanno eccezione, in negativo, alcune province in cui la mobilità supera il 54% come a Isernia, o il 52% come a La Spezia. In totale circa 200mila docenti cambiano sede ogni anno.

    Di fronte a questi numeri la reazione è obbligatoria. E il ddl presentato dal governo tenta di arginare il fenomeno.
    Permette la mobilità dei docenti solo dopo due anni di insegnamento in una stessa scuola e conferma per altri due anni i docenti precari in una stessa sede. Risultato sperato: carenze dimezzate come per incanto.
    Una speranza che nutre anche Giorgio Rembado, presidente dell’associazione dei presidi italiani.
    «La mobilità non garantisce la continuità didattica e non è funzionale alla programmazione. Quindi ben venga la legge che blocca i trasferimenti per due anni anche se sarebbe meglio che gli anni diventassero addirittura tre». Quanto ai presidi, che invece il blocco di tre anni ce l’hanno già per contratto, Rembado spiega: «Qualcuno vuole farli lievitare a cinque, un periodo che a me sembra troppo lungo. Del resto per i presidi c’è il problema opposto: si insediano in una scuola e ci restano fino alla pensione. E se li trasferisci se ne hanno a male».
    E quelli del Sud che vogliono andarsene appena arrivati al Nord?
    «Il trasferimento va dato solo in casi eccezionali. Sta al direttore regionale valutare caso per caso e decidere di conseguenza. Se non compie questa indagine si esautora di un potere che gli concede la legge».

    E.Cusman www.ilgiornale.it 06 09 08

    saluti

 

 

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