La destra di Fini? E’ una sinistra in ritardo
di Marcello Veneziani
Che ne sarà della destra in questo nuovo anno? Non sto parlando della casa delle Libertà, di Berlusconi e di quell’universo moderato e liberale che si ritrova al centro e nei paraggi e comunque in antitesi alla sinistra. Ma della destra, ovvero quel luogo concreto e immaginario abitato da conservatori, nazionalisti, tradizionalisti, perfino nostalgici e reazionari.
A giudicare dai rari momenti di popolarità che ha avuto nello scorso anno, legati quasi tutti a esternazioni di Fini, presentate dai media come svolte e strappi, direi che ormai la destra in Italia è solo un umore, forse un malumore, comunque un ricordo. Non c’è la destra nel futuro della destra italiana; c’è la fusione o la federazione con il centro, c’è il partito popolare europeo, c’è una visione assai laica della politica e dell’etica, non più legata ai principi solidi e consueti della destra, quelli che derivano dal senso tradizionale della famiglia, della religione e dell’amor patrio. C’è una visione professionale e pragmatica della politica; e questo passa per innovazione, modernizzazione…Se fossi in vena di polemica, direi che
la destra per Fini è una sinistra in ritardo: arriva alle stesse conclusioni ma piano piano. Sulle coppie gay, sull’islam, sulla famiglia, sugli immigrati, sulla religione, sull’Europa e via dicendo. Ma non ho più voglia di polemica, non ne vedo l’utilità né sento l’impulso; sforzandomi di polemizzare direi che c’è scontro quando c’è divergenza di idee, non quando si nota l’assenza delle medesime, l’encefalogramma politicamente piatto. No, lasciamo stare la polemica. Siamo diventati buoni e stanchi.
Fini ha scelto una strada che non coincide con quel mondo di valori, di giudizi e pregiudizi che in Italia e in tutto il mondo, dai Paesi più avanzati a quelli più arretrati, caratterizza quell’area d’ opinione. Se ne prenda atto, senza rabbia. Anzi, in cosciente libertà, arrivando a rispettare la scelta finiana, anche se non vi è reciprocità, c’è assenza di dibattito e di libertà sull’argomento, c’è autocrazia in An e divieto di parlarne, censura e cancellazione dei “maledetti” nelle sedi scarse di controllo politico. Non è nemmeno interessante studiare il movente, psicanalizzare le rotture, ritrovare motivi personali e scompensi logico-affettivi, perfino stati di salute, non solo mentali. Ci interessano solo gli effetti. Serenamente.
La famiglia dei conservatori
La prima domanda che invece abbiamo il diritto di avanzare è questa: secondo voi esiste o no un’area civile prima che politica , che invece si considera legata a valori, sensibilità, esperienze di vita legate a quel senso comune? Esistono o sono una pura congettura i conservatori nel nostro Paese? C’è chi si riconosce nelle posizioni del Papa e ritiene fondamentale ancorare la destra alla tradizione, alla famiglia, al senso dello Stato, dell’ordine e dell’autorità pur nella libertà; al senso del sacro, alla continuità storica, alla passione ideale? Credo che la risposta sia positiva. Sì, esiste e non è scarsa questa area. Non sarà maggioritaria ma penso che sia considerevole. Se quest’area non è tutelata e rappresentata dalla destra, chi la rappresenta e la tutela? La domanda vaga nel vuoto. Si possono trovare solo risposte minimaliste, in negativo. Ovvero si può dire che Berlusconi, almeno, quest’area non la mortifica; non la rappresenta ma non la rigetta, non si schiera a favore di certe scelte di vita, non dichiara nemmeno il fascismo un male assoluto. Lo stesso si può dire di Casini, Buttiglione, degli ex dc che magari non piacciono ai conservatori per le loro posizioni deboli sul piano dei valori e ambigue sul piano delle scelte di campo. Ma perlomeno non fanno strappi di quel tipo. Persino la Lega a suo modo non rompe con quel nucleo di identità condivisa: radicalizza le scelte, brutalizza i linguaggi, volgarizza ma non rompe. Però finora abbiamo trovato soggetti che non offendono la sensibilità di quell’area, ma non soggetti che la difendano. E’ questo il probelma che resta: in Italia esistono singole voci e interpreti isolati, ma non c’è un vero, moderno, vivace movimento conservatore. E’ un problema che non investe più Fini, ma va ben oltre.
Tradizione e futuro
A Fini, invece, il dubbio che legittimamente i suoi potenziali seguaci potranno avanzare è il seguente: qual è la ragione sociale di un movimento che ormai è insofferente verso ogni altra definizione ereditata (destra, nazionale, conservatrice, tradizionalista, ex-missina) al punto che si appoggia ad un verbo di pura azione (fare) e di vaga aspettativa (futuro) e si identifica solo con la voce di un leader? Non è in atto una sostituzione di idee e valori, ma una fuoriuscita da ambedue nel nome vago del nuovo. Ricordo allora una splendida metafora di Nietzsche quando avvertiva che abbiamo lasciato la terraferma e navighiamo senza riferimenti in alto mare: non potendo più guardare agli antichi ormeggi non resta che fidare solo su se stessi. Senza valori, tocca a voi essere valorosi. Ecco, chiedetevi dove sono i valorosi che riescono a sostituire il legame con i valori col proprio valore. Scusate, ma non ne vedo. Se non si è continuatori di qualcosa e di qualcuno bisogna essere creatori: vedete voi creatori da quelle parti? Scendiamo di livello e accontentiamoci dei paragoni: se a questa gente togliete le loro identità, pensate che siano almeno migliori come politici, decisori, amministratori dei loro avversari? Senza polemica, io dico no. Tecnicamente, pragmaticamente, sono meglio i Veltroni a guidare le città, sono meglio i D’Alema agli Esteri, e così via. Per ora, benché longilinei, appaiono come nani sulle spalle di giganti; quei giganti sono la tradizione a cui si riferivano superficialmente ma anche quei leader come Berlusconi che li hanno portati al governo. Cosa faranno senza l’una e senza l’altro? Senza rancore, vi auguro con tutto il cuore di aver sbagliato io diagnosi, in testa o in coda.