Niente aborto? Paghi il ticket
LORENZO BORATTO
CUNEO
Marta, italiana, 20 anni, incinta al secondo mese, si rivolge all’ospedale Santa Croce di Cuneo per abortire. Fa le visite, le analisi e ci ripensa. Vuole tenere il bambino. Si presenta all’ufficio prenotazioni per annullare l’intervento. L’impiegata: «Deve comunque pagare il ticket, lo prevede la legge». «E se faccio l’aborto?». «Nulla, l’intervento è gratuito». Marta non ha soldi. E’ disperata. Si rivolge all’Associazione Papa Giovanni XXIII, spiega che le serve quel denaro, poche decine di euro. Torna in ospedale, alla fine abortisce. Ma il caso fa discutere.
I volontari dell’Associazione vogliono verificare. Trovano conferma: «Contraddizione grottesca con la 194 e i suoi propositi di tutela della vita e difesa della maternità come valore sociale. Abbiamo un sistema che nei confronti delle donne garantisce poco aiuto. Viene violato il diritto alla libera scelta».
Daniela Giorgis, 38 anni, quattro figli, è la responsabile piemontese del «Servizio maternità difficili» dell’associazione cattolica. «Ho accompagnato la ragazza in direzione sanitaria a Cuneo - spiega - ci hanno detto che il costo sarebbe stato di 70 euro ma rifacendosi alla lettera alla legge si dovrebbe pagare anche per l’intervento non eseguito. Assurdo. Ci hanno anche detto che molte volte di fronte alla delicatezza della situazione non si fa pagare nulla».
Il caso riguarda tutta Italia ed è destinato a riaprire un dibattito mai sopito dall’entrata in vigore della 194. Aggiunge Giorgis: «L’ufficio legale ha svolto un’indagine, scoprendo che questa è la prassi anche in altri ospedali. A me è stata segnalata una donna che si era rivolta al Sant’Anna di Torino: anche a lei hanno chiesto di pagare dopo che aveva cambiato idea sull’aborto, poi di fatto non le avevano chiesto soldi».
Secca la replica della direzione sanitaria dell’ospedale Santa Croce: «Applicata la normativa». Una delibera del 2006 della giunta regionale piemontese recita: «Se il paziente idoneo per la day surgery (operazione che si svolge in giornata, come l’interruzione di gravidanza) rifiuta successivamente il trattamento o non si presenta per il ricovero, le prestazioni sono a totale carico dello stesso». Una regola che vale per qualsiasi intervento. In un ospedale come il Santa Croce (1800 parti all’anno) i ripensamenti delle future mamme sono un paio al mese. Pierdino Rattazzi è primario di Ostetrica e Ginecologia, spiega: «Capita di donne che in lacrime si rivestono e se ne vanno: nessuno le rincorre per farle pagare. La decisione è strettamente personale: se si pensa di non aver modo di risolvere i propri problemi, allora c’è questa possibilità, sancita dalla legge».
Il sottosegretario al Lavoro e Salute, Eugenia Roccella, commenta: «Faremo un’indagine nelle Regioni per sapere quanto è diffusa questa prassi. Probabilmente è nelle linee guida. Certo è in contraddizione con la legge 194 che è impostata sulla prevenzione, sulla riduzione del danno, per cui l’aborto va evitato il più possibile. L’Ivg non è un trattamento sanitario come gli altri. Anzi. E’ l’unico trattamento che, se non si fa, è un successo. Non ha senso far pagare le spese a chi decide di rinunciare al trattamento. Ora faremo una circolare per spiegarlo alle Regioni».
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