Morto sabato in un ospedale texano, verrà sepolto vicino al Palazzo della Cultura
La Palestina dice addio a Darwish
Al poeta gli stessi onori tributati ad Arafat

Tre giorni di lutto, bandiere a mezz’asta e martedì a Ramallah l’equivalente di un funerale di Stato


MILANO - Tre giorni di lutto, bandiere a mezz’asta in tutta la Palestina, e martedì a Ramallah l’equivalente di un funerale di Stato. Lo stesso onore tributato finora solo a Yasser Arafat. Per salutare e piangere Mahmoud Darwish, morto sabato in un ospedale texano a 67 anni, dopo una difficile operazione al cuore.

«LA VOCE DELLA PALESTINA OCCUPATA» - Era celebre nel mondo come il «poeta nazionale della resistenza palestinese», «la voce della Palestina occupata». Definizioni che in realtà a lui stavano sempre più strette: «Cliché legati al passato», ci aveva detto recentemente, dichiarandosi invece «cantore universale dell’amore e della libertà». Ma è soprattutto così che sarà ricordato (e pianto). A Ramallah, dove viveva dal 1995, dove anche Arafat passò gli ultimi anni, Darwish verrà sepolto in un sacrario vicino al Palazzo della Cultura. Lontano dal suo villaggio d’origine che oggi è in Israele «perché Mahmoud non appartiene solo alla famiglia ma a tutti palestinesi», ha detto il fratello Ahmad. E perché sarà più facile visitarne il sepolcro per gli arabi (e saranno tanti) che vorranno rendergli omaggio. Ancora sotto choc per la sua scomparsa. Prima dell’intervento a cuore aperto nella clinica di Houston, effettuata il 6 agosto dal chirurgo iracheno Hazim Safi, Darwish aveva chiesto di «lasciarlo andare» se le cose fossero andate male. Eppure la morte l’aveva intravista altre volte, per il suo cuore malandato che aveva già subito due importanti interventi. Proprio della morte sfiorata aveva parlato in bellissimi versi («l’esiliata, l’infelice, la potente») nel suo ventesimo libro, pubblicato in Italia nel 2006 da Epoché: “Judariya”, ovvero “Murale”. Lo aveva recitato più volte in arabo classico — come sua abitudine — davanti a folle adoranti. Anche in Italia.

LE CONTESTAZIONI E IL SUCCESSO - E se contestazioni c’erano state (l’anno scorso alcuni intellettuali palestinesi non gli perdonarono il ritorno per un reading a Haifa, Israele), Darwish è stato — e certo rimarrà a lungo — il poeta più letto nel mondo arabo. Più conosciuto e venduto di molti autori in prosa (un genere relativamente nuovo per la cultura araba ma frequentato per altro dallo stesso Darwish, con otto opere). Il poeta perfino più cantato, sulle musiche di Marcel Khalife, Bob Dylan del Medio Oriente. Era nato nel 1941 nella zona di Haifa, a Birwa, sotto mandato inglese. E in una notte di guerra del 1948, quando il villaggio fu distrutto, era fuggito in Libano. Ma poi era tornato con la famiglia nella sua «terra occupata», aveva iniziato a scrivere poesie (nel 1960, diciannovenne, il primo libro: “Uccelli senza ali”), ad avere successo (la poesia “Carta d’identità”, del 1964, è ancora conosciuta a memoria da milioni di persone), a fare politica (nel Partito comunista d’Israele) finendo spesso in carcere, poi privato del passaporto israeliano.

L'ESILIO NEL 1971 - E nel 1971 aveva preso la via dell’esilio: prima in Unione Sovietica, poi al Cairo, a Beirut, Parigi e Tunisi. È in quegli anni che aderisce all’Olp, ne dirige pubblicazioni e centri di ricerca, è in stretto contatto con la leadership, Arafat e non solo. Fino all’ingresso nel comitato esecutivo dell’Organizzazione, nel 1987: «Ma non sono un politico — ci aveva detto — quando ho saputo della mia elezione ai vertici Olp ho pianto». Fino alle dimissioni nel 1993: «Gli accordi di Oslo — aveva spiegato — mi hanno solo dato l’occasione per andarmene». Poi nel 1995, dopo tanti anni, il ritorno nella sua Palestina, a Ramallah, dove continuava a vivere alternando soggiorni ad Amman e viaggi, molti in Europa. Perché ormai — sempre più amaro e deluso dal Medio Oriente, sempre più stanco e sarcastico per la politica — Darwish era diventato «poeta universale della libertà e dell’amore». Amore per la sua Palestina, certo (“che finchè non sarà libera non concederà nemmeno a me la possibilità di esserlo”). Ma soprattutto amore per la vita.

Cecilia Zecchinelli
Corriere 10.08.08