Giovanni Cerruti, "La Stampa"
Alle due di notte, nella hall dell’albergo. «Vado a dormire, ciao». Un quarto d’ora più tardi eccolo che ritorna. Il sigaro, la lattina di Coca-Cola, Roberto Calderoli che si arrende e va a nanna.
Umberto Bossi no e quelli della scorta, poveracci, neppure.
«Ebbene...».
Quando ha qualcosa da dire Bossi comincia sempre così, soprattutto se deve rispondere a una domanda. In questo caso, appunto alle due, è su Bettino Craxi e i loro rapporti.
«Ebbene mi aveva cercato quando era già ad Hammamet e aveva i magistrati contro. Dammi una mano, mi aveva detto. Stanno facendo fuori me e poi toccherà a te. Stai attento».
Una tirata di sigaro, si capisce che sta mettendo assieme i ricordi del come e quando. Che Craxi avesse chiesto aiuto a Bossi, una richiesta diretta, sarebbe una novità. Ne aveva già accennato, Bossi. Ma per un sentito dire, un qualcuno che gli aveva riferito questa cosa. Non aggiunge altro, lui. Lascia la frase appesa, e magari nemmeno s’aspetta che i cronisti al seguito la mettano sul taccuino. Era rientrato a mezzanotte dalla festa di compleanno di Giulio Tremonti, piuttosto stanco e però con la voglia di parlare, di ricordare, di tirare fino alle cinque e mezza del mattino come una volta, quando la malattia non l’aveva colpito.
«Ebbene...».
Se la domanda è su Michela Brambilla, la rossa di Forza Italia ora sottosegretario al Turismo, Bossi dà un’altra tirata di sigaro e riparte dall’ebbene. In campagna elettorale i manifesti della sua Lega, copiati da quelli della Lega dei Ticinesi di Giuliano Bignasca, avevano il faccione di un pellerossa che cerca di resistere all’occupazione americana, un successone. «Ebbene, dopo le ultime elezioni, mentre andavo a Roma in aereo con Berlusconi gliel’ho detto: tu hai messo in campo il pelo rosso, io i pellerossa!». E tutti giù a ridere, lui e la scorta e gli assonnati camerieri dell’albergo.
Alle due di notte, e fino alle cinque e passa, Bossi si concede come ai bei tempi, quelli delle pizzerie che frequenta quasi più. Lascia ai margini la festa per il compleanno di Tremonti, fa capire che il rapporto è ottimo, però «lui è un intellettuale», come dire che si fida senza fidarsi troppo. «Ebbene», e torna alla politica: «O il federalismo passa, intendo la riforma che sta preparando Calderoli, oppure saranno guai». E i guai che s’immagina sono milioni e milioni di padani pronti a calare su Roma Ladrona, e sarebbero gli stessi padani che non l’hanno mai seguito nemmeno per la disdetta del canone Rai-tv.
Però se la notte di Calalzo qualcosa può segnalare, a parte i riferimenti sui rapporti con Craxi, è che Bossi sta cercando di tornare ai ritmi di una volta, prima dell’ictus del marzo 2004. Alle tre del mattino ha svegliato un vecchio amico che sta scrivendo un libro sulla storia della Lega. «Decano - gli ha detto -, mi mancano gli amici di una volta».
E poi gli è scattato un altro amarcord, altri ebbene.
«Mi ricordo di quando sono andato a Belgrado da Milosevic, sotto le bombe. Ero andato lì per conto del governo italiano, e il premier era D’Alema. Fanno tutti finta di non ricordarselo». Lui no.
«Ebbene...».