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    Predefinito Millennio DESIDERANTE - PROPOSTE PER UN PENSIERO POLITICO POSTMODERNO

    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Millennio DESIDERANTE - PROPOSTE PER UN PENSIERO POLITICO POSTMODERNO

    Dieci lezioni tenute da Toni Negri al Collège International de Philosophie di Parigi nel volume edito da Feltrinelli «La fabbrica di porcellana». Dalla formazione dell'impero alla guerra preventiva, dal diritto alla resistenza della moltitudine alla crisi dei movimenti sociali
    Benedetto Vecchi

    Viviamo in un mondo che ha conosciuto una radicale mutamento delle forme di vita, dei modi di produzione e delle forme politiche e di governo. Viviamo cioè in un'epoca postmoderna, che occorre interpretare per potere trasformare, mettendo a dura critica le categorie della modernità capitalista. È questo uno dei temi ricorrenti della Fabbrica di porcellana (Feltrinelli, pp. 156, euro 16, traduzione di Marcello Tarì), un volume che raccoglie dieci lezioni tenute da Toni Negri al Collège International de Philosophie di Parigi tra il 2004 e il 2005 e che costituiscono al tempo stesso una messa a fuoco dei nodi teorici emersi nella discussione attorno ai noti Impero e Moltitudine (entrambi pubblicati negli anni scorsi da Rizzoli), i due volumi scritti da Negri assieme a Michael Hardt. Ma la fabbrica di porcellana è da intendere anche come un deposito di materiali da sviluppare ulteriormente in un lavoro di ricerca più organico di quanto possa essere un ciclo seminariale. Eppure è proprio questo carattere «provvisorio», seminariale, dialogico che rende questo libro un utile strumento per comprendere meglio il laboratorio culturale di Toni Negri.
    Un mondo unificato
    In primo luogo la scelta della lezione come forma di socializzazione dei materiali teorici costringe l'autore a una continua precisazione dei concetti presentati. Così, l'illustrazione dell'impero deve tener presente delle critiche a cui è stato sottoposto tale concetto e anche degli eventi che hanno segnato il presente. L'attentato alle Torri gemelle e la strategia della guerra preventiva attuata dall'amministrazione statunitense diventano due momenti che cambiano il corso della storia, nel senso che più che rallentare il processo di costruzione dell'impero, l'accelerano, modificando tuttavia la sua traiettoria. Allo stesso modo le prove di guerra bassa intensità contro il movimento no-global, che ha avuto il suo apice a Genova nel 2001, non bloccano lo smottamento politico in America latina, continente che Negri guarda con attenzione per quel rapporto di condizionamento e di autonomia che i movimenti sociali hanno stabilito con i «governi amici». Infine, la perdurante recessione economica non coincide con la fine della globalizzazione neoliberista: semmai ne mette in evidenza come le situazioni di crisi abbiano sempre il carattere costituente di un nuovo ordine economico e politico. Ed è per questo motivo che l'autore non nega che continuino a vigere i rapporti di sfruttamento, appropriazione delle risorse, di creazione di nuovi mercati tipico dell'imperialismo. E tuttavia Negri sostiene che, a differenza del passato imperialista, nell'impero viene a scomparire la distinzione tra mondo capitalista e società non capitaliste. L'impero è dunque una realtà unificata caratterizzata dal capitalismo globale che, come in un work in progress, modifica incessantemente le gerarchie di poteri e una nuova divisione internazionale del lavoro al suo interno. Emerge così una lettura meno lineare dello sviluppo capitalistico. Individuare la tendenza in atto non significa quindi chiudere gli occhi sulle contraddizioni, le aporie, le controtendenza che caratterizzano i processi storici.
    La tendenza dell'impero è sostenuta tuttavia non solo dalle logiche interne al capitale, ma anche da quella costellazione di singolarità, di forme di vita definita da Negri, è ormai noto, come moltitudine. Anche in questo caso, l'autore chiarisce che la discontinuità operata con la tradizione marxiana sulle classi sociali non va interpretata come una negazione dei rapporti di sfruttamento che qualificano il capitalismo contemporaneo. La moltitudine diviene quindi il termine per indicare tutte le figure lavorative presenti nella realtà contemporanea che ha come elemento dominante il lavoro cognitivo. Ma più che parlare di elemento dominante, credo sia più aderente parlare di una pluralità di forme lavorative accomunate tuttavia dalla centralità della dimensione relazionale, dialogica, della messa in comune del sapere e della conoscenza in quanto fattori innovativi del processo lavorativo: fattore strategico, quest'ultimo del capitalismo contemporaneo. La forza-lavoro deve cioè alimentare quella macchina dell'innovazione che è la cooperazione produttiva.
    È però partendo da una torsione della categoria marxiana di lavoro vivo che Negri risponde alla critiche che i filosofi francesi Etienne Balibar e Pierre Macherey hanno rivolto al concetto di moltitudine. Il primo ha espresso il dubbio che la moltitudine possa essere presentata come forza antisistemica, mentre Macherey ha sostenuto che la moltitudine difficilmente possa passare all'azione proprio per quella resistenza che presenta a manifestarsi come soggetto collettivo. Negri sostiene invece che la moltitudine è lavoro vivo che esprime resistenza al capitalismo cognitivo. Da qui le lezioni dedicate al «politico», che spaziano da una rilettura critica del pensiero di Max Weber, Carl Schmitt, Lenin, Michael Foucalt e Gilles Deleuze.
    La democrazia assoluta
    Vengono così introdotti e approfonditi i temi del biopotere, della biopolitica e della governance, con interessanti incursioni negli studi postcoloniali, intesi in questo volume come griglia analitica con cui analizzare proprio i processo di «soggettivazione politica» della moltitudine. E se il biopotere è inteso come strategie di governo della vita da parte del potere costituito attraverso strategie di governance, la biopolitica diviene l'orizzonte in cui collocare l'azione della moltitudine nel suo processo di defezione e esodo dal potere costituito.
    Un libro, dunque, che presente tutti i temi della riflessione di Toni Negri negli ultimi anni. E che ha l'indubbio pregio nel carattere seminariale che lo contraddistingue. La lezione che problematizza meglio di altre le tesi del filoso italiano è quella che porta il titolo «Dal diritto di resistenza al potere costituente». È noto che il diritto di resistenza è elemento fondante del pensiero politico moderno. Ma Negri non è un democratico liberale. La sua prospettiva è una democrazia radicale. Meglio: spinozianamente assoluta che ha nel potere costituente della moltitudine il suo viatico. È su questo crinale che l'insistenza sulla cesura del postmoderno acquista consistenza. La presa di congedo dal pensiero politico della modernità è quindi da intendere non tanto come la constatazione di una evoluzione della società capitalistica, quanto come l'affermarsi di un capitalismo che ha trasformato l'attività intellettuale in mezzo di produzione. Viviamo dunque in un'epoca che vede il capitale come elemento parassitario della cooperazione produttiva sviluppata dalla forza-lavoro, dato che il sapere e la riflessività, direbbe il sociologo tedesco Ulrich Beck, «appartiene» al singolo. La rilevanza del capitale finanziario non è quindi da intendere come «squilibrio temporaneo», ma come fattore qualificante l'attuale capitalismo. Il capitale perde così le caratteristiche produttive, imprenditoriali e si presenta come un elemento parassitario del lavoro vivo. Il puzzle del moderno va così in pezzi e con esso il pensiero politico moderno.
    Il potere costituente
    La moltitudine e il potere costituente sono quindi da intendere come le coordinate indispensabili per un'azione politica radicale che punti al superamento del capitalismo stesso. La moltitudine per la sua resistenza a qualsiasi processo di eterodirezione della volontà politica; il potere costituente come un potere che non si cristallizza in istituzioni basate sul meccanismo della rappresentanza, bensì su istituzioni che hanno la capacità di prendere decisioni, di attuarle e di modificare se stesse rispondendo così al mutare delle azioni della moltitudine. Una lezione, questa settima, squisitamente politica, quasi una proposta di vademecum per i movimenti sociali che da Seattle in poi hanno prospettato l'altro mondo possibile. Ma visto che ci troviamo di fronte a un work in progress, è indubbio che alcuni elementi problematici vanno comunque sottolineati. La fabbrica di porcellana, cioè la possibilità di un'azione politica radicale, deve misurarsi con una crisi del capitalismo che ha la capacità di trarre comunque linfa vitale proprio dai suoi limiti.
    Così l’impero vede un doppio movimento: da una parte il ruolo dirimente di alcune economie e stati nazionali - gli Stati Uniti e la Cina, ad esempio -, dall’altra l’accresciuta influenza di organismi sovranazionali e regionali come l’Unione europea, l’Asean e il tanto bistrattato Nafta, l’accordo di libero commercio tra Canada Usa e Messico, e il nascente Mercosur in America latina. È quindi un impero che ha si nella governance il dispositivo per dirimere i conflitti geopolitici e geoeconomici al suo interno, delegittimando talvolta l’operato del Wto, della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, cioè le istituzioni principe della «prima» globalizzazione. Inoltre, il carattere parassitario del capitale deve essere misurato alla luce di quel regime della proprietà intellettuale che garantisce innovazione e un ruolo non residuale al sistemadi macchine dell’organizzazione capitalistica della produzione. Per questo, il sistema della formazione, università compresa, diviene il campo dove l’addestramento di una forza-lavoro flessibile si accompagna a una «messa in produzione» di un sapere tecnico-scientifico mediata dal sistema di macchine. Ma ciò che è davvero rilevante è la crisi dei movimenti sociali. Crisi a geometria variabile, ovviamente. In America latina è difficile parlare di crisi radicale, ma in Europa, negli Stati Uniti e in Asia la recessione economica alimenta il lessico politico della destra populista. Allo stesso tempo, «l’unità d’azione della moltitudine corrisponde alla molteplicità delle espressioni di cui essa è capace» di cui parla Negri rimane imbrigliata in una ambivalenza che il conflitto non riesce a sciogliere. E forse ciò che indica l’autore come problema irrisolto - quello dell’organizzazione politica della moltitudine - è il nodo teorico su cui misurare le capacità di un pensiero politico che assume la cesura postmoderna come scommessa e parte del problema da risolvere.


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    ARDITI NON GENDARMI

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    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Cartografie sul divenire produttivo della metropoli
    Alcuni saggi e interviste sul capitalismo contemporaneo del filosofo italiano

    Mauro Trotta

    «Finalmente il cielo è caduto sulla terra, anzi sulla metropoli. Dopo il 2005, la parte dell'umanità che vive in città è superiore per la prima volta alla parte che vive in campagna». E tutto questo è avvenuto «perché la metropoli è diventata una realtà produttiva». Oggi è, dunque, la metropoli il luogo della lotta di classe: «È la metropoli, la fabbrica di oggi», Su tali presupposti è costruito il discorso portato avanti da Antonio Negri in un testo non a caso intitolato Dalla fabbrica alla metropoli , uscito di recente per Datanews ( pp. 240, euro 15), che vede raccolti articoli e interviste usciti sulle riviste «Posse» e «Passant» negli ultimi anni.
    Il filo che lega tutti gli interventi è, quindi, la metropoli, vista come luogo di produzione, di espropriazione e di sfruttamento, oltre che come terreno di esodo da parte della moltitudine che, territorializzandosi, può esprimere appieno la propria potenza, riappropriandosi del capitale intellettuale e del comune, prodotti dal lavoro. Insomma, come del resto recita il titolo, nell'ottica negriana il conflitto si è ormai spostato dalla fabbrica alla metropoli ed è qui che la moltitudine, in qualche modo ultima erede della classe operaia, può pensare di costruire, con le sue nuove forme di lotta basate sull'esodo, il «nuovo mondo possibile».
    Seguendo tale passaggio epocale, nei testi qui raccolti vengono affrontati alcuni dei temi fondamentali del pensiero negriano: dai profondi cambiamenti intervenuti nel capitalismo attuale alla nuova composizione di classe, dal ruolo della guerra nell'epoca dell'Impero alla crisi della forma partito, dalla funzione dei movimenti alla rilettura di classici del comunismo come Marx e Lenin, dall'Europa alla dimensione architettonica dello spazio metropolitano. Il libro è completato da un'appendice contenente un «Diario dal carcere», un reseconto davvero impressionante, crudo e tenero allo stesso tempo, delle esperienze in prigione dopo il ritorno dell'autore in Italia.
    Libro interessante e coinvolgente, raccolta di testi densi e approfonditi, anche se in gran parte già noti, Dalla fabbrica alla metropoli presenta purtroppo alcune fastidiose pecche editoriali, come, ad esempio, nel saggio d'apertura, dove intere frasi risultano in francese, senza alcuna traduzione. Al di là di questo, il libro offre comunque un'ottima panoramica dei più recenti sviluppi del pensiero negriano che continua a interrogarsi su di una questione fondamentale: «quale produzione di soggettività per la presa del potere, oggi, da parte del proletariato immateriale?». Ovvero, «se, oggi, il contenuto della produzione è costituito dalla cooperazione sociale del lavoro immateriale - e tutto questo noi chiamiamo General Intellect - come sarà possibile costruire il corpo sovversivo dell'intelletto generale, facendo dell'organizzazione comunista la leva, il punto di generazione di nuove corporeità rivoluzionarie, la base potente di produzione di soggetività?».


    ARDITI NON GENDARMI

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    Sicuramente criticabile, ma il Toni Negri va letto, compagni, non c'è niente da fare, se no non si capiscono certe scelte di altri compagni.

 

 

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