Il professore Corrado Mirto, già docente di Storia Medioevale all’Università di Palermo e componente della Società Siciliana di Storia Patria, ha inviato al sindaco di Capo d’Orlando Enzo Sindoni una dettagliata lettera in merito al dibattito che si è venuto a creare dopo la cancellazione dalla toponomastica di Capo d’Orlando di Giuseppe Garibaldi.
Di seguito si riporta la lettera integrale del prof. Mirto:



Ill.mo Sig. Sindaco,
ho letto la lettera aperta inviataLe dal sig. Vincenzo Amato e ho deciso di scriverLe anche io. Per prima cosa desidero confermarLe la mia stima e la mia gratitudine per quello che Lei sta facendo per Capo d’Orlando e per tutta la Sicilia.
Lei sta combattendo, in mezzo a resistenze e proteste, per ridare dignità al popolo siciliano, degradato in molti suoi esponenti da 150 anni di condizione coloniale.
Desidero anche esprimere sentimenti di stima al sig. Vincenzo Amato, il quale ha mostrato interesse per la storia siciliana. Stima e simpatia, però, non mi esimono dal fare alcune precisazioni.
Il signor Amato, dopo avere affermato con incomprensibile soddisfazione che nella battaglia del 4 luglio 1299 Blasco d’Alagona perdette “in malo modo”, irride allo stesso Blasco e a Federico III che, secondo alcuni sprovveduti, sarebbero gli eroi immolatisi per la Sicilia mentre nella realtà erano spagnoli che facevano i loro interessi.
Per prima cosa io osservo che questi due “loschi figuri” travestiti da eroi siciliani non furono i soli a partecipare alla battaglia. Parteciparono allo scontro navale anche i seimila siciliani caduti in quel giorno per la difesa della Patria, assalita da preponderanti forze straniere. E questi seimila caduti meriterebbero più rispetto e forse anche un po’ di riconoscenza.
Poi di Blasco d’Alagona bisogna dire che non era un “nobilotto”, ma era esponente di una famiglia tra le più ricche e le più importanti del suo paese, imparentata con la famiglia reale. Egli, dopo la rottura fra Aragona e Sicilia, tornò in Sicilia per motivi ideali (era filosiciliano) e con suo grave danno economico, perché dopo la battaglia di Capo d’Orlando ebbe sequestrati i beni che possedeva in Aragona, per avere combattuto contro il suo re. Per quando riguarda Federico III è utile precisare che nacque da padre aragonese (Pietro III) e da madre siciliana (Costanza) a Barcellona il 13 dicembre 1273. Venne in Sicilia con la madre all’età di 9 anni, nel mese di aprile del 1283. In Sicilia crebbe e rimase per tutta la vita, si affezionò al paese e ai siciliani e si considerò siciliano. Nel mese di luglio del 1299, nella grande battaglia navale di Capo d’Orlando, volle guidare personalmente la flotta siciliana contro quella aragonese, per dimostrare che era siciliano e non aragonese. Più di una volta, poi, quando l’orizzonte politico–militare si rabbuiava, manifestò il desiderio di morire in battaglia per la libertà della Sicilia e, più di una volta, rischiò la vita combattendo in prima linea per la difesa del “suo” paese.
Continuando nell’analisi degli avvenimenti bisogna dire che non è vero che Federico nel 1291 fu mandato in Sicilia, perché in Sicilia c’era dal 1283. Che non è vero che Federico espulse le città demaniali dal patto costituzionale; le città demaniali infatti avevano i loro rappresentanti nel Parlamento. Soltanto, egli non favorì l’anarchia interna ed esterna che era propria dei Comuni italiani. Non è vero che Federico fece una feroce politica anti-ebraica (Federico fu mite con tutti e in ogni occasione); emanò soltanto delle leggi che limitavano in alcuni campi la libertà degli Ebrei, leggi sicuramente ingiuste ma che, in quel tempo, erano in vigore in tutti i Paesi europei. La parentela fra queste leggi e le feroci leggi razziali naziste non mi pare storicamente sostenibile, come non mi sembra che si possa dare a queste leggi la colpa dell’espulsione degli Ebrei dalla Sicilia voluta nel 1492 da un re spagnolo, Ferdinando il Cattolico, quando la Sicilia non era più un regno indipendente. Non è vero che Federico si dedicò a conquiste militari in Oriente; il ducato di Atene e di Neopatria gli fu offerto dalla Compagnia Catalana, che, dopo averlo conquistato, non era in grado di governarlo.
Non è vero che Federico aspirasse alla corona di Gerusalemme e a quella di Bisanzio (questo “aspirante” era Carlo I d’Angiò). Non è vero che Federico III venne esautorato dai baroni, che doveva chiedere aiuto ed ospitalità alle poche famiglie rimaste fedeli, che non era libero di muoversi nel suo regno. Queste vicende riguardano un altro re, Federico IV, che alcuni storici chiamano III per confondere le idee ai lettori, a quanto pare con buoni risultati. L’indipendenza del regno di Sicilia non finì nel 1401 ma nel 1412. Non mi sembra sostenibile la tesi che Federico III sia uno dei principali responsabili dell’arretratezza e del sottosviluppo della Sicilia mentre nessuna colpa viene data al saccheggio dei beni della Sicilia iniziato nel 1860.
Mi sia consentita, poi, una domanda:-“Perché tanto odio contro la propria terra e contro i suoi migliori rappresentanti”?
Chiuso questo capitolo ne apro un altro inquietante. Ho saputo che a Capo d’Orlando è apparso un proclama di Garibaldi. L’unica nota positiva di questo proclama è la notizia che Garibaldi ha fatto la pace con i suoi garibaldini, che chiama “miei meravigliosi ragazzi” mentre il 5 dicembre 1861 nel parlamento italiano li aveva definiti:“Tutti di origine pessima e per lo più ladra e, tranne poche eccezioni, con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto”. (Vedi Ignazio Coppola, “La Sicilia tradita”, Coppola editore, Palermo 2008, pag. 81).
Per il resto le notizie sono brutte, specialmente per me, infatti l’ “eroe dei due mondi” dice di avere ascoltato “un certo Mirto” (l’espressione non è cortese nei miei riguardi, ma mi consolo sapendo che la signorilità non è fra i punti di forza dell’eroe come dimostrano anche le istruzioni date al piccione nei riguardi del sindaco).
Secondo l’eroe “il certo Mirto” “vagheggiava e vaneggiava” (ho capito il significato del secondo verbo, ma non del primo) “addebitandomi nefandezze di ogni sorta”.
Ora, Signor Sindaco, Lei mi è testimone che su Garibaldi io non ho detto niente, né che era un eroe più forte di Achille e di Ercole agitatore della clava, né che era un mascalzone. Non ho detto niente per il semplice fatto che la mia conferenza non era sull’eroe, ma su un fatto molto più importante, sui seimila siciliani caduti nella battaglia di Capo d’Orlando per la difesa della Patria. Ed allora le ipotesi sono due: o l’eroe per l’età avanzata ha severi problemi di udito, o per la perdita dell’intitolazione della piazza ha una sindrome persecutoria per cui, se vede a Capo d’Orlando qualcuno che parla, pensa che stia parlando male di lui. Ora io sono preoccupato perché temo rappresaglie nei miei confronti da parte dell’eroe. Non mi preoccupa tanto l’invio di piccioni da guerra (alla fine porto il vestito in lavanderia), quanto le rappresaglie consistenti in apparizioni notturne dell’eroe defunto accompagnato dal “gemer lungo di persona morta”.
Ora, Signor Sindaco, voglio dirLe un’ultima cosa. Se qualcuno Le dice che la battaglia di Capo d’Orlando non avvenne il 4 luglio, ma il 4 giugno, non ci creda. Questa data anomala è frutto di un errore di stampa del libro di C. Incudine, “Naso illustrata”. Se lo storico avesse voluto cambiare una data generalmente accettata, avrebbe messo in nota i motivi che lo portavano al cambiamento, cosa che non ha fatto.
Mentre La ringrazio per la pazienza con cui leggerà questa lunga lettera Le invio i migliori auguri di buon lavoro.

Prof. Corrado Mirto

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