Apro il presente, principalmente per agevolare il mio scambio di vedute, ormai sistematico, con pfjodor, in particolare riguardo a quel testo di Emmanuel Lèvinas, intitolato "Altrimenti che essere (o al di là dell'essenza)".
Questo thread vuole tracciare una sorta di bilancio sul primo capitolo del testo suddetto, nella parte dedicata all'Argomento, dal titolo: "Essenza e disinteressamento".
E lo faccio qui, non tanto perchè ormai penso di essere diventato "di casa" (se ciò sia poi un bene o un male, di certo non spetta a me il giudizio..), quanto perchè alcuni spunti (di carattere prevalentemente etico, lo premetto), che di seguito mi accingerò a riportare, possano, se non riguardare, certamente interessare gli abituali frequentatori di questo forum, diciamo pure gli utenti più "casalinghi" di questo stesso, in merito alle tematiche che stanno loro più a cuore e così pure, magari sotto un profilo differente, anche a me e allo stesso pfjodor (e, affermando ciò, penso di rappresentare anche il suo pensiero)...
Mi scuso anticipatamente per il linguaggio ostico e nel farlo non nascondo di sentirmi alquanto sollevato, poichè almeno questa volta... non ne sono io l'artefice!
"Si tratta di pensare la possibilità di uno sradicamento dell'essenza. Per andare dove? Per andare verso quale regione? Per attenersi a quale piano ontologico? Ma lo sradicamente dell'essenza contesta il privilegio della questione: dove? Esso significa il non-luogo. L'essenza pretende di ricoprire e di recuperare ogni ec-cezione; la negatività, la nientificazione e già, dopo Platone, il non-essere che "in un certo senso è". Bisognerà perciò mostrare che l'eccezione dell'"altro dell'essere", al di là del non-essere, significa la soggettività, o l'umanità, il se stesso che respinge le annessioni dell'essenza. Io unicità, al di fuori di ogni paragone, perchè, al di fuori della comunanza del genere e della forma, che non trova riposo neppure in sè, in-quieto, che non coincide con sè. Unicità, il cui fuori da sè, la differenza in rapporto a sè, è la non-indifferenza stessa e la stra-ordinaria ricorrenza del pronominale e del riflessivo, il "si" che tuttavia non sorprende più, essendo entrato nel linguaggio corrente e fluido, in cui le cose "si" mostrano, le valigie "si" fanno e le idee "si" comprendono. Unicità senza luogo, senza l'identità ideale che un essere trae dal kerigma (per i più profani: parola greca che significa predicazione) che identifica gli aspetti innumerevoli della sua manifestazione, senza l'identità dell'io coincidente con sè - unicità che si ritrae dall'essenza - uomo.
La storia della filosofia in alcuni suoi momenti luminosi ha conosciuto questa soggettività che rompe, come in una giovinezza estrema, con l'essenza. Dopo l'Uno senza l'essere di Platone e fino all'Io puro di Husserl, trascendente nell'immanenza, essa ha conosciuto il metafisico sradicamento dell'essere; anche se poi, immediatamente, nel tradimento del Detto, come sotto l'effetto di un oracolo, l'eccezione, restituita all'essenza al destino, rientrava nella regola e conduceva solo "dietro il mondo". L'uomo nietzschiano soprattutto. Alla riduzione trascendentale di Husserl basta una messa in parentesi? Un modo di scrivere, di compromettersi con il mondo, che aderisce come l'inchiostro alle mani di chi lo cancella? Bisolgna giungere sino al nichilismo della scrittura poetica di Nietzsche che capovolge il tempo irreversibile in vortice - fino al riso che rifiuta il linguaggio.
Linguaggio che il filosofo ritrova negli abusi del linguaggio della storia della filosofia in cui l'indicibile e l'al di là dell'essere lo traducono davanti ai nostri occhi. Ma la negatività, nella sua piena correlazione all'essere, non sarà sufficiente alla significazione dell'altro che essere."
A voi la parola, con speciale riguardo alle parti sottolineate, peraltro tutt'altro che a casaccio..
E' da esse che si evince la possibilità di un reale e proficuo confronto non limitato al consueto dialogo tra il sottoscritto e il pari appassionato pfjodor