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Discussione: Supercapitalismo

  1. #1
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    SuperCapitalismo - Robert Reich - Fazi Editore



    Senza dubbio, sotto il profilo della saggistica economica e politica, il libro dell'anno.
    Ho appena finito di leggerlo e penso che sia indispensabile da leggere per capire davvero l'odierno profilo "sistemico" del capitalismo.

    Qualcuno dira', oddio l'ennesimo libro contro le cattive corporations.
    E invece no.
    Il supercapitalismo ha distrutto la democrazia, e nelle oltre 250 pagine del libro direi che appare indubitabile e accertato.
    Ma la colpa non è affatto delle aziende, delle corporation e delle multinazionali.
    Ed ha ragione.

    In questo stupendo saggio Reich analizza l'evoluzione sistemica del capitalismo traendo delle conclusioni interessantissime.
    E non solo sotto il profilo politico ma sopratutto sotto il profilo giuridico.

    Il libro parte dall'analisi storica del cosiddetto "capitalismo democratico" americano degli anni che lui definisce "non proprio dell'oro", in cui il meccanismo di rappresentanza si legava a una politica di sviluppo in cui la concorrenza era in realtà un'elemento se non marginale, secondario.

    Ma il grande sviluppo che si era realizzato era legato ad una rete in cui se il consumatore era tutelato molto meno di adesso e l'investitore ancora meno, il cittadino lo era invece in misura assai apprezzabile. E questo permetteva dei meccanismi di redistribuzione della ricchezza che "ignoti" ai piu', permettevano, a scapito parziale delle due figure del consumatore e dell'investitore, uno sviluppo armonico di tutto il sistema.

    E queste tre figure, in cui ci si riconosce ogni singola persona, nelle sue implicazioni seguono "canali" diversi.
    Reich punta poi l'accento su un'aspetto molto importante.
    Ovvero come la concorrenza e la competitività abbia costretto le aziende non solo ad affinare i propri processi produttivi ma sopratutto ad invadere l'arena politica.
    La sua disamina dell'azione del congresso e delle centinaia se non migliaia di lobbysti aziendali presenti a Washington e del radicale cambiamento di strategia nelle aziende negli ultimi anni ormai compenetrate completamente nella politica e diventate reali interpreti della stessa è veramente disarmante.

    Reich inoltre analizza l'enorme panzana della "corporate social responsibility" e ne analizza in realtà la principale funzione di Public Relation e di difesa del proprio mercato.

    Ma la cosa davvero interessante è che in realtà Reich non colpevolizza affatto le aziende di questa trasformazione, ma la imputa ad un profilo sistemico, nel senso che se vogliono sopravvivere, le aziende sono costrette ad accettare queste condizioni aberranti di compenetrazione nella politica, di lobbyng e di "presa per il culo" dei consumatori in relazione alla "responsabilità sociale aziendale". Inoltre Reich mette l'accento sulla errata "personalizzazione" delle aziende che di per se' stesse non possono essere considerate un agente unico.
    La conclusione è sorprendente.
    Nel senso che Reich reputa totalmente inutile pensare che alle alle aziende debba essere addebitata nè responsabilità sociale, che è un aberrazione, in quanto le aziende devono produrre profitti, non pensare all'impatto sociale o ad altro e nemmeno responsabilità politica in luogo della struttura politica stessa.
    Come risolvere il problema.
    La soluzione di Reich è interessantissima e non priva di possibili problemi o di conseguenze.
    Reich suggerisce alcuni provvedimenti di carattere prettamente giuridico: Ovvero eliminare sostanzialmente lo status della "persona giuridica" dell'Azienda.
    Nel senso che come di converso le aziende non potrebbero essere chiamate in causa come "azienda" in procedimenti contro di loro, le aziende stesse sarebbero impossibilitate a chiamare in causa sia governi che privati relativamente a interessi prevalenti da difendere.

    Questo ha chiaramente delle conseguenze, perchè sicuramente è difficile pensare che so a risarcimenti "personali" dell'amm. delegato o solo dei diretti responsabili relativamente ad esempio ad un disastro di una petroliera sull'ambiente, ma ha il vantaggio di eliminare "de facto" qualsiasi possibile interferenza di tipo lobbystico sui governi. Almeno a livello teorico, in quanto è chiaramente difficile immaginare che le aziende non possano in qualche maniera riconvertire i propri lobbysti.

    A voi la discussione.
    Vuoi una soluzione VERA alla Crisi Finanziaria ed al Debito Pubblico?

    NUOVA VERSIONE COMPLETATA :
    http://lukell.altervista.org/Unasolu...risiEsiste.pdf




  2. #2
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    ho commentato sul forum libertarismo

  3. #3
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    Come ha già ricordato (Controcorrente nel suo commento al thread analogo sul forum Libertarismo Friedman aveva evidenziato la scarsa credibilità di quella che passa sotto il nome di responsabilità sociale dell'impresa ben prima dell'autore del libro, anche se in una prospettiva diversa da quella di Reich. Secondo il buon Milton il perseguimento di obiettivi diversi dal profitto da parte dell'amministratore sarebbe un comportamento scorretto ai danni degli azionisti.
    Il compito di un'impresa dovrebbe infatti essere quello di fare profitti all'interno di un chiaro quadro legale, che dovrebbe tutelare i legittimi interessi di tutte le parti in causa (cittadino, investitore, consumatore).
    La parte analitica risente a mio avviso di un'impostazione tipica degli economisti liberal che si esplica nel riconscimento di un ruolo preponderante alla figura del cittadino (che comunque come coerentemente riconosce lo stesso Reich in un'intervista che ho letto qualche giorno fa non è in concreto persona diversa dall'investitore e dal consumatore) e nella particolare attenzione alla ridistribuzione che non mi vede particolarmente entusiasta.
    Tralasciando i dubbi sull'impostazione ideologica del libro bisogna riconoscere che il problema evidenziato esiste, la soluzione proposta da Reich tuttavia non mi convince appieno, anche se è difficile immaginarne le conseguenze visto il completo stravolgimento di uno dei cardini del diritto commerciale.
    Sarebbe interessante prendere in considerazione la parte analitica alla luce della teoria della Public Choice (se non sbaglio (Controcorrente è abbastanza preparato in materia).

  4. #4
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  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da Winnie Visualizza Messaggio
    Come ha già ricordato (Controcorrente nel suo commento al thread analogo sul forum Libertarismo Friedman aveva evidenziato la scarsa credibilità di quella che passa sotto il nome di responsabilità sociale dell'impresa ben prima dell'autore del libro, anche se in una prospettiva diversa da quella di Reich. Secondo il buon Milton il perseguimento di obiettivi diversi dal profitto da parte dell'amministratore sarebbe un comportamento scorretto ai danni degli azionisti.
    Il compito di un'impresa dovrebbe infatti essere quello di fare profitti all'interno di un chiaro quadro legale, che dovrebbe tutelare i legittimi interessi di tutte le parti in causa (cittadino, investitore, consumatore).
    La parte analitica risente a mio avviso di un'impostazione tipica degli economisti liberal che si esplica nel riconscimento di un ruolo preponderante alla figura del cittadino (che comunque come coerentemente riconosce lo stesso Reich in un'intervista che ho letto qualche giorno fa non è in concreto persona diversa dall'investitore e dal consumatore) e nella particolare attenzione alla ridistribuzione che non mi vede particolarmente entusiasta.
    Tralasciando i dubbi sull'impostazione ideologica del libro bisogna riconoscere che il problema evidenziato esiste, la soluzione proposta da Reich tuttavia non mi convince appieno, anche se è difficile immaginarne le conseguenze visto il completo stravolgimento di uno dei cardini del diritto commerciale.
    Sarebbe interessante prendere in considerazione la parte analitica alla luce della teoria della Public Choice (se non sbaglio (Controcorrente è abbastanza preparato in materia).
    Posso dirti che Reich non riconosce alcun "ruolo preponderante" al cittadino rispetto al consumatore o all'investitore, che come hai ricordato sono la stessa persona, ma analizza sostanzialmente gli effetti perversi che l'ossessione al profitto portata alle estreme conseguenze porta al medesimo.

    Nel senso, in un quadro in cui la sopravvivenza del vertice aziendale di una corporation dipende dagli analisti di borsa anziche' dallo stato di "salute reale" la strategia della medesima ne viene fortemente influenzata in senso negativo.

    Mi spiego meglio.
    Nell'odierno quadro di riferimento in cui l'investitore è la "figura" piu' seguita, la "liquidità" dell'azienda (fortemente finanziarizzata) e anche il reddito dei dirigenti dipende sostanzialmente dalle fluttuazioni azionarie.
    Il risultato diretto è che basta annunciare un "piano di tagli per il personale" per far schizzare le azioni verso l'alto e avere una buona "recensione" dai vari analisti. Questo determina il circolo perverso che la liquidità (anche per acquisizioni di onestissime aziende che lavorano diciamo "normalmente" sul mercato senza delocalizzare, tagliare o massacrare i propri lavoratori oppure senza diffondere informazioni false sui propri prodotti) viene "recuperata" e risulta utilizzabile solo da quelle aziende che sviluppano questa filosofia.
    Anche a discapito della reale struttura di mercato, nel senso che una società "virtuale" anche non patrimonializzata e con scarso "fondamento" sull'economia reale ma molto finanziarizzata diventa in grado di acquisire assets di aziende "normali", stabili, ma magari meno aggressive e quindi scarsamente percebili (e finanziate) dal mercato finanziario.
    Il risultato, checche' se ne possa pensare, è molto meno "simpatico" di quello che sembra.
    Citando Winnie
    Il compito di un'impresa dovrebbe infatti essere quello di fare profitti all'interno di un chiaro quadro legale, che dovrebbe tutelare i legittimi interessi di tutte le parti in causa (cittadino, investitore, consumatore).
    Il problema è proprio il cosiddetto "quadro legale".
    Nel senso che è proprio la determinazione del medesimo che le aziende pur di fare profitto, tendono a sfuggire.
    E' altresi' chiaro che sfuggendo un quadro legale ad esempio statunitense e utilizzando invece altre legislazioni piu' permissive non solo si mettono a repentaglio i lavoratori statunitensi, ma anche gli azionisti e in consumatori.
    Perche' se utilizzo le opacità del sistema che so delle "Cayman" o quello stesso statunitense o di qualsiasi altra legislazione magari "corretto e limato" dall'opera di lobbyng (ci sono centinaia di casi) oltre a delocalizzare la produzione in Vietnam non sto solo danneggiando il lavoratore che ricordiamoci è anche a sua volta investitore e e consumatore, ma appunto anche gli altri due.
    E per danneggiare il consumatore, a sua volta, basta operare appunto sul quadro legale. Posso dare delle diciture fuorvianti sulle etichette, posso far passare un prodotto per un altro.
    In assenza di un quadro legale "fermo" ma in realtà condiscendente alle varie spinte di lobby le condizioni di concorrenza non possono mai verificarsi "correttamente".
    D'altra parte penso sia totalmente inutile se non dannoso pensare che in assenza di quadro normativo o di strutture (appunto lo Stato) che possano in qualche modo stabilirlo la situazione possa in qualche maniera migliorare.
    Sia per il consumatore, per l'investitore che per il cittadino.

    Ergo occorre "liberare" in qualsiasi maniera lo spazio della politica dalle interferenze lobbystiche. Non c'è scelta.
    Vuoi una soluzione VERA alla Crisi Finanziaria ed al Debito Pubblico?

    NUOVA VERSIONE COMPLETATA :
    http://lukell.altervista.org/Unasolu...risiEsiste.pdf




  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da Winnie Visualizza Messaggio
    (se non sbaglio (Controcorrente è abbastanza preparato in materia).
    buchanan e tullock hanno una loro teoria sulle lobby

 

 

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