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  1. #1
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    Predefinito una inchiesta sulle carceri italiane

    Sarebbe opportuno promuovere una inchiesta parlamentare sulla condizione dei penitenziari in Italia. Ho l'impressione che si tratta di un mondo sottratto alle regole dei controlli democratici dove avvengono cose che riguardando persone che non hanno alcun peso sociale e che anzi tutti vorremmo toglierci dalla vista non vengono opportunamente messe in luce. Non si tratta solo della capienza delle prigioni ma di come vivono i detenuti, della qualità del loro vitto, del potere dei secondini e dei direttori dei carceri, se è vero che le bastonature sono di tutti i giorni e per i motivi più futili, se è vero che i prigionieri vivono in stato di terrore....

    L'annuale visita di ferragosto dei radicali è certamente una buona finestra ma probabilmente vediamo poco essendo le visite abbastanza sommarie ed avvenendo tutte alla presenza della Polizia Penitenziaria.

  2. #2
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    l'altro giorno mi ha colpito un fatto che ho visto..alla fermata del pulman avevo visto un tizio che aveva un aspetto poco raccomandabile, mi e' venuto subito in mente la sua somiglianza con il protagonista di un film interpretato da edward norton...la cosa piu' strana e' che durante la corsa si e' messo a parlare e si e' scoperto che era un ex detenuto appena uscito (con tanto di foglio di scarcerazione che mi ha mostrato per dimostrare che non stava raccontando palle) e aveva gia' un contratto di lavoro (fornitogli dalle autorita' finita la pena) presso un benzinaio.....

    anche dove lavoravo 2 anni fa, c'era un programma di rintroduzione al lavoro per ex detenuti, certo lavoro umili, ma che cmq permettevano se in gamba di migliorarsi e di raggiungere buone posizioni (c'era uno chef che veniva da questa situazione), insomma qua in usa, anche se un sistema spietato e molto repressivo, una volta che saldi il tuo debito con la giustizia un'opportunita' te la danno, in italia credo hce per un ex detenuto sia molto difficile trovare lavoro e una sistemazione.



    per la situazione italiana credo che il numero di posto in carcere e' troppo basso (perche' sono 30 anni o di piu' che ogni tot di anni bisogna fare amnistie o indulti?) o forse quelli hce ci sono sono usati male


    carcerazioni preventive troppo lunghe e scarso ricorso a pene alternative

    io per reati minori non vorrei vedere il carcere ma nemmeno l'impunita' si potrebbe obbligare a lavori socialmente utili per la comunita' che hanno una funzione punitiva, ma anche rieducativa

    credo hce in italia di queste cose non sia previsto praticamente nulla

  3. #3
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    Nell'inferno delle carceri di Chavez

    “Benvenuti nel cimitero dei morti viventi…Qui la vita non vale niente! I cani sono trattati meglio!” I detenuti italiani reclusi presso l’Internado Judicial de Los Teques, cittadina a quaranta chilometri da Caracas, ci accolgono con queste frasi lapidarie. Per giungere a questo carcere lugubre e fatiscente, dobbiamo risalire una collina lungo una stradina ripida che corre tra le baracche di un barrio, come si chiamano le favelas venezuelane. Entriamo nel cortile dove i detenuti hanno l’ora d’aria, accompagnati dal personale di una Ong del posto. I prigionieri sono al sesto giorno di sciopero della fame, per protesta contro i maltrattamenti delle guardie e le condizioni cui sono costretti a vivere. Incontriamo gli italiani: hanno perso chili e speranze, in questo inferno dantesco.
    Tutta l’Italia è rappresentata a Los Teques, da Bergamo alla Sicilia, da Roma a Napoli passando per Reggio Emilia e Bologna. “Gli abusi di ogni genere” ci racconta un detenuto “sono all’ordine del giorno. E’ una tensione continua. Siamo psicologicamente a pezzi. Di notte non ci fanno dormire, oppure veniamo coinvolti in un pestaggio in corso”. …Se siamo qui certamente non è perché trasportavamo cioccolatini, ma i diritti minimi dovrebbero essere garantiti”. Un altro ci ricorda che in carcere si deve pagare ogni cosa: “Qui tutto si paga a prezzi triplicati perché ogni cosa è gestito dai capi banda interni”. “Il cibo è immangiabile” -grida un altro detenuto- “…Tutti i giorni si mangia arepa –un impasto di farina di mais fritto con sardine e acqua”.

    Chi è diabetico non ha la giusta dose di insulina, e le medicine si pagano care. Alcuni hanno la dissenteria e chiedono disperatamente degli antibiotici. Altri non riescono più a comunicare col proprio avvocato. C’è chi cerca soltanto una parola di conforto. C’è polemica tra gli italiani detenuti. Si sentono abbandonati e traditi: i sussidi economici erogati dal governo di Roma arrivano con grande ritardo. Accusano Teodoro Mascitti, vice console onorario di Los Teques, responsabile dell’erogazione dei contributi: “Il denaro arriva ogni quattro o cinque mesi, e quasi sempre senza arretrati. Questo non succede agli spagnoli o ai polacchi!”. Passi il ritardo, ma è la mancanza degli arretrati a scatenare la rabbia dei detenuti. Per fortuna c’è anche l’altra faccia della medaglia, quella dell’efficienza e della solidarietà priva di burocrazia, che nasce dalla forza e dalla perseveranza di un sacerdote italiano. Si tratta di padre Leonardo Grasso, da dieci anni in Venezuela, che insieme alla ong Icaro assiste i detenuti italiani con un sostegno spirituale e anche con viveri e medicine di prima necessità.

    Alcuni finanziamenti arrivano grazie a una convenzione con il Consolato Generale di Caracas, che finanzia direttamente il progetto di assistenza. Un esempio di efficienza da parte delle nostre istituzioni, e di pragmatismo di una piccola Ong. “Tutto ciò -dice Padre Leonardo- nasce dalla volontà di rispondere alle necessità dei detenuti italiani che, anche se colpevoli, sono sempre delle persone con una loro dignità. Un dramma che incontriamo in tutti i penitenziari venezuelani”. Italiani che non fanno notizia, e quindi sono dimenticati da tutti e lasciati in balia della violenza e di una burocrazia oppressiva. L’Italia ha in Venezuela il gruppo di carcerati più consistente di tutto il continente sudamericano. Secondo i dati del Ministero degli Esteri italiano si tratta di quaranta persone, tra uomini e donne. Secondo le Ong sono più di una sessantina, in maggioranza detenuti per traffico di droga, con una condanna media di otto anni. Qui non c’è garantismo, né arriva l’urlo di dolore dei Bertinotti e dei Prodi: siamo nel regno di Chavez. Fossero detenuti negli Stati Uniti diventerebbero dei Silvio Pellico, o almeno delle Silvia Baraldini. Nel regno marxislamico bolivariano vengono dimenticati.

    Il Venezuela detiene un triste primato: è la nazione con la più alta percentuale di morti negli istituti penitenziari. Con una popolazione carceraria di circa 19.000 unità, muoiono 350 prigionieri ogni anno, quasi uno al giorno, secondo quanto denuncia Humberto Prado -direttore dell’Observatorio Venezolano de Prisiones. I detenuti deceduti in carcere salgono di numero ogni anno, e a questi si deve aggiungere la mattanza “normale: 407 feriti nel solo primo semestre del 2006. Per non parlare degli arsenali di fucili, pistole, bombe lacrimogene e coltelli che emergono dopo ogni perquisizione, a causa della corruzione delle guardie carcerarie. A Los Teques le celle sono state completamente sventrate, per protesta, con i flessibili. I detenuti dormomo per terra, in stanzoni da ottanta persone con un solo bagno funzionante. Il carcere ha più di 800 prigionieri, invece dei 350 previsti. Quasi tutti sono in attesa di sentenza definitiva. Le norme igieniche sono quasi inesistenti e le infezioni ovviamente impazzano. In caso di malattia i detenuti devono pagare per avere cure in tempo utile. Ma spesso le cure vengono negate, per “motivi di sicurezza”.

    La vita, nel carcere di Los Teques, rispecchia quella di tutto il Venezuela, moltiplicata per cento in termini di violenza, mancanza di regole sensate, prevaricazioni e burocrazia. “Qui l’odore della morte ti accompagna sempre”, dice salutandoci un detenuto italiano. Non si vede l’alba e nemmeno il tramonto a Los Teques. Nel regno di Simòn Bolivar non c’è speranza per i poveri carcerati. Qui non vengono i medici cubani pagati da Chavez, il militare golpista abbracciato nel parlamento di Roma. In Venezuela i paladini degli oppressi toccano Caino, anzi lo prendono a calci.
    Di Lorenzo Montanari e Paolo della Sala, su L'Opinione di oggi.

    http://leguerrecivili.splinder.com/tag/marxislamici

  4. #4
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    domani sera inizia la quarta stagione di prison break

  5. #5
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    Roma: muore di cancro in cella, aspettava misura alternativa

    Agi, 30 agosto 2008

    È morto nel centro clinico del carcere di Regina Coeli mentre attendeva, invano, che le autorità decidessero sulle sue richieste di scontare i pochi mesi di pena residua a casa, visto il peggiorare delle condizioni di salute minate da un tumore.
    Protagonista della vicenda (avvenuta l’8 agosto e resa nota solo oggi), segnalata dal Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, un detenuto albanese di 41 anni, Dule G., che avrebbe finito di scontare la pena nel marzo 2009. A quanto risulta al Garante, l’uomo (che aveva una figlia di sei anni ed una convivente con cui aveva regolari colloqui e che ha saputo della morte del compagno dagli operatori del carcere) era arrivato a Regina Coeli dal carcere di Velletri lo scorso maggio e, in poco più di 3 mesi, aveva sostenuto quattro visite mediche specialistiche e presentato due istanze di detenzione domiciliare per motivi di salute, visto l’evidente deperimento fisico. Al momento della sua morte, non risultavano ancora fissate udienze per discutere queste istanze.
    Nato a Valona nel 1967, Dule era arrivato in Italia nel 1991 come regolare e dopo aver lavorato come operaio edile nel Nord, si era trasferito a Roma nel 1996: arrestato per reati legati alla droga, era stato condannato a 5 anni e mezzo di carcere. Dopo un primo periodo di detenzione a Civitavecchia (dove lavorava per mantenere la famiglia) era stato trasferito a Velletri e poi a Regina Coeli. Lo scorso aprile il tribunale di sorveglianza di Velletri aveva rigettato la sua richiesta di differimento pena per motivi di salute in base ad una relazione medica della direzione sanitaria del carcere che aveva giudicato la sua malattia compatibile con il regime carcerario.
    "Trovo incredibile - afferma in una nota il Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni - che un malato non abbia avuto risposte alle sue richieste di trascorrere serenamente in casa gli ultimi mesi di vita, quasi che le patologie gravi non siano elementi da valutare con urgenza. Una vicenda ancor più grave se si considera che quest’uomo doveva uscire dal carcere fra sei mesi". Pochi giorni fa, ricorda il Garante, un altro detenuto malato è morto a Civitacastellana in attesa che il Tribunale decidesse la sua istanza di differimento pena: "l’ennesima conferma - conclude Marroni - che i tempi della giustizia sono drammaticamente più lunghi di quelli delle malattie".

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da robertoguidi Visualizza Messaggio
    Roma: muore di cancro in cella, aspettava misura alternativa

    Agi, 30 agosto 2008

    È morto nel centro clinico del carcere di Regina Coeli mentre attendeva, invano, che le autorità decidessero sulle sue richieste di scontare i pochi mesi di pena residua a casa, visto il peggiorare delle condizioni di salute minate da un tumore.
    Protagonista della vicenda (avvenuta l’8 agosto e resa nota solo oggi), segnalata dal Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, un detenuto albanese di 41 anni, Dule G., che avrebbe finito di scontare la pena nel marzo 2009. A quanto risulta al Garante, l’uomo (che aveva una figlia di sei anni ed una convivente con cui aveva regolari colloqui e che ha saputo della morte del compagno dagli operatori del carcere) era arrivato a Regina Coeli dal carcere di Velletri lo scorso maggio e, in poco più di 3 mesi, aveva sostenuto quattro visite mediche specialistiche e presentato due istanze di detenzione domiciliare per motivi di salute, visto l’evidente deperimento fisico. Al momento della sua morte, non risultavano ancora fissate udienze per discutere queste istanze.
    Nato a Valona nel 1967, Dule era arrivato in Italia nel 1991 come regolare e dopo aver lavorato come operaio edile nel Nord, si era trasferito a Roma nel 1996: arrestato per reati legati alla droga, era stato condannato a 5 anni e mezzo di carcere. Dopo un primo periodo di detenzione a Civitavecchia (dove lavorava per mantenere la famiglia) era stato trasferito a Velletri e poi a Regina Coeli. Lo scorso aprile il tribunale di sorveglianza di Velletri aveva rigettato la sua richiesta di differimento pena per motivi di salute in base ad una relazione medica della direzione sanitaria del carcere che aveva giudicato la sua malattia compatibile con il regime carcerario.
    "Trovo incredibile - afferma in una nota il Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni - che un malato non abbia avuto risposte alle sue richieste di trascorrere serenamente in casa gli ultimi mesi di vita, quasi che le patologie gravi non siano elementi da valutare con urgenza. Una vicenda ancor più grave se si considera che quest’uomo doveva uscire dal carcere fra sei mesi". Pochi giorni fa, ricorda il Garante, un altro detenuto malato è morto a Civitacastellana in attesa che il Tribunale decidesse la sua istanza di differimento pena: "l’ennesima conferma - conclude Marroni - che i tempi della giustizia sono drammaticamente più lunghi di quelli delle malattie".
    Interessante e drammatica testimonianza sul penoso stato delle nostre carceri.

  7. #7
    Agnosticamente LAICO e di CDx
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    forse vivo meglio con una vaga idea che con una idea più precisa a giudicare dal fatto che chi vive senza idee pare stia meglio di me a salute mentale.
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    Citazione Originariamente Scritto da pietro936 Visualizza Messaggio
    Sarebbe opportuno promuovere una inchiesta parlamentare sulla condizione dei penitenziari in Italia. Ho l'impressione che si tratta di un mondo sottratto alle regole dei controlli democratici dove avvengono cose che riguardando persone che non hanno alcun peso sociale e che anzi tutti vorremmo toglierci dalla vista non vengono opportunamente messe in luce. Non si tratta solo della capienza delle prigioni ma di come vivono i detenuti, della qualità del loro vitto, del potere dei secondini e dei direttori dei carceri, se è vero che le bastonature sono di tutti i giorni e per i motivi più futili, se è vero che i prigionieri vivono in stato di terrore....
    speriamo sia vero pofferbacco!

  8. #8
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    Citazione Originariamente Scritto da Airbus A-380 Visualizza Messaggio
    domani sera inizia la quarta stagione di prison break
    ma non è finita venerdì scorso?

  9. #9
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    la quarta non la terza

  10. #10
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    detenuto paraplegico impiccato, è dubbio sul suicidio
    di Ivano Tolettini

    Giornale di Vicenza, 12 settembre 2008

    Il giostraio vicentino Jonny Montenegrini è stato trovato morto ieri nel carcere di Opera a Milano. I familiari e l’avvocato Benvegnù sollevano perplessità sul decesso e chiedono sia fatta chiarezza. Per oggi è stata disposta l’autopsia.

    Per i familiari e l’avvocato la sua morte è un giallo. Non credono all’ipotesi del suo suicidio. Lo hanno trovato impiccato in una cella del carcere di Opera a Milano. Il giostraio bassanese Jonny Montenegrini, 32 anni, era stato arrestato il 20 giugno dai carabinieri di Vicenza per una rapina avvenuta l’11 maggio a Camisano. Era paraplegico e perciò non aveva l’uso delle gambe. Era ritenuto l’autista del commando che aveva alleggerito la biglietteria degli autoscontri di Renzo Rizzi.

    "I familiari sono sconvolti e non credono alla tesi del suicidio - spiega l’avvocato Riccardo Benvegnù di Padova, difensore della vittima -. Del resto, io stesso nutro delle perplessità. Ci sono circostanze che non mi quadrano. L’avevo visto di recente ed era fiducioso sull’esito dell’inchiesta della procura di Vicenza perché mi ripeteva di non essere stato lui a guidare l’auto della fuga. Per capirci, non lasciava certo intendere che fosse in una critica situazione psicologica".

    Quest’oggi la procura di Milano, che ha aperto un’inchiesta per capire cos’è realmente accaduto, incaricherà il medico legale di eseguire l’autopsia. Lo stesso avvocato Benvegnù ha incaricato il dott. Massimo Aleo di Milano di seguire come consulente di parte l’esame autoptico. Montenegrini è stato rinvenuto privo di vita ieri all’alba. La morte risaliva a qualche ora prima. Nessuna delle guardie presenti si è accorta di nulla.

    Viste le sue condizioni di salute dopo l’emissione dell’ordine di custodia firmato dal gip Agatella Giuffrida su richiesta del pm Claudia Dal Martello, titolare dell’inchiesta, era stato trasferito al carcere di Opera perché ci sono delle celle attrezzate per i disabili. Montenegrini, gravato da qualche precedente, era accusato di avere guidato la Fiat Tipo bianca dalla quale la sera del 11 maggio scesero due individui che, incappucciati, aggredirono un componente della famiglia Rizzi e arraffarono 500 euro.

    Il colpo avvenne alle 22.30 in centro a Camisano e a quell’ora di gente in giro ce n’era parecchia. Per questo i carabinieri del luogotenente Sartori raccolsero testimonianze per individuare come presunto autista della banda proprio Montenegrini. Il pm Dal Martello di recente aveva chiesto al gip un confronto all’americana (la cosiddetta ricognizione di persona) in tribunale a Vicenza nella forma dell’incidente probatorio. "Montenegrini era tranquillo - aggiunge l’avv. Benvegnù - ed era un soggetto tutt’altro che depresso. Tra l’altro, le modalità di quello che dagli inquirenti è ritenuto come un suicidio sono complicate, tenuto conto che era invalido. Pesava oltre 80 chili ed aveva degli obiettivi problemi per architettare un suicidio di quel tipo. Sono davvero molto perplesso".

    Ma quali elementi hanno i familiari, che risiedono a Bassano in via Boito 26, per ritenere che le probabilità che il congiunto sia stato vittima di un suicidio sono poche? E se fosse vero, chi mai avrebbe potuto volere la morte di un invalido in carcere? Tra l’altro, era sempre stato coinvolto in fatti di cronaca nera non particolarmente eclatanti. Chi mai poteva volerlo ucciso?

    "La sua morte per noi è un mistero e presenta comunque molti punti oscuri - conclude Benvegnù. C’erano stati degli sgarbi in carcere e ne aveva parlato. Ci attendiamo già dall’autopsia le prime risposte importanti".

 

 
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