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Libano - 05.8.2008 Il diritto alla ''resistenza'' Approvato il programma del governo di unità nazionale: Hezbollah non verrà disarmato

Alla fine Hezbollah ha vinto. Il nuovo governo di unità nazionale riconoscerà al partito sciita il diritto alla resistenza e il compito di liberare le zone nel sud del paese ancora occupate da Israele. In altre parole, quella dell'Hezbollah rimarrà una milizia della resistenza, non verrà integrata nell'esercito nazionale e non verrà privata delle sue armi.


La decisione è frutto di tre settimane di colloqui e almeno quattordici riunioni tra gli esponenti dei partiti di maggioranza e opposizione, riuniti in un comitato ministeriale che ha avuto il compito di elaborare le linee guida del nuovo esecutivo. Il testo è frutto, dicono entrambe le parti, di un compromesso. Ma è chiaro che, dopo settimane in cui il disarmo di Hezbollah era stato chiesto a gran voce sia da politici dell'ex maggioranza libanese che da diplomatici francesi, statunitensi e soprattutto israeliani, il riconoscimento delle milizie sciite è una grande vittoria per Hezbollah e per il suo segretario, Hassan Nasrallah. Dopo la guerra del luglio 2006 e dopo il vantaggioso scambio di prigionieri del mese scorso, il partito sciita si accredita ancora una volta come l'unico attore regionale in grado di trattare alla pari con la potenza israeliana. Un potere che è stato ampiamente usato nelle trattative di queste settimane in cui, fin dall'inizio, Hezbollah è stato intransigente sulla pretesa di continuare a disporre della sua potente milizia. Lo scorso giugno, è bene ricordarlo, le milizie dell'opposizione libanese avevano dato una dimostrazione di forza prendendo in poche ore il controllo di Beirut, dopo che il governo di Siniora aveva proposto di smantellare la loro rete di telecomunicazioni. La situazione era stata ricomposta grazie alla mediazione del Qatar, ma quell'episodio è rimasto come un monito per le forze dell'ex maggioranza, come a dire: “ecco cosa succede se Hezbollah decide di uscire dalle trattative”.


Il documento programmatico, che avrebbe dovuto essere votato ieri al parlamento libanese afferma: “il diritto del Libano, del suo popolo, esercito e resistenza, di liberare o recuperare le fattorie di Shebaa occupate (...) e difendere il Libano da ogni aggressione (...) con tutti i mezzi legittimi e disponibili”. Il nodo da sciogliere era soprattutto il termine “resistenza”, ma che si fosse giunti ormai a una soluzione lo si era capito già venerdì 1 agosto, quando il presidente Michel Suleiman aveva metaforicamente invitato le armi dell'esercio ad “abbracciare” quelle della resistenza. Di contro, nello stesso documento programmatico si afferma l'adesione del nuovo governo alla risoluzione 1701, che pose fine al conflitto dell'estate 2006 e propone, implicitamente, il disarmo di Hezbollah: un opera di cui finora non si sono prese carico né le forze armate libanesi né quelle dell'Unifil, la missione Onu di interposizione che per questo motivo è stata violentemente criticata da Israele. Una volta che il programma sarà stato approvato, per i 30 ministri del nuovo esecutivo, di cui Hezbollah fa parte con diritto di veto, dovrebbe iniziare l'esperienza del dialogo nazionale. La stampa libanese, a parte quella vicina a Hezbollah, parla con preoccupazione di un documento “ibrido e confuso” ( L'Orient le Jour) e di “governo di disunità” (As Safir). Di fatto il nuovo governo nasce su basi di compromesso, ma dovrebbe durare almeno fino alla prossima primavera, quando sono previste le prossime elezioni legislative.