Un rapporto inedito del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria lancia l'allarme
La cifra assoluta ha raggiunto il 38% del totale ma il numero di detenuti stranieri nelle carceri italiane cresce di continuo.
Nel 2007, su 94.000 «nuovi ingressi» più di 45.000 erano di stranieri: quasi la metà. Provenienti da 140 Paesi diversi. In maggioranza, com'è agevole immaginare, extracomunitari; in gran parte di un pugno di Stati nord-africani. Ma c'è anche una buona quota di romeni che — da quando il loro Paese è entrato a far parte dell'Ue — hanno il primato dei detenuti stranieri comunitari: il 73% del totale.
Il sorpasso sembra un traguardo vicino, sebbene il Sud Italia garantisca ancora un margine di sicurezza per il primato nazionale. Ma proprio questo è un dato considerato di grande interesse per chi lavora alla gestione delle prigioni: se nel Meridione i detenuti sono quasi tutti «locali», al Nord gli stranieri hanno da tempo superato la maggioranza, raggiungendo punte che arrivano al 70 ma anche all'85%, com'è accaduto a Milano dove i non italiani rappresentano ormai la quasi totalità dei «nuovi ingressi».
A due anni dall'indulto che liberò oltre un terzo dei detenuti, arrivati alla punta massima di 60.710 a fronte di 43.000 posti «regolari», la situazione si sta velocemente riavvicinando a quel record. Secondo dati diffusi pochi giorni fa dal Sappe, principale sindacato della polizia penitenziaria, i carcerati al 31 luglio 2008 erano risaliti a quota 55.250. Le stime del Dap valutano la crescita media a un ritmo di 800 detenuti al mese: significa che in meno di un anno il livello cui si giunse nel 2006
la quota degli stranieri in attesa del giudizio finale è molto più alta. Dei 20.175 in cella all'inizio di giugno, solo 6.991 (34%) scontavano una pena definitiva; gli altri aspettavano il primo processo (6.718), o l'appello (4.696), o l'ultimo appuntamento in Cassazione (1.770). Si tratta di una forbice molto più ampia rispetto a quella degli italiani, dove il totale degli imputati è di poco superiore a quello dei condannati.
Il ricambio degli imputati stranieri in prigione arriva al punto che nei primi cinque mesi del 2008 ne sono entrati oltre 9.000, ma l'85% sono rimasti dentro meno di una settimana.
Quella delle espulsioni è una nota dolente dell'«emergenza stranieri» nelle carceri italiane. Mentre si discute dell'introduzione del reato di immigrazione clandestina, dimenticando che un mancato adempimento del decreto di allontanamento costituisce già un reato per le norme vigenti, la contabilità dice che per le violazioni della legge Bossi-Fini entrano in prigione ogni anno circa 12.000 extracomunitari. A giugno ce n'erano 2.914 che scontavano una condanna inferiore a 12 mesi, evidentemente per reati «minori»; usciranno di qui a un anno, ma è probabile che torneranno ad avere «condotte illecite» (a cominciare dalla mancata partenza dall'Italia) e possano rientrare nel circuito penitenziario. Le espulsioni dal carcere sono pochissime. Anche quando servirebbero ad alleggerire il sovraffollamento. Tra gli stranieri detenuti per condanne definitive, ce ne sono circa 4.500 ai quali restano meno di due anni da trascorrere dietro le sbarre. Per legge potrebbero essere rimpatriati, ma il meccanismo previsto dalla procedura e i costi da sostenere producono un numero di provvedimenti eseguiti molto inferiore: 282 nel 2007 e 158 nei primi cinque mesi del 2008.
In assenza di espulsioni, gli stranieri che si trovano in prigione (anche se entrati illegalmente in Italia) hanno il diritto — ribadito dalla Corte costituzionale — di accedere ai benefici e alle misure alternative previste per i detenuti. L'amministrazione provvede a trovare, almeno per alcuni di loro, un impiego fuori dagli istituti, a volte una casa. Ma a pena scontata quel lavoro e quella casa spariscono, perché legati all'esecuzione della condanna, e l'ormai ex detenuto torna a essere un clandestino con decreto di espulsione in tasca.
http://www.corriere.it/cronache/08_a...4f02aabc.shtml