OMNIA SUNT COMMUNIA


Maliki insiste: Usa fuori dall’Iraq entro il 2011 e niente immunità per i loro militari
di Ornella Sangiovanni *
Tutti i soldati stranieri devono lasciare l’Iraq entro il 2011, e, nel frattempo, per loro non ci sarà immunità. Alza la voce il Primo Ministro iracheno Nuri al Maliki, e dice, a un incontro di leader tribali all’interno della Green Zone di Baghdad, che con gli Stati Uniti è stata raggiunta una intesa per il ritiro dei loro militari entro fine 2011.
Il premier iracheno - che già in passato aveva fatto dichiarazioni ferme sul fatto che nell’accordo che autorizzerà la presenza militare Usa in Iraq dopo la scadenza del mandato Onu, il 31 dicembre di quest’anno, doveva esserci un calendario definito per il ritiro delle truppe – ha affermato che “c’è un accordo fra le due parti secondo cui non ci saranno soldati stranieri in Iraq dopo il 2011”.
“Un limite di tempo indeterminato non è accettabile in qualunque accordo in materia di sicurezza che governi la presenza delle forze internazionali”, ha sottolineato.
Si tratta della dichiarazione più esplicita pronunciata finora dal governo di Baghdad, e arriva dopo la visita improvvisa del Segretario di Stato Usa Condoleeza Rice nella capitale irachena della settimana scorsa - occasione nella quale sia lei che il suo omologo iracheno Hoshyar Zebari avevano tentato di proiettare ottimismo riguardo ai negoziati in corso fra i due Paesi.
Che invece sembrano bloccati su almeno un paio di questioni spinose: il calendario per il ritiro delle truppe Usa e la loro immunità nei confronti della legge irachena - un punto, quest’ultimo, sul quale Washington e non è disposta a cedere, ma neppure Baghdad.
Su questo ieri Maliki è stato chiaro. “Per qualunque soldato straniero che si trovi sul suolo iracheno deve esserci un limite di tempo specifico, non indeterminato”, ha ribadito, “e il sangue iracheno deve essere protetto”, perciò non è possibile concedere l’immunità totale.
Per quanto riguarda il ritiro delle truppe entro il 2011, dagli Stati Uniti sono arrivate subito le smentite.
La Casa Bianca, innanzitutto. “Non abbiamo ancora finalizzato un accordo”, ha detto il portavoce Tony Fratto, da Crawford, in Texas, dove il presidente George W. Bush sta trascorrendo le vacanze estive.
Al Dipartimento di Stato, il portavoce Robert Wood ha sottolineato che “finché non avremo un accordo, non abbiamo un accordo”, e dal Pentagono un altro portavoce, Bryan Whitman, ha ribadito che “l’accordo non è stato completato”, e “si sta ancora lavorando sulle specifiche”.
Nodi spinosi
“Specifiche” su cui una intesa sembra ancora lontana.
Ieri Maliki ha sottolineato che “nonostante progressi significativi”, ci sono ancora “punti di disaccordo cruciali per entrambe le parti”.
“Non possiamo firmare un accordo, se non salvaguarderà la piena sovranità e gli interessi nazionali dell’Iraq”, ha detto il premier iracheno, di fronte ai leader tribali che lo ascoltavano, aggiungendo che finché le truppe straniere non lasceranno l’Iraq non potranno condurre operazioni militari senza il consenso del governo di Baghdad.
Non solo, ma il processo che porterà all’accordo finale con gli Usa sarà trasparente, ha assicurato.
“Vi garantiamo … che niente verrà nascosto e che siamo all’inizio del ripristino dei nostri pieni diritti e della sovranità”, ha detto il premier, sottolineando che l’accordo verrà presentato al Parlamento per l’approvazione.
Su questo fronte in verità le notizie non sono buone.
Il presidente del Parlamento, Mahmud al Mashhadani, da Amman, in Giordania, dove si trova convalescente da un intervento al cuore, ha commentato che i deputati non ratificheranno mai l’accordo nella sua forma attuale.
“A quello che capisco, il Parlamento iracheno non approverà questo accordo”, ha dichiarato.
Le autorità di Baghdad sembrano ferme sulle loro posizioni, almeno pubblicamente, anche perché nel Paese l’opposizione a un accordo con gli Usa è diffusa – fra la popolazione, le forze politiche, e anche la leadership religiosa, quella sciita in particolare.
In privato, c’è chi dice che arrivare a un compromesso è possibile. Ma non su tutto.
Uno dei principali collaboratori di Maliki, parlando a condizione di restare anonimo data la delicatezza dei negoziati in corso, ha detto di ritenere che sulla questione del calendario per il ritiro delle forze Usa si possa trovare un linguaggio che superi le divergenze fra Washington e Baghdad.
Ma l’immunità per i militari americani, quello è un problema più difficile da risolvere, ha commentato.

Fonti: Ufficio Stampa del Primo Ministro iracheno, Reuters, Agence France Presse, Associated Press, Los Angeles Times
* Osservatorio Iraq, 26 agosto 2008


ARDITI NON GENDARMI