Il diritto come unità di ordinamento e localizzazione

Carl Schmitt afferma che la terra è la madre del diritto in quanto è ad essa legato in maniera triplice: questi due elementi hanno infatti in comune una misura interna, delle linee nette che li costituiscono ed una determinata limitatezza. Ad ogni ordinamento spaziale corrisponde quindi un ordinamento di tipo giuridico-politico.
Il mare, differentemente dalla terra è libero, non costituisce territorio statale, per questo motivo è aperto alla libera circolazione di merci, persone ed eserciti. È chiara la distinzione tra occupazioni di mare e di terra:

•le prime consistono in una estensione del diritto terrestre del mare libero. Le occupazioni di mare sono legate alle attività espansive di popolazioni i cui territori si affacciavano sull'acqua (le cosiddette talassocrazie) quali assiri, cretesi, greci, romani fino ad arrivare agli inglesi del diciannovesimo secolo.

•le seconde invece corrispondono alla conquista di nuovi territori, alla cui occupazione succedono la misurazione e ripartizione del suolo sottomesso; si può quindi interpretare tale occupazione come atto primordiale che istituisce il diritto e ritrovare proprio in queste prime "regolazioni" del nuovo territorio la connessione tra ordinamento spaziale e politico.
Il diritto istituito è in questo caso duplice:

•interno, poiché regola i rapporti di possesso e proprietà dei territori occupati, con le distinzioni tra proprietà pubblica e privata, e individuale e collettiva;

•esterno, in quanto titolo di diritto internazionale per quanto riguarda tanto l'occupazione di suolo libero (territori che diventeranno colonie), che non libero (altro stato).

Lo stato quale nuovo ordinamento territoriale

La riforma protestante del sedicesimo secolo, escludendo i teologi dalla trattazione pratica dei problemi di diritto internazionale, dà il via ad una progressiva deteologizzazione del diritto. Da quel momento storico in poi solo i giuristi possono dedicarsi alle questioni di diritto internazionale garantendo così la scomparsa della potestas spiritualis che aveva caratterizzato fortemente il campo del diritto fino ad allora, ed in generale il mondo medioevale.

Tale deteologizzazione porta alla formazione dello Jus Publicum Europaeum, un diritto internazionale europeo-continentale che si configura come diritto interstatale (diritto tra stati) originatosi dallo stato, la nuova entità territoriale che supera la res publica cristiana, ed è caratterizzata da:

•creazione di competenze interne;

•un nuovo legame tra religione e lo stato stesso;

•la definizione di una superficie territoriale chiusa e delimitata.
Lo stato, per quanto questo concetto ci possa sembrale onnipresente nel corso della storia, sottolinea Schmitt, ha proprio in questo periodo il suo specificum storico, e non può essere pensato come un concetto universale valido per qualsiasi popolo ed epoca. Ad un ordinamento spaziale interstatale corrisponde un ordinamento di tipo eurocentrico che per la prima volta rappresenta il mondo in termini globali: l'ordinamento territoriale marittimo e quello terrestre il quale è a sua volta suddiviso in territorio statale, colonie, protettorati, terre esotiche con extraterritorialità degli europei e terre liberamente occupabili; l'Inghilterra si pone in questo senso come elemento di congiunzione tre i due diversi ordinamenti.

Il superamento della guerra civile nella guerra in forma statale

La nuova concezione di stato provoca un cambiamento del concetto di guerra. Infatti se nell'ambito della res publica cristiana la guerra trovava la sua giustificazione in una "justa causa" legata al principio di superiorità-legittimità della religione cattolica su altre forme religiose, e pertanto era di tipo esclusivamente civile e religioso (o di entrambi), successivamente nell'ambito del diritto interstatale la guerra diventa un duello tra "justi hostes", nel quale gli stati, come due cavalieri a duello, si battono legittimati dalle norme del diritto interstatale.

È questo il concetto della "guerre en forme", la guerra che fonda la sua legittimità non più sulla justa causa bensì sul rispetto di regole formali condivise dai due stati contendenti.

Caratteristiche salienti della guerre en forme, che comporteranno di fatto una limitazione della guerra terrestre nel corso dei secoli XVII XVIII e XIX, sono:

1.cambiamento della concezione di nemico, considerato non più alla stregua di un ribelle o un criminale, ma di uno justus hostis (legittimo avversario bellico);

2.perdita del carattere di annientamento della guerra: i prigionieri non sono considerati come ostaggi, né la proprietà privata come bottino di guerra;

3.ammissione di trattati di pace e clausole di amnistia tra gli Stati, i quali possono assumere anche una posizione di neutralità
L'Inghilterra è "equilibrio di terra e mare" e diviene la portatrice di una visione marittima universale dell'ordinamento eurocentrico, del quale è al contempo partecipe e spettatrice, si parla difatti dell'Inghilterra "come of Europe, not in Europe". Tale posizione durerà fino all'inizio del diciannovesimo secolo, momento nel quale sarà proprio l'uscita inglese dal proprio storico isolazionismo a rompere gli equilibri continentali pre-esistenti e prepare il campo per il primo conflitto mondiale.

Spagna, Francia ed Olanda, nonostante abbiano un comune un passato come stati legati al mare, perdono questo legame specifico "interrandosi", legandosi cioè eccessivamente alle politiche ed alle guerre europee della terraferma.

L'occupatio bellica nello Jus Publicum Europaeum
Nell'ambito dello Jus Publicum Europaeum le guerre possono riguardare il solo ambito spaziale e preservare l'ordinamento politico esistente oppure tendere a mutare e distruggere l'ordinamento esistente. Questa seconda possibilità vale nel caso di occupazioni belliche di territori liberi, ma posti all'interno di un ordinamento comune (presa di possesso provvisoria), il cambiamento riguarda la sovranità, le istituzioni ma non gli aspetti non statali quali l'economia, il commercio, e così via. Infatti l'occupazione militare non sopprime l'identità dello Stato cui il territorio occupato appartiene. Nel corso del diciannovesimo secolo si forma un particolare istituto di diritto internazionale: l'occupazione militare effettiva, in cui convergono cinque fattori:

1.l'idea dello "justus hostis";

2.la guerra come contrapposizione di eserciti statali;

3.gli ultimi effetti del vecchio principio di legittimità (Congresso di Vienna);

4.quelli del diritto all'autodeterminazione democratica dei popoli (Società delle Nazioni);

5.la distinzione tra diritto pubblico e privato che diventa comune nella vita interstatale.
La dissoluzione dello Jus Publicum Europaeum
Secondo Carl Schmitt il processo di dissoluzione dello Jus Publicum Europaeum si avvia con il riconoscimento da parte degli Stati Uniti dello Stato del Congo nel territorio africano, avvenuta nel 1885. Tale fatto costituisce l'inizio di un processo di declino inarrestabile per lo jus publicum europaeum e con esso anche dell'ordinamento globale della terra. Punto culminante del processo di smantellamento del diritto pubblico europeo, al quale si collega un vero e proprio vuoto dal punto di vista normativo, fu la conferenza di pace di Parigi del 1919: con essa si verifica, secondo Schmitt, la definitiva cessazione dell'ordinamento spaziale della terra. Il diritto pubblico europeo è quindi sostituito da un nuovo ordinamento che si fonda sull'elemento mare; elemento in cui la regolamentazione dei rapporti sociali, economici e politici viene meno, lasciando spazio alla libertà d'iniziativa. In realtà si è trattato di una estensione dello jus publicum europaeum via via agli stati che andavano formandosi in Asia, Africa ecc.

Nasce così una prima forma di diritto internazionale. Tuttavia quest'ultimo, avendo perso il suo contatto con la terra, spalanca le porte ad un nuovo modo di concepire la guerra, che diviene illimitata. Il neonato diritto internazionale finisce, però, per diventare un semplice e riduttivo agglomerato dei vari diritti internazionali suddivisi per grandi spazi. Si assiste, infatti, al passaggio da uno jus gentium (diritto delle genti) ad uno jus inter gentes (diritto tra le genti) in cui il diritto internazionale appare disomogeneo e multiforme.

Tale problema, tuttavia, non fu rilevato immediatamente dai giuristi europei; essi difatti interpretarono il diritto internazionale come semplice estensione del diritto europeo, non accorgendosi però della mutazione strutturale in atto. A dimostrazione di ciò, vi sono le varie esperienze concrete dei rapporti che gli Stati europei instaurano con Paesi extreuropei in questo periodo, i quali furono ammessi al diritto internazionale mediante trattati di subordinazione alle nazioni europee come ad esempio:

•Turchia;

•Giappone il quale riuscì ad essere accettato dalle potenze europee dopo aver dimostrato di rispettare le norme del diritto bellico europeo negli scontri con la Cina e con la Russia.
Un notevole passo avanti nel processo di trasformazione da uno jus pubblicum europaeum verso un diritto internazionale non più eurocentrico fu realizzato con la seconda conferenza dell'Aja del 1907. La dottrina europea del diritto internazionale aveva perso coscienza della struttura spaziale del proprio ordinamento e la forma di diritto internazionale che era rimasto ad un livello superficiale ed esteriore. Ciò che era stato realizzato, non era quindi un “sistema” organico di Stati, bensì una compenetrazione confusa di relazioni tra circa cinquanta ordinamenti eterogenei. Perciò, nonostante ogni Stato fosse equivalente agli altri dal punto di vista della sovranità, ciò che emerse fu soltanto un'accozzaglia d'ordinamenti caoticamente assemblati senza una precisa struttura, a cui nemmeno il concetto di “civiltà” avrebbe potuto donare omogeneità. Nel contesto dello jus publicum europaeum la guerra è guerra tra stati, ovvero tra territori ordinati secondo regole ben precise.

La guerra con i moderni mezzi d'annientamento
La guerra marittima è una guerra di preda della proprietà privata del nemico e dunque ha carattere economico e commerciale. È una guerra privata, perché nel XIX secolo il commercio non è statuale, ma libero e privato, e queste modalità di guerra sono approvate anche dagli Stati: alla Conferenza di Parigi del 1856 viene bandita la guerra di corsa, fino a quel momento attuata da privati provvisti anche di un'autorizzazione del proprio Stato.

Nella guerra marittima non esiste l'eguaglianza tra le parti, il rispetto reciproco, caratteristici della guerra statale europea. Durante una guerra marittima infatti le navi della marina statale affrontano direttamente i privati, che non rappresentano uno stato specifico e non possono così scontrarsi a parità di forze. Il privato inoltre, commettendo delle violazioni, è considerato dalla potenza avversaria come un nemico. Tuttavia questi privati non violano il diritto internazionale, ma agiscono esclusivamente a proprio rischio difatti:

•in primo luogo la rottura di un blocco o il contrabbando, che essi attuano, avvengono, dal punto di vista spaziale, nel mare libero (la cosiddetta “terra di nessuno”);

•in secondo luogo il loro operato rientra nel libero commercio.
Sia lo stato belligerante, che esercita il diritto di preda, sia il privato, che pratica il commercio e le cui proprietà vengono fatte oggetto del diritto di preda dallo stato avversario, vengono posti sotto la sentenza di un giudice indipendente dallo stato che fa la guerra, che fa quindi valere le regole internazionali sul diritto di preda, salvaguardando i principi di uguaglianza giuridica e parità tra le due parti nemiche. Si abbatte così la concezione prettamente statale dello “justis hostis” (nemico che agisce in conformità al diritto), allargandola alla guerra marittima.

In quest'ultima vige una “giurisdizione delle prede” che rende soggetto del diritto anche un nemico non statale. Questa classica istituzione ha un significato giuridico internazionale che risale all'epoca napoleonica, quando era stata creata direttamente come un'istituzione internazionale. In questo modo il giudice delle prede, nonostante sia nominato dal proprio stato, è investito di compiti e poteri internazionali (jus publicum europaeum).

Per il diritto internazionale classico, sebbene guerra terrestre e guerra marittima siano ben distinguibili l'una dall'altra, è possibile che si incontrino spazialmente (con i mezzi della guerra terrestre si possono ottenere effetti sul mare, e viceversa).

Questa collisione tra guerre interessa comunque le sole zone di confine tra i due ordinamenti senza produrre effetti nell'entroterra. Il prolungarsi sulla terraferma della guerra marittima interessa questioni di confine come, per esempio, il diritto di preda, di bottino, l'estensione del blocco. Tuttavia terra e mare rimangono due mondi distinti, e le questioni di confine non pongono in dubbio la sostanza (territoriale o marittima) delle due tipologie belliche.

La trasformazione dell'immagine spaziale del teatro di guerra

Il diritto di guerra terrestre e guerra marittima viene modificato con l'introduzione, come terza arma, dell'aeronautica militare. In un primo momento questa venne vista come un potenziamento e incremento delle prime, infatti poteva essere vista come pertinenza o accessorio di quelle vecchie e di tutti i concetti loro collegati (nemico, guerra e preda).

L'uso dell'aereo, però, va a modificare lo spazio su cui si esercita il diritto di preda, poiché va a contrapporsi alle superfici del mare.

Una cosa analoga era successa anche con l'introduzione del sottomarino che non può essere considerato un semplice potenziamento della flotta. Questo, usato come mezzo di combattimento o di trasporto, non era più legato alla superficie del mare e di conseguenza il diritto marittimo di guerra venne alterato. L'impiego di questi mezzi nel corso della prima guerra mondiale aveva mostrato l'effetto del cambiamento dello spazio: l'esercizio del diritto di preda si era trasferito dal mare alla terraferma. Le navi, infatti, erano portate semplicemente nei porti della potenza belligerante per poi essere ispezionate da alcuni ufficiali della dogana. Una cosa simile è stata ritenuta dal tribunale dell'Aja nel 1913 contraria al diritto internazionale, in quanto secondo tale sentenza, il diritto di preda doveva essere esercitato in mare libero. Tutte le nazioni si erano adeguate alla nuova prassi per la questione dei dirottamenti e del trasferimento del diritto di preda, in questo modo la sentenza emessa dal tribunale dell'Aja venne superata, anche se si verificarono alcune proteste da parte dell'Unione Sovietica. Il sottomarino rimane ad ogni modo un elemento di mare.

Con l'introduzione dell'aereo:

1.Si accentua ancora di più il carattere marittimo della guerra: il diritto di preda, la prassi del dirottamento o l'annientamento divengono un fatto scontato: esso è, infatti, lo scopo della guerra aerea. Con l'avvento dell'aeronautica militare cioè, il diritto di preda trasferisce il suo spazio in un ambito ancora più grande: dal mare ai porti, dal mare alla terra; la guerra marittima acquista così un'entità strettamente territoriale. Va ad affermarsi la cosiddetta prassi del Navy-Cert-System, un'espressione che indica la progressiva territorializzazione della guerra marittima.

2.Il mare libero e lo spazio ad esso sovrastante sono dichiarati zona di guerra o zona vietata (e questo già dall'introduzione del sottomarino).
L'introduzione dell'aeronautica trasforma quindi la guerra: le regole del diritto di guerra terrestre o marittimo non sono più idonee, in quanto l'aeronautica militare porta con sé un nuovo tipo d'uso della forza, una nuova finalità e un nuovo concetto di nemico.

La trasformazione dello spazio nella guerra aerea
La guerra aerea non è stata ancora regolamentata da norme internazionali, infatti il principio generale che solo obiettivi militari sono il bersaglio consentito di bombardamenti è stato violato sistematicamente nel corso delle due guerre mondiali, perciò i giuristi tentano di definire questa situazione riallacciandosi al diritto europeo tradizionale.

La guerra agisce su due punti in particolare:

•La relazione tra "protection and obedience". Essa è molto evidente nella guerra terrestre, nella quale la potenza occupante si impegna a mantenere l'ordine e la sicurezza nel territorio occupato per instaurare un rapporto civile con le popolazioni occupate, ma completamente assente nella nuova guerra aerea, nella quale il rapporto tra potenza occupante e territorio occupato è pressoché nullo.

•Il teatro di guerra: se prima i due eserciti o le due flotte potevano fronteggiarsi orizzontalmente sullo stesso livello, con l'intervento dell'aviazione ciò non è più possibile. Gli aerei, soprattutto i bombardieri, non si confrontano frontalmente con i loro nemici: per loro ogni obiettivo da colpire si riduce ad un punto su una mappa e perciò possono annientarli con freddezza avvalendosi della loro posizione privilegiata e dominante.
Da tutto ciò si deduce che non è possibile regolamentare la guerra aerea partendo dal diritto che disciplina e legittima le guerre di tipo terrestre e/o marittimo, perché non funzionano più tutti i principi su cui si fonda il diritto bellico e in base ai quali è possibile una limitazione dei conflitti. La guerra aerea infatti ha uno spazio proprio ed elimina in modo assoluto ogni relazione tra il potere che usa la forza e la popolazione che da essa è colpita, per questo essa assume esclusivamente un carattere di puro annientamento.
Il problema della guerra giusta
La guerra aerea ripropone il tema della guerra giusta strettamente connesso a quello di giusta causa e “justus hostis”. Tale questione era stata inzialmente risolta dal diritto classico europeo nei sec XVII-XVIII, con la separazione della sfera giuridica da quella teologico/morale.

Là dove la guerra giusta è connessa alla giusta causa, si legittima qualsiasi mezzo di annientamento da parte di colui che combatte per la giusta causa, trasformando la guerra in guerra totale come è accaduto durante le sanguinose guerra di religione nel secolo XVII.

Gli aspetti di justa causa e justus hostis, in particolare della giusta causa, sono d'altra parte connessi al tipo di armi: se le potenzialità belliche dei due stati sono enormemente differenti non si tratta di una guerra giusta in quanto non è una guerra reciproca quella in cui le forze in campo non sono sullo stesso piano, cioè quella in cui il più debole non ha nessuna possibilità di vittoria.

Infatti, in questo caso:

•lo stato più debole diventa oggetto di coazione;

•lo stato più forte pensa di essere nel “giusto” e ritiene legittimo distruggere il "nemico criminale".
Il concetto di guerra modifica il concetto di nemico: per legittimare l'uso dei mezzi di annientamento si è costretti a considerare l'avversario un nemico totale da annientare. Solo per un aspetto la guerra giusta attuale può essere paragonata alla guerra giusta combattuta dai cristiani, cioè l'uso delle armi a distanza, vietato dal Concilio Lateranense nel 1139 per quanto riguarda la guerra tra principi e popoli cristiani. Tale divieto, però, non vale nei confronti di un nemico giusto. Esso mostrava che le armi a distanza erano ammesse solo nella guerra contro il nemico ingiusto, contro il quale era lecito ogni mezzo di vittoria.

Una sentenza hegeliana afferma che l'umanità nel passaggio dal feudalesimo all'assolutismo necessita di mezzi di annientamento. Nell'epoca moderna, invece, tale presenza e utilizzo vengono giustificati con il concetto di guerra giusta.

Schmitt afferma che al giorno d'oggi si sta sperimentando una risposta alle domande postesi da Francisco De Vitorio, ovvero ai cinque “dubia circa justitiam belli” ed ai nove “dubia quantum liceat in bello justo”.Tale risposta maturata grazie alla scienza naturale moderna e alla sua tecnica è “tantum licet in bello justo”. Di conseguenza, sostiene Schmitt, è corretto promuovere nuove linee d'amicizia fra gli Stati, ma solo se queste non debbano essere perseguite tramite delle nuove criminalizzazioni.

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