OMNIA SUNT COMMUNIA


«I politici di Tbilisi usano i russi come capro espiatorio», racconta un abitante, anonimo, della capitale
Viaggio nell'anima nera georgiana
Tra rifugiati e nazionalisti filo-Usa
Il leader separatista sudosseto Kokoity vola a Mosca per chiedere il riconoscimento ...
Pietro Zanna


Tbilisi


Un profugo georgiano sta ammassato in una scuola-tonnara di Tbilisi, chiuso dentro uno stanzone con altri cinquanta derelitti a quaranta gradi centigradi: non ha la minima idea delle "ragioni" di ciò che gli è capitato. Più o meno racconta che un giorno della scorsa settimana era in campagna a zappare e ha visto arrivare una colonna di carri armati russi che appena inquadrata la sua casa gli ha sparato contro facendo saltare tutto. Piange, un omone con le mani grosse e il volto spaccato dal sole. Certo, aveva sentito alla radio notizie vaghe sulle tensioni in Ossezia del Sud ma non immaginava di assistere ad una scena simile. La colonna di carri armati passa. Vede i carristi russi che lo salutano e gli dicono che ha solo tempo per prendere le sue cose e andare via. Così, con la vanga in mano e la fronte sudata, si diventa profughi in Georgia, così si perde tutto in tutte le guerre.
Delle spiegazioni politiche, etniche, religiose a questo poveraccio che dorme su un tappeto e mangia solo fette di pane con le mani, solo pane, non interessa nulla e non ne sa nulla. Chiede perché a noi, questa guerra.
Un'altra parte della popolazione invece, presente soprattutto nella capitale Tbilisi ha spiegazioni dettagliate sul perché dell'invasione russa, anzi sovietica come amano dire. Se la voce del profugo è un soffio queste sono tonanti, incazzate.
Non esiste il minimo dubbio nelle loro parole, e chi non capisce la chiara teoria che espongono è stupido, dorme e non gliene frega niente. O nel caso dei giornalisti «Scrive solo stronzate». Con posizioni più o meno sfumate apprezzano Shakasvili: si va dal cultore allo pseudo critico, ma solo perché il presidente non è stato abbastanza deciso nel regolare i conti della crisi. Il conflitto vissuto da dentro ha un sentore vagamente minaccioso, dettato dalla consapevolezza che i protagonisti di questa partita di morte sono molto, molto più pericolosi dei guerrafondai per eccellenza di questi anni, gli statunitensi. Qui, in questa terra bruciata dal sole, si confrontano odi e rancori vecchi di secoli e manca quasi totalmente l'interesse economico. La signora Olga che fa la spesa al mercato centrale di Tiblisi «sgozzerebbe» tutti i russi, non perché vogliono impossessarsi degli oleodotti, più o meno strategici, ma perchè russi, punto e basta. E come Olga, Victoria, Georghi e tanti altri. C'è un sacco di gente da queste parti che soffre mentre vede i russi ritirarsi dalla patria: sono gli adoratori del tanto peggio tanto meglio, quelli che aspettano l'intervento armato degli amici yankee contro l'armata russa, quelli che l'Europa, e in particolare l'Italia, non è altro che un gruppo di gente ossessionato dai soldi, privo di valori, che presto dovrà, confrontarsi con l'invasione dei corpi di armata russi che piano piano arriveranno «fino a Parigi, Roma, Madrid».
«Voi occidentali non capite, non capirete mai l'imperialismo dei russi. Dentro ogni russo, anche nel cuore dell'ultimo barbone di Mosca che mette insieme tre rubli al giorno per comprarsi la vodka, c'è il sogno di diventare il padrone di tutta l'Europa, di essere temuto e riverito. I russi sono tutti così e voi Europei siete dei codardi che presto pagheranno cara questa viltà». E' tutta una tirata quella di Gougha, sessanta'anni ben portati ex professore univeristario. Al collo porta una croce uncinata e per lui la differenza tra Hitler e Stalin è che il primo ha perso e quindi se ne parla male. Goucha è un fascista nero fino al midollo che adora il presidente Bush perché è l'unico che ha capito quali sono i due grandi pericoli di questi tempi: islam e Russia. Quale dei due sia il peggiore non è dato sapere. La Georgia è così: riconoscente verso il presidente statunitense, tanto da intestargli un viale immenso, President George Bush Street, che si percorre giungendo dall'aeroporto. All'imbocco c'è persino un gigantografia del comandante in capo americano che sorride. Gusti, si dirà.
Goucha è la parte estrema di quella maggioranza (forse) politica che ruota intorno a Saakashvili. La restante parte dei sostenitori del presidente georgiano è comunque convinta che la Georgia sia il punto più importante del mondo e per questa ragione i russi la vogliano conquistare. Sul perché di questa importanza strategica le spiegazioni sono le più disparate: petrolio, basi militari e persino religiose. Il ruolo che ha assunto la chiesa ortodossa in questa crisi è cruciale. Come racconta un ragazzo di Tbilisi, le chiese ortodosse incitano all'odio e con piacere utilizzano una frase che rimanda a tragedie che purtroppo non hanno insegnato nulla: Dio è con noi. E nelle voci di questi georgiani ultranazionalisti che aspettano la reddae rationem con i russi, ma anche con i cattolici, i musulmani, gli ortodossi non georgiani, Dio è chiaramente dalla loro parte mentre il demonio è chiaramente dentro i cuori dei sopracitati.
Una miscela esplosiva corre nei bar, nei mercati, nei salotti di Tbilisi. Ed è interessante notare come le ragioni ufficiali che dovrebbero spiegare il conflitto, ovvero le istanze separatiste sudossete, siano quasi assenti dalle analisi politico militari da bar. E si sa, vox populi vox dei… C'era un gran numero di persone convinte che gli statunitensi avrebbero schierato la sesta flotta. E che ancora sperano che la Nato prima o poi prenda l'unica decisione possibile: attaccare. Si accontenterebbero anche di un embargo economico totale verso la Russia, per non dispiacere i codardi pacifisti europei: «Voi che pensate solo al denaro almeno utilizzatelo per salvarvi».
Il precedente kosovaro da fiducia, sempre Goucha: «Il Kossovo ha fatto la guerra contro la Russia e la Serbia, ha vinto e ora è un paese libero che sta diventando ricco. Noi dobbiamo fare la stessa cosa». E guai a obiettare che sulla pelle dei georgiani sono proprio gli statunitensi a combattere una guerra per il controllo di un'area il cui valore è prettamente militare. Gli statunitensi sono santi da queste parti e la fiducia verso di loro è assoluta.
«I politici stanno spingendo gli strati più frustrati della popolazione a trovare un nemico, un capro espiatorio che distolga l'attenzione dalle loro responsabilità. E i russi sono perfetti. Per il georgiano la Russia è invidiosa perché qua l'economia va forte, la giustizia è giusta, la corruzione non esiste. Per queste ragioni gli ex sovietici tramano ai danni del presidente. Ciò che si avvicina più alla verità è purtroppo l'esatto contrario. Inoltre i georgiani amano amplificare le cose, renderle gravi. Si è visto bene in questa guerra con il comportamento di Saakashvili». E' il commento sconsolato del nostro amico di Tbilisi che per ovvie ragioni chiede che il suo nome non venga menzionato. E poi aggiunge: «La parte più drammatica deve arrivare. Ci saranno pulizie etniche quando tutto sarà tranquillo, da entrambi i lati. Già ora è meglio parlare georgiano nella capitale, anche se il russo è la lingua che ha sempre unito la nazione». Rimane una situazione incandescente che non si risolverà con il ritiro di qualche colonna di blindata da Gori. Con un amaro compiacimento Goucha guarda i carrarmati russi uscire dal paese e lo rassicura l'arrivo di una nave da guerra statunitense al largo di Poti. La partita non è chiusa: «Con l'aiuto di Dio e degli americani i russi scompariranno dalla faccia della terra».


24/08/2008 Liberazione


ARDITI NON GENDARMI