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  1. #1
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    Predefinito Cosa vuol dire essere Comunista oggi?

    Sull'onda della discussione di come dovrebbe vivere un Comunista ormai incomprensibile, apro questa nuova discussione ampliandola un pochettino.
    Il crollo del muro ha di fatto sancito la profonda trasformazione dei Paesi del blocco Sovietico e la crisi di quel modello ha modificato profondamente anche alcuni punti di riferimento per molti e molti Comunisti.

    Quindi, cosa vuol dire essere Comunisti oggi?

    Quali obiettivi abbiamo ed in quali modi si intende realizzarli?

    Inizio io, partendo da quello che fu il Segretario del piu' Grande Partito Comunista d'occidente e che a parer mio non aveva motivo alcuno di essere disciolto sull'onda lunga della caduta del muro.

    I motivi che portarono alla sparizione del PCI furono altri e molto meno "nobili"
    Caso mai, esaminiamo anche questi...

    http://www.geocities.com/enricoberli...r/elemsoc.html
    Elementi di socialismo
    18/20 ottobre 1976 - dal rapporto e dalle conclusioni al Comitato Centrale del PCI
    (...) Il centro della nostra lotta di oggi deve essere il concreto avvio di un nuovo tipo di sviluppo, il rinnovamento di tutta la struttura economica e sociale italiana e delle stesse idee di base che devono ispirare quest'opera di trasformazione generale.

    Finora - come abbiamo riconosciuto - questo obiettivo è stato più proclamato come esigenza che perseguito attraverso lotte e movimenti per obiettivi precisi.
    Ora, proprio muovendo dalla condizione drammatica del paese, che impone misure di austerità, non è più procrastinabile l'avvio di un cambiamento profondo.

    Il movimento operaio, tutte le forze democratiche, l'intera nostra società non possono lasciarsi sfuggire anche questa occasione dopo le precedenti cui ho accennato. Si tratta dunque di fare oggi quello che in Italia non è stato ancora mai fatto se non sotto forma di esercitazioni tecnocratiche tradottesi solo in carta stampata. Al nostro concetto di programmazione democratica è estranea ogni forma di dirigismo tecnocratico e burocratico. Per noi mantengono uno spazio, un ruolo il mercato e le imprese.

    Ma non lo mantengono per concessione tattica agli "altri", bensì per salvaguardare al massimo criteri di imprenditività e di economicità e perché solo un tipo di programmazione che salvaguardi un ruolo delle imprese e del mercato è coerente con la nostra visione pluralistica della società e rispondente al carattere aperto verso l'estero della nostra economia. Noi però non crediamo - e l'esperienza ce lo prova a usura - che il mercato e le imprese siano capaci di esprimere spontaneamente le scelte necessarie a fornire i punti di riferimento e ad organizzare gli sbocchi necessari per gli investimenti.

    Questo può venire solo dall'iniziativa di una volontà pubblica che si formi, e si attui, in modi democratici, con il concorso di una molteplicità di soggetti privati e pubblici che trovi la sua sintesi e mediazione nel parlamento e in un governo che abbia la necessaria autorità politica e morale e la più ampia base di consenso popolare. Per far questo l'esigenza fondamentale è dunque quella di una programmazione dello sviluppo che definisca concretamente gli scopi e gli sbocchi delle fondamentali attività economiche.

    Qualcuno obietterà che di programmazione si è già parlato dieci o più anni fa e che i tentativi allora avviati sono falliti. Questo è vero, ma una programmazione sbagliata non può certo indurre il movimento operaio e il paese a rinunciare all'esigenza di programmare davvero lo sviluppo per affidarsi unicamente alle leggi del mercato, corrette secondo la congiuntura da questo o quell'intervento pubblico soccorritore.
    La verità è che i governi di centro-sinistra pur avendo elaborato (e persino, una volta, fatto approvare per legge) documenti economici chiamati presuntuosamente piani quinquennali, quei governi non hanno mai dato luogo a una reale programmazione e cioè a una direzione dei processi economici che cambiasse il tipo di sviluppo del paese. I "piani" di quel periodo erano astratti, velleitari, arbitrari, privi di strumenti operativi, e mancavano soprattutto di un consenso e di un'effettiva partecipazione democratica sia degli enti locali e delle Regioni sia dei lavoratori e delle imprese. Di fatto l'intervento dello Stato nell'economia continuò a svolgersi, sotto lo stretto controllo della Dc, in forme sempre più degenerative, al servizi di una politica clientelistica e di collusione fra partito, maggioranza e grandi gruppi economici anziché al servizi dell'interesse generale e di una nuova linea di sviluppo del paese.

    Noi proponiamo dunque oggi e formalmente che il lavoro preparatorio di un programma di sviluppo sia prontamente avviato. Gli stessi organismi dirigenti del nostro partito dovranno mettersi al lavoro per elaborare proposte in questa direzione.
    È evidente che l'elaborazione di tale programma comporterà un certo periodo di tempo. Ma questo vuoi dire forse che si debba attendere l'approntamento di un programma generale rinunciando a organizzare movimenti e iniziative per ottenere conquiste di riforma che già si muovano nella direzione di avviare un nuovo tipo di sviluppo? No, certamente.

    In questo spirito vogliamo proporre per il confronto con altre forze e soprattutto per l'impegno d'iniziativa e di mobilitazione di tutti i nostri compagni, la necessità di interventi trasformatori in alcuni settori nei quali si sta toccando il culmine della inefficienza e dello spreco e a cui competerebbe, invece, la soddisfazione di bisogni sociali di grande portata.
    Alludiamo a settori come quelli dei trasporti, dell'istruzione, della sanità e della casa.
    Perché diamo la preferenza a queste questioni su altre?
    Perché prendiamo questi casi esemplari?
    Perché un impegno in direzione dei trasporti collettivi, della istruzione e della scuola e, infine, della sanità e della casa obbliga a porre in modo più evidente il nesso tra l'intervento economico volto ad aprire nuovi sbocchi agli investimenti e l'operazione, non più certo solo economica, volta a creare gradualmente condizioni per un mutamento profondo nel modo di vivere della società. (...)
    I temi dei trasporti, della scuola, della sanità, della casa e del territorio aiutano a comprendere perché noi sottolineiamo la necessità di collegare la lotta per una politica economica rigorosa alla trasformazione della società e alla sua "umanizzazione".

    È anche impostando cosi la nostra battaglia pratica e ideale di oggi che diviene evidente come avanzando verso gli obiettivi che abbiamo indicato -e che non esauriscono certo la nostra visione di una società nuova -si lavora concretamente per introdurre nella complessiva vita civile, e negli orientamenti Ideali, ciò che noi chiamiamo "elementi di socialismo", e per cominciare a rendere comprensibili a grandi masse in che cosa concretamente essi consistono.

    Sono evidenti le conseguenze positive che gli obiettivi che oggi poniamo - di risanamento, di sviluppo economico, di trasformazione sociale e di "umanizzazione" della convivenza civile - hanno sulla emancipazione della donna e per l'avvenire delle giovani generazioni. Anche e proprio sulla carica rinnovatrice delle donne e dei giovani dobbiamo far leva perché le nostre proposte avanzino attraverso la mobilitazione di grandi masse. Naturalmente, questo nostro sforzo si rivolge, oltre che alle donne e ai giovani, a tutte le forze sociali e alle energie intellettuali interessate al cambiamento. (...)

    Noi dunque prendiamo nelle nostre mani la bandiera della lotta all'inflazione. La prendiamo per farne una lotta da condurre secondo il criterio dell'equità, di una lotta che contribuisca nel suo stesso corso ad attenuare le sperequazioni abissali oggi esistenti tra i redditi e tra le diverse condizioni sociali, che ancora caratterizzano così largamente la situazione del nostro paese. Solo se noi impostiamo e sviluppiamo la battaglia in questo modo la classe operaia può, nel suo complesso e come tale, farsi convinta e farsi carico della lotta all'inflazione e divenire anzi forza di avanguardia. Ma se è la classe operaia a mettersi alla testa della lotta contro l'inflazione, contro gli sprechi e contro i parassitismi, ovunque si annidino, è chiaro che essa non può rinunciare a porre chiaramente il fine vero di una politica di austerità. E il fine vero - ritorno qui al tema esposto all'inizio - il fine che può rendere questa austerità accettabile dalla maggioranza dei lavoratori, dalla grande maggioranza del popolo e del paese, è di avviare misure trasformatrici delle strutture economiche e dell'assetto sociale tali da incidere, da innovare profondamente nella vita del nostro paese.

    Già altri compagni l'hanno sottolineato: la condizione del successo effettivo della lotta contro l'inflazione non può consistere nella ripetizione periodica di provvedimenti "tampone", come in parte si è verificato nel corso degli ultimi anni: la condizione necessaria è di individuare e combattere le cause più profonde del processo inflazionistico. Sappiamo bene che queste sono in larga misura cause di ordine internazionale, ma vi sono anche cause interne, che stanno nelle distorsioni del sistema economico, sociale, statale italiano, nella direzione governativa democristiana: e questo va ben ricordato e ripetuto in ogni occasione. Oggi, misure di pura "lesina", come vengono proposte da certe forze politiche, o di pura "scure", come furono per esempio quelle del 1947 (che caratterizzarono la politica antinflazionistica prima di Einaudi poi di Pella) non sono accettabili né ripetibili, innanzi tutto per ragioni sociali e politiche, per la diversa situazione politica che si è determinata attualmente in Italia; e non sono neppure economicamente possibili, perché oggi sono prive di quelle "compensazioni" che allora esistevano sul piano internazionale ed interno, e che le resero realizzabili. (...).

    Ma oggi nessuna di queste condizioni esiste più, né sul piano economico né su quello sociale e politico. Ecco dunque perché oggi, se si vuoI affrontare sul serio il problema della lotta all'inflazione e dell'uscita positiva e duratura dalla crisi - di cui l'inflazione è segno e conseguenza - non si può porre oggettivamente, per necessità di cose, in questo 1976, l'obiettivo urgente di avviare un nuovo meccanismo di sviluppo economico, di trasformazioni strutturali, nonché di cambiamento del quadro politico, della guida politica della nazione. Oltre all'esigenza oggettiva, però, c'è anche, per noi comunisti, una esigenza soggettiva nel porre l'obiettivo di profonde trasformazioni. È del tutto impensabile che si possano mobilitare la classe operaia, i lavoratori per uscire dal "tunnel" della crisi, come si dice, per evitare cioè i danni tremendi dell'inflazione, se non si ottiene da essi un consenso attivo. Ma questo consenso attivo non può venire solo dalla consapevolezza del pericolo di un aggravarsi di rischi reali di varia natura, sia presenti che futuri, ma può venire soprattutto dalla fiducia che si può agire e si sta agendo per andare verso il nuovo.

    Si può mai pretendere e ottenere dalla classe operaia, dalle masse lavoratrici e popolari, dai comunisti una politica di austerità per far ritornare le cose come erano prima? No, non è possibile, credo anch'io che debba essere detto.

  2. #2
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    Essere un dinosauro della storia...

  3. #3
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    Predefinito

    Basterebbe leggersi questo post per capire che essere comunsita vuol dire (quando non si è al potere):
    - essere un burocrate inconcludente
    - credere che tuttio possa essere risolto da qualche essere supriore
    - essere un paroliere vuoto, un ciarlatano
    - non capire nulla di economia

    Citazione Originariamente Scritto da Antiglobal Visualizza Messaggio
    Sull'onda della discussione di come dovrebbe vivere un Comunista ormai incomprensibile, apro questa nuova discussione ampliandola un pochettino.
    Il crollo del muro ha di fatto sancito la profonda trasformazione dei Paesi del blocco Sovietico e la crisi di quel modello ha modificato profondamente anche alcuni punti di riferimento per molti e molti Comunisti.

    Quindi, cosa vuol dire essere Comunisti oggi?

    Quali obiettivi abbiamo ed in quali modi si intende realizzarli?

    Inizio io, partendo da quello che fu il Segretario del piu' Grande Partito Comunista d'occidente e che a parer mio non aveva motivo alcuno di essere disciolto sull'onda lunga della caduta del muro.

    I motivi che portarono alla sparizione del PCI furono altri e molto meno "nobili"
    Caso mai, esaminiamo anche questi...

    http://www.geocities.com/enricoberli...r/elemsoc.html
    Elementi di socialismo
    18/20 ottobre 1976 - dal rapporto e dalle conclusioni al Comitato Centrale del PCI
    (...) Il centro della nostra lotta di oggi deve essere il concreto avvio di un nuovo tipo di sviluppo, il rinnovamento di tutta la struttura economica e sociale italiana e delle stesse idee di base che devono ispirare quest'opera di trasformazione generale.

    Finora - come abbiamo riconosciuto - questo obiettivo è stato più proclamato come esigenza che perseguito attraverso lotte e movimenti per obiettivi precisi.
    Ora, proprio muovendo dalla condizione drammatica del paese, che impone misure di austerità, non è più procrastinabile l'avvio di un cambiamento profondo.

    Il movimento operaio, tutte le forze democratiche, l'intera nostra società non possono lasciarsi sfuggire anche questa occasione dopo le precedenti cui ho accennato. Si tratta dunque di fare oggi quello che in Italia non è stato ancora mai fatto se non sotto forma di esercitazioni tecnocratiche tradottesi solo in carta stampata. Al nostro concetto di programmazione democratica è estranea ogni forma di dirigismo tecnocratico e burocratico. Per noi mantengono uno spazio, un ruolo il mercato e le imprese.

    Ma non lo mantengono per concessione tattica agli "altri", bensì per salvaguardare al massimo criteri di imprenditività e di economicità e perché solo un tipo di programmazione che salvaguardi un ruolo delle imprese e del mercato è coerente con la nostra visione pluralistica della società e rispondente al carattere aperto verso l'estero della nostra economia. Noi però non crediamo - e l'esperienza ce lo prova a usura - che il mercato e le imprese siano capaci di esprimere spontaneamente le scelte necessarie a fornire i punti di riferimento e ad organizzare gli sbocchi necessari per gli investimenti.

    Questo può venire solo dall'iniziativa di una volontà pubblica che si formi, e si attui, in modi democratici, con il concorso di una molteplicità di soggetti privati e pubblici che trovi la sua sintesi e mediazione nel parlamento e in un governo che abbia la necessaria autorità politica e morale e la più ampia base di consenso popolare. Per far questo l'esigenza fondamentale è dunque quella di una programmazione dello sviluppo che definisca concretamente gli scopi e gli sbocchi delle fondamentali attività economiche.

    Qualcuno obietterà che di programmazione si è già parlato dieci o più anni fa e che i tentativi allora avviati sono falliti. Questo è vero, ma una programmazione sbagliata non può certo indurre il movimento operaio e il paese a rinunciare all'esigenza di programmare davvero lo sviluppo per affidarsi unicamente alle leggi del mercato, corrette secondo la congiuntura da questo o quell'intervento pubblico soccorritore.
    La verità è che i governi di centro-sinistra pur avendo elaborato (e persino, una volta, fatto approvare per legge) documenti economici chiamati presuntuosamente piani quinquennali, quei governi non hanno mai dato luogo a una reale programmazione e cioè a una direzione dei processi economici che cambiasse il tipo di sviluppo del paese. I "piani" di quel periodo erano astratti, velleitari, arbitrari, privi di strumenti operativi, e mancavano soprattutto di un consenso e di un'effettiva partecipazione democratica sia degli enti locali e delle Regioni sia dei lavoratori e delle imprese. Di fatto l'intervento dello Stato nell'economia continuò a svolgersi, sotto lo stretto controllo della Dc, in forme sempre più degenerative, al servizi di una politica clientelistica e di collusione fra partito, maggioranza e grandi gruppi economici anziché al servizi dell'interesse generale e di una nuova linea di sviluppo del paese.

    Noi proponiamo dunque oggi e formalmente che il lavoro preparatorio di un programma di sviluppo sia prontamente avviato. Gli stessi organismi dirigenti del nostro partito dovranno mettersi al lavoro per elaborare proposte in questa direzione.
    È evidente che l'elaborazione di tale programma comporterà un certo periodo di tempo. Ma questo vuoi dire forse che si debba attendere l'approntamento di un programma generale rinunciando a organizzare movimenti e iniziative per ottenere conquiste di riforma che già si muovano nella direzione di avviare un nuovo tipo di sviluppo? No, certamente.

    In questo spirito vogliamo proporre per il confronto con altre forze e soprattutto per l'impegno d'iniziativa e di mobilitazione di tutti i nostri compagni, la necessità di interventi trasformatori in alcuni settori nei quali si sta toccando il culmine della inefficienza e dello spreco e a cui competerebbe, invece, la soddisfazione di bisogni sociali di grande portata.
    Alludiamo a settori come quelli dei trasporti, dell'istruzione, della sanità e della casa.
    Perché diamo la preferenza a queste questioni su altre?
    Perché prendiamo questi casi esemplari?
    Perché un impegno in direzione dei trasporti collettivi, della istruzione e della scuola e, infine, della sanità e della casa obbliga a porre in modo più evidente il nesso tra l'intervento economico volto ad aprire nuovi sbocchi agli investimenti e l'operazione, non più certo solo economica, volta a creare gradualmente condizioni per un mutamento profondo nel modo di vivere della società. (...)
    I temi dei trasporti, della scuola, della sanità, della casa e del territorio aiutano a comprendere perché noi sottolineiamo la necessità di collegare la lotta per una politica economica rigorosa alla trasformazione della società e alla sua "umanizzazione".

    È anche impostando cosi la nostra battaglia pratica e ideale di oggi che diviene evidente come avanzando verso gli obiettivi che abbiamo indicato -e che non esauriscono certo la nostra visione di una società nuova -si lavora concretamente per introdurre nella complessiva vita civile, e negli orientamenti Ideali, ciò che noi chiamiamo "elementi di socialismo", e per cominciare a rendere comprensibili a grandi masse in che cosa concretamente essi consistono.

    Sono evidenti le conseguenze positive che gli obiettivi che oggi poniamo - di risanamento, di sviluppo economico, di trasformazione sociale e di "umanizzazione" della convivenza civile - hanno sulla emancipazione della donna e per l'avvenire delle giovani generazioni. Anche e proprio sulla carica rinnovatrice delle donne e dei giovani dobbiamo far leva perché le nostre proposte avanzino attraverso la mobilitazione di grandi masse. Naturalmente, questo nostro sforzo si rivolge, oltre che alle donne e ai giovani, a tutte le forze sociali e alle energie intellettuali interessate al cambiamento. (...)

    Noi dunque prendiamo nelle nostre mani la bandiera della lotta all'inflazione. La prendiamo per farne una lotta da condurre secondo il criterio dell'equità, di una lotta che contribuisca nel suo stesso corso ad attenuare le sperequazioni abissali oggi esistenti tra i redditi e tra le diverse condizioni sociali, che ancora caratterizzano così largamente la situazione del nostro paese. Solo se noi impostiamo e sviluppiamo la battaglia in questo modo la classe operaia può, nel suo complesso e come tale, farsi convinta e farsi carico della lotta all'inflazione e divenire anzi forza di avanguardia. Ma se è la classe operaia a mettersi alla testa della lotta contro l'inflazione, contro gli sprechi e contro i parassitismi, ovunque si annidino, è chiaro che essa non può rinunciare a porre chiaramente il fine vero di una politica di austerità. E il fine vero - ritorno qui al tema esposto all'inizio - il fine che può rendere questa austerità accettabile dalla maggioranza dei lavoratori, dalla grande maggioranza del popolo e del paese, è di avviare misure trasformatrici delle strutture economiche e dell'assetto sociale tali da incidere, da innovare profondamente nella vita del nostro paese.

    Già altri compagni l'hanno sottolineato: la condizione del successo effettivo della lotta contro l'inflazione non può consistere nella ripetizione periodica di provvedimenti "tampone", come in parte si è verificato nel corso degli ultimi anni: la condizione necessaria è di individuare e combattere le cause più profonde del processo inflazionistico. Sappiamo bene che queste sono in larga misura cause di ordine internazionale, ma vi sono anche cause interne, che stanno nelle distorsioni del sistema economico, sociale, statale italiano, nella direzione governativa democristiana: e questo va ben ricordato e ripetuto in ogni occasione. Oggi, misure di pura "lesina", come vengono proposte da certe forze politiche, o di pura "scure", come furono per esempio quelle del 1947 (che caratterizzarono la politica antinflazionistica prima di Einaudi poi di Pella) non sono accettabili né ripetibili, innanzi tutto per ragioni sociali e politiche, per la diversa situazione politica che si è determinata attualmente in Italia; e non sono neppure economicamente possibili, perché oggi sono prive di quelle "compensazioni" che allora esistevano sul piano internazionale ed interno, e che le resero realizzabili. (...).

    Ma oggi nessuna di queste condizioni esiste più, né sul piano economico né su quello sociale e politico. Ecco dunque perché oggi, se si vuoI affrontare sul serio il problema della lotta all'inflazione e dell'uscita positiva e duratura dalla crisi - di cui l'inflazione è segno e conseguenza - non si può porre oggettivamente, per necessità di cose, in questo 1976, l'obiettivo urgente di avviare un nuovo meccanismo di sviluppo economico, di trasformazioni strutturali, nonché di cambiamento del quadro politico, della guida politica della nazione. Oltre all'esigenza oggettiva, però, c'è anche, per noi comunisti, una esigenza soggettiva nel porre l'obiettivo di profonde trasformazioni. È del tutto impensabile che si possano mobilitare la classe operaia, i lavoratori per uscire dal "tunnel" della crisi, come si dice, per evitare cioè i danni tremendi dell'inflazione, se non si ottiene da essi un consenso attivo. Ma questo consenso attivo non può venire solo dalla consapevolezza del pericolo di un aggravarsi di rischi reali di varia natura, sia presenti che futuri, ma può venire soprattutto dalla fiducia che si può agire e si sta agendo per andare verso il nuovo.

    Si può mai pretendere e ottenere dalla classe operaia, dalle masse lavoratrici e popolari, dai comunisti una politica di austerità per far ritornare le cose come erano prima? No, non è possibile, credo anch'io che debba essere detto.

  4. #4
    MANDA A CASA LA CASTA
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    quel discorso è solo il tentativo di zittirci accettando qualsiasi compromesso con la solita speranza promessa di cambiare tutto in meglio ...
    e tutto invece è cambiato in peggio..
    grazie a leaders corrotti e putrefatti e alla rapina delle grandi corporazioni che si sono persino impadronite di una quota di pil che da generazioni era appannaggio delle classe lavoratrice.,

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da Nicola81 Visualizza Messaggio
    Essere un dinosauro della storia...
    No quelli si sono estinti, questi sono per la strada ma non vogliono mollare, e basta abbiate pietà l'eutanasia in certi casi non farebbe male.

  6. #6
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    beh...anche questi sono problemi

  7. #7
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    Essere comunista vuol dire credere, che un uomo, (capo di un partito sedicente comunista) ne sa più degli altri su come spendere il denaro estorto ai lavoratori e alle imprese per raggiungere i fini più alti dell'umanità e quindi avere sfiducia che un singolo uomo sappia scegliere il bene per se stesso con il suo reddito, seppure piccolo. Insomma significa negargli la libertà (=fascismo).

  8. #8
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    Essere comunisti oggi vuol dire non stare con berlusconi, e neanche con veltroni...
    Non sono comunista, ma viva i comunisti!

  9. #9
    MANDA A CASA LA CASTA
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    Citazione Originariamente Scritto da Nicola81 Visualizza Messaggio
    Essere comunista vuol dire credere, che un uomo, (capo di un partito sedicente comunista) ne sa più degli altri su come spendere il denaro estorto ai lavoratori e alle imprese per raggiungere i fini più alti dell'umanità e quindi avere sfiducia che un singolo uomo sappia scegliere il bene per se stesso con il suo reddito, seppure piccolo. Insomma significa negargli la libertà (=fascismo).
    arzigogoli...
    essere comunisti sighifica fare lotta di classe contro la lotta di classe che il padronato condiuce contro le classi dipendnenti ogni giorno.

  10. #10
    Ultraliberista (selvaggio)
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    Citazione Originariamente Scritto da WANDA Visualizza Messaggio
    arzigogoli...
    essere comunisti sighifica fare lotta di classe contro la lotta di classe che il padronato condiuce contro le classi dipendnenti ogni giorno.
    Quindi, io dipendente che vado dal padrone a chiedergli soldi in cambio di lavoro, vado dal padrone per farmi fare la guerra. Io questa la definisco collaborazione invece, dare per ricevere, lui sfrutta il mio bisogno di denaro, io sfrutto il suo bisogno di capacità per le mansioni che richiede.
    Il resto sono cazzate e poi nei paesi comunisti a chi si sostituiva il padrone ? Lo stato, ovvero la cerchia ristretta dei burocrati del partito.

 

 
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