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    Predefinito "Erbe amare. Il secolo del sionismo" di Ariel S. Levi di Gualdo (recensione)

    Dal sito http://www.ariannaeditrice.it leggo e riporto

    Erbe amare. Il secolo del sionismo (recensione)di Miguel Martinez - 28/11/2007

    Erbe amare di Ariel S. Levi di Gualdo, è un libro appena uscito, che denuncia il dirottamento della comunità ebraica da parte delle lobby sioniste.

    Levi di Gualdo è un liberale, nient'affatto antisraeliano; ma sostiene, con un gran numero di racconti inediti e di riflessioni psicologiche, la necessità di rompere il guscio di fobie e di esaltazione che ha spesso trasformato le comunità diasporiche in succursali della politica di uno stato mediorientale, aggressivamente volte a stroncare ogni critica e a lavarsi sempre i panni sporchi in casa, pur di coprire gli interessi di tale stato.

    Proprio violando il tabù dell'autosantificazione comunitaria e offrendoci uno spaccato di umanità umanamente contraddittoria, Levi di Gualdo toglie ogni pretesto al razzismo, motivo per cui sarà sicuramente aggredito al grido di "ebreo odiatore di sé" e di "antisemita".

    Riporto qui un brano del libro, che dà un'idea del suo stile, delle atmosfere che descrive e anche delle sue idee politiche, discutibili ma comunque coerenti.

    Miguel Martinez

    ************

    L'onorevole esponente della Destra [Gianfranco Fini] aviò nel 1992 un ardito processo di riforma del Movimento Sociale della Destra Nazionale.[1] Quel partito aprì un gran dibattito, dopo di che si liberò d'ogni legame con le dottrine sociali del vecchio Fascismo.

    Dibattendo in un circolo ebraico dissi che quel giovane politico era una persona da guardare con rispetto.

    Appena finita la frase feci appena in tempo a scansarmi da una sedia che mi fu lanciata addosso, intanto un gruppo d'ebrei ne bloccò altri tre pronti ad aggredirmi. Dovettero accontentarsi di darmi del "fascista di merda!" e di urlare che per loro "quel politico e la sua teppa sarebbero rimasti sempre fascisti!"

    Poco dopo cessò di vivere il Movimento Sociale e nacque al suo posto Alleanza Nazionale.

    Trascorso un decennio molti esponenti della Comunità ebraica presero a spedire agli ebrei e ai loro fedeli simpatizzanti cattolici degli inviti di posta elettronica per raccomandare di votare Alleanza Nazionale; inviti motivati dal fatto che quel partito faceva gli interessi dello Stato d'Israele. Ricevuto e letto uno di questi messaggi, replicai che come italiano avrei dato il voto a chi meglio avrebbe fatto gli interessi della mia Patria. E così, gli ebrei ex marxisti-leninisti passati disinvolti dal Comunismo duro alla Destra, mi dettero del "comunista di merda!"

    Due dei tre che anni prima tentarono d'aggredirmi, alle ultime elezioni erano candidati sulle liste di Alleanza Nazionale, che aveva candidato almeno un ebreo per ogni collegio, tutti con vari incarichi all'interno delle Comunità ebraiche e, manco a dirsi, tutti di provata fede sionista. Il terzo dei tre, quello che mi tirò la sedia, era diventato un pezzo grosso della Comunità ebraica e a ogni incontro televisivo in cui erano presenti esponenti politici della Destra si scioglieva come ghiaccio al sole. Per quanto riguarda me, ero uno spirito democratico liberale nel 1992 e tale sono rimasto tutt'oggi.

    Questi soggetti si beano come dive tra la dirigenza delle Comunità ebraiche e gli intrallazzi politici, usando la peggiore aggressività coercitiva verso chiunque osi non pensarla come loro. Sono i vecchi tiranni del ghetto, gli eterni camaleonti scampati a tutte le intemperie, coloro che negli anni Venti e Trenta lodavano Mussolini, che corsero subito ad accaparrarsi cariche di prestigio politico in seno al regime fascista. Sono gli stessi che fuggirono in Svizzera quando i nazisti occuparono l'Italia, rincasando dopo la guerra giusto in tempo per inaugurare mausolei alla memoria degli ebrei sterminati, tradotti nel lager tutti sullo stesso carro e sotto la stessa bandiera.

    Oggi la Comunità ebraica europea è diventata un feudo di queste persone, più amanti dell'intrallazzo politico di quanto mai lo siano stati dell'Ebraismo, un efficace biglietto da visita di fronte al quale nessun politico europeo può levar sospiro dinanzi ai pronipoti piangenti delle vittime della Shoa, col dito perennemente puntato verso l'intera società umana, che deve chinare il capo e dire soltanto: perdono, pietà!"

    Ariel S. Levi di Gualdo, Erbe amare. Il secolo del sionismo, Bonanno editore, 2007, ISBN 887796332-8, pp. 118-119.

    Nota:

    [1] C'è un piccolo errore nel nome del partito. Il libro offre diverse di queste imprecisioni minori, essendo stato chiaramente scritto di getto; e possiamo essere sicuri che qualche attento esegeta farà le pulci a tutte, pur di screditare il libro. Non sarebbe la prima volta.



    Ieri la verità si stroncava con la violenza, oggi le peggiori censure sono il silenzio e l’indifferenza. Ariel Levi di Gualdo lo narra con l’ironia della libertà e la forza della fede; una fede cristiana non corrotta da quei buonismi che sotto il gonfalone dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso rischiano spesso di mutare le basi della cattolicità in saldi di fine stagione. Un autore che dialoga con tutti ma che non cede di uno iota su una fede che non brama imporre a nessuno, per questo non ama che a revisionarla e a dettare linee al Magistero Cattolico siano talora luterani ed ebrei, ad alcuni dei quali, ecumenismo e dialogo, somigliano a un'arma mirabile per seminare zizzania e colpire direttamente all’interno i “papisti romani” e gli “idolatri cristiani” nati da un empio nazareno figlio di una donna d’infimi costumi. Così narra infatti di Gesù e Maria il Talmud insegnato dai rabbini ortodossi degli stessi ebrei che hanno sparso sdegno sui giornali di tutto il mondo per l’inoffensiva supplica del Venerdì Santo, dove si pregava con amorevole garbo per la conversione dei cuori dei giudei e per questo giudicata ingiuriosa istigatrice all’antisemitismo.


    Erbe amare. Il secolo del sionismo (recensione)di Andrea Tornielli - 03/12/2007

    Fonte: Il Giornale

    I rabbini capi di Gerusalemme, guide spirituali delle comunità sefardita e aschenazita, hanno scritto a Papa Benedetto XVI per chiedere la modifica della preghiera del Venerdì Santo presente nell’antico messale appena liberalizzato dal Motu proprio, nel quale si prega per la conversione degli ebrei chiedendo a Dio di sottrarre «quel popolo... alle sue tenebre» e di rimuoverne «l’accecamento» (termine mutuato da una delle lettere di Paolo). Ma già prima il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, si era detto disponibile a modificare quelle parole.

    Ora un libro destinato a far discutere, in libreria tra pochi giorni, riapre la questione, sostenendo che qualche ritocco sarebbe necessario anche nei testi tradizionali dell’ebraismo: Erbe amare (Bonanno Editore, pagg. 324, euro 29), di Ariel Levi di Gualdo. L’autore, giornalista e scrittore, vive in Sicilia e proviene da una famiglia di origini ebraiche convertita al cattolicesimo: per oltre dieci anni si è riavvicinato all’ebraismo frequentando le sinagoghe, studiando i testi sacri della religione israelitica e «apprendendo dall’interno quel che è il tono delle lezioni e degli insegnamenti rabbinici, assai diversi» sostiene «da quelli che sono i discorsi e le pubbliche posizioni ufficiali di circostanza». Un’esperienza che lo ha profondamente segnato.

    Nel libro, a tratti molto duro, altre volte più ironico, Levi di Gualdo contesta quella che definisce una sorta di deriva «politica» dell’ebraismo contemporaneo, le cui istanze a suo dire sarebbero oggi fatte coincidere con quelle dello Stato d’Israele in un’impropria commistione che «ha mutato il Sionismo politico nella propria vera religione».

    Alcune pagine del volume sono dedicate proprio alla contestata preghiera del Venerdì Santo, dalla quale Giovanni XXIII molto opportunamente fece togliere i riferimenti alla «perfidia» giudaica, lasciando però l’invocazione per la conversione - o meglio l’approdo finale alla fede cristiana - degli ebrei. L’autore fa notare come «nella liturgia ebraica esiste la Lode delle Diciotto Benedizioni, d’impianto risalente al IV secolo avanti Cristo». Nel primo secolo dell’era cristiana - ricorda Levi di Gualdo - in questa preghiera si declamava: «Per gli apostati non ci sia speranza e il Regno insolente (l’impero romano, nda) venga presto sterminato nei nostri giorni. I Nazareni (i giudeo-cristiani, nda) e gli eretici periscano e siano abrasi dal libro della vita, né siano iscritti insieme ai giusti». La preghiera, continua l’autore di Erbe amare, fu mitigata sul finire del Trecento e oggi si recita: «Possano gli apostati non avere speranza e cadere tutti in perdizione, siano presto distrutti e soggiogati i tuoi nemici dei nostri giorni».

    Levi di Gualdo, citando Israel Shahak, autore di Storia ebraica e giudaismo, «mai smentito dalle autorità rabbiniche», sostiene che dopo il 1967 svariate sinagoghe ortodosse israeliane e americane «hanno ripristinato il testo del I secolo». Inoltre, ricorda che nel Talmud, il libro che raccoglie l’insegnamento tradizionale dei rabbini, «si bestemmia la Madonna senza curarsi che per i cristiani è la madre di Dio». Si tratta di racconti del Talmud babilonese, risalenti al I secolo, secondo i quali Gesù sarebbe il figlio illegittimo di una donna di malaffare e il padre naturale sarebbe il soldato romano Panthera. Testi che Levi di Gualdo fa notare essere stati scritti ben prima delle persecuzioni antiebraiche ad opera dei cristiani.

    Al di là delle polemiche e delle incursioni nei libri sacri dell’ebraismo, c’è anche chi ritiene che l’antica preghiera cattolica del Venerdì Santo non vada cambiata. È quanto sostengono i teologi Nicola Bux e Salvatore Vitiello, in un articolo messo in Internet dall’agenzia Fides della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli: «La Chiesa prega per la conversione di tutti gli uomini. Oggi non pochi cattolici hanno timore della conversione e così pure gli ebrei, i quali vorrebbero che la Chiesa cattolica non sia se stessa, almeno nei loro confronti. Ora, la conversione è l’essenza del Vangelo di Gesù, e ha designato il cammino verso di lui di popoli e nazioni».

    Dal sito dell'editore Bonanno:
    In breve
    L’immane tragedia della Shoa ha reso agli ebrei la purezza da tempo perduta dando vita al tabù sociale di un’ebreolatria che impedisce di narrare alla piazza le nudità del re.
    Da anni si parla d’Ebraismo senza gemere su ciò che è diventato: un fenomeno alla deriva politica rivestito d’aura religiosa.
    Il lettore viene guidato in viaggio nel mondo arcaico e moderno con stile avvincente e non privo d’ironia, attraverso narrazioni che sminuzzano la figura dell’ebreo assurto a icona della vittima oppressa e svelando ottusità e fanatismi che hanno imposto al mondo equivalenze pericolose: Ebraismo uguale Stato d’Israele, antisionismo uguale antisemitismo, critica rivolta a un’istituzione ebraica uguale aggressione antisemita da stroncare col braccio della legge…

    Originale la difesa del Sommo Pontefice Pio XII. L’esame dei dibattuti fatti storici è servito per analizzare la psicologia motrice della locomotiva che da decenni tira il carico di falsità mirate a colpire la grande figura di Eugenio Pacelli.

    Meditando su un preludio di San Paolo l’Autore conclude che la carità è paziente e benigna, non dispera e non si adira. La carità è dunque tante cose, compreso l’ossequio alla verità. E talvolta anche la critica è segno di carità, se animata da sentimenti costruttivi e all’occorrenza correttivi.
    Erbe Amare è un libro che ha coraggiosamente osato e che è destinato a rimanere per divenire più attuale col trascorrere del tempo.
    Fonte: Bonannoeditore.com



    Dal sito Effe di Effe

    Gli scienziati (chiamiamoli così) che hanno proclamato la superiore intelligenza genetica degli ebrei devono aver trascurato qualcosa.
    Per esempio le norme vigenti in Israele sui rapporti fra marito e moglie quando lei è mestruata.
    «Il marito non deve scherzare con la moglie durante il ciclo mestruale [...] Non deve toccarla nemmeno con la punta di un dito mignolo né consegnarle alcuna cosa in mano [...] La cosa è proibita anche se si tratti di un oggetto lungo e così pure è proibito gettare un oggetto l'uno dalla mano dell'altro [...] La donna non accenda la sigaretta al marito né con un fiammifero né con un lume che abbia in mano [...] E' proibito sedere insieme su una panca lunga che dondola e che non è attaccata al muro, se vi è seduta la moglie in stato d'impurità [...]».


    Non si tratta di un qualche rescritto rabbinico elaborato in qualche ghetto galiziano del 16° secolo. Si tratta dell'edizione 2002 del «Gran Compendio all'Alakha», a cura di Chaim David ha-Levi, rabbino capo del tribunale rabbinico di Tel Aviv.

    Roba dei giorni nostri.

    Così, l'ultimo rogo di libri proibiti non avvenne in Germania negli anni ‘30, sotto il segno della svastica.
    E' avvenuto il 23 marzo del 1980 a Gerusalemme, quando centinaia di esemplari del Vangelo furono bruciati pubblicamente a cura del Lekahim, istituzione finanziata dal ministero della Religione dello Stato israeliano.

    Queste, e molte altre prove della presunta superiore intelligenza ebraica si trovano nel saggio «Erbe amare» di Ariel Levi di Gualdo.
    Né mancano informazioni sul razzismo ebraico, esercitato molto anche all'interno: i poveri falascià, portati dall'Etiopia in Israele con notevole grancassa pubblicitaria, hanno poi saputo che il sangue che donavano per le trasfusioni veniva rifiutato dai loro nuovi compatrioti, che non volevano «sangue di negro», sicuramente non-kasher per i loro rabbi.
    I falascia furono costretti a compiere umilianti atti rituali di conversione: la vera ragione, spiega Levi di Gualdo, è che essi «come Legge rivelata riconoscevano solo la Torah», e «negavano che la Legge Orale, il Talmud, fosse stata rivelata anch'essa da Dio a Mosè sul Sinai».


    Ma la vera novità delle informazioni di Levi Gualdo è un'altra.
    E' il tono, apparentemente lieve e canzonatorio, con cui Levi di Gualdo documenta l'arretramento retrogrado che la «rinascita religiosa» rabbinica impone alla società israeliana, e alla diaspora intera.

    Lo fa come uno che quell'ambiente lo ha frequentato, lo conosce da dentro, e ne ha visto le ipocrisie, gli abusi e le facilonerie con cui il Talmud viene usato - e cambiato quando serve - per opportunità che sono opportunismi e affarismi.

    Racconta del grande affare del «marchio kasher», con cui rabbini di grido attestano, a beneficio di ristoranti e imprese alimentari, la «purità» del cibo offerto.

    «Sul marchio kasher i rabbini incassano una tangente che varia secondo la fama del rabbino. Spesso rabbini famosi creano delle aziende di vendita del marchio, come Giorgio Armani che concede l'uso della sua griffa a un produttore d'occhiali».
    Ci sono rabbini-Dior, che da questo affare cavano tanto da «costruire due piscine per i loro quindici figli, una per i maschi e una per le femmine», sempre per la impurità delle mestruate.
    Data la posta danarosa in gioco, «vi sono rabbini che vietano ai loro fedeli il consumo di cibi diversi da quelli da loro controllati», e con marchio di altri rabbini «inferiori».
    Tutto in nome del sacro Talmud.

    Le Torah invece, ossia la Bibbia, viene modificata senza scrupoli.
    Levitico e Deuteronomio vietano di prestare denaro ad interesse ad un altro ebreo.
    Il che pose un problema nello Stato d'Israele.
    Le banche si rivolsero ai rabbini.

    «E i rabbini di fronte al denaro si diedero cura di correggere Dio che aveva imposto al popolo eletto questo precetto, creando in seguito enormi problemi al sogno sionista», canzona Levi di Gualdo: «I Dottori della Legge tirarono fuori dal gran cilindro talmudico una dispensa per rapporti d'affari».

    I pii ebrei che obbediscono al Gran Compendio sullodato e non toccano la moglie nemmeno con «un oggetto lungo» durante il ciclo, poi trovano kasher andare con le prostitute ucraine importate dai mafiosi ebreo-russi: a Tel Aviv Levi di Gualdo descrive una casa d'appuntamenti così frequentata da barbuti in lobbia nera e filatteri sotto la giacca lunga, che i passanti credevano fosse la sede di una yeshivah, pia scuola talmudica.

    Maimonide ammette l'aborto solo in caso di grave pericolo per la madre.
    Ma «moderni rabbini istigano all'aborto ragazze rimaste incinte da un non-ebreo», quindi mutano il rescritto del più grande talmudista di tutti i tempi, e per motivi razziali.
    »Inutile dire cosa si scatenerebbe», commenta l'autore, «se dei sacerdoti tentassero di convincere ad abortire una ragazza cattolica rimasta incinta da un ebreo...».

    Ipotesi del tutto irreale, ma il paradosso serve a Levi a sbugiardare quegli «ebrei da salotto» che vanno in TV a dichiarare che, al contrario delle «imposizioni della Chiesa oscurantista» in materia di aborto e di omosessualità, nell'ebraismo «tutto è rimesso alla libera scelta del singolo». Assolutamente falso, è vero il contrario.

    Il Talmud grava «su ogni singolo minuto della vita dell'ebreo ortodosso» coi suoi asfissianti divieti.

    Gli ebrei da salotto o da talk show sono una specie nuova, che Levi di Gualdo è il primo a portare a conoscenza del pubblico.
    Già: perchè da qualche anno l'ebraismo «fa tendenza», è di moda, «ha mercato», e così «s'è creata una casta di ebrei professionisti contesi da università, editoria e televisioni».
    C'è il tizio che ha spiegato i 63 tomi del Talmud «a grosse linee», anche se non conosce una parola di ebraico.
    Ci sono i «baronati dell'ebraismo politicamente corretto, in linea filo-sionista di rigore: scrittore il marito, scrittore la moglie, scrittore lo zio».
    C'è persino la Liala dell'ebraismo, autrice di «L'Ebraismo spiegato ai miei figli», che ha fatto esclamare a un rabbino: «Il fatto che i bimbi di questa mamma non siano diventati shintoisti è un miracolo più grande che la divisione delle acque del Mar rosso».

    Sì, perché questi ebrei professionisti sono ignoranti come scarpe della materia su cui sono chiamati a pontificare da platee adoranti di goym, talora cardinalizi.
    Di solito esordiscono: «... Premetto che sono un ebreo laico», e in genere ciò vuol dire che confondono «il Pentateuco con il nome di una discoteca dell'arcipelago greco».

    Nel libro c'è tutta una serie di vispi ritrattini o macchiette di questi ebrei alla moda, in genere della comunità romana, che Levi di Gualdo conosce benissimo: la comunità diasporica più antica, sefardita, con sue tradizioni autonome, i cui rappresentanti mediatici oggi si mascherano, per zelo e per moda, da askhenaziti e yiddish, come fossero appena atterrati da un ghetto polacco di due secoli fa.

    C'è l'ebreo romano che, al solito ricevimento, sta per addentare una tartina al prosciutto e formaggio (doppia violazione talmudica) e al goy rispettoso che chiede: ma a voi ebrei il maiale non è proibito?, risponde sicuro: «No, quelli sono i musulmani» - scenetta degna di Alberto Sordi.
    C'è «il potente capitano d'industria che non ha difficoltà a giocare al genio del giornalismo sul giornale di proprietà della sua azienda e a pubblicare libelli sull'ebraismo politicamente corretto» presso «le più grosse case editrici».
    C'è il figlio del suddetto, che «dopo il Bar Mitzvah s'è sposato in una deliziosa chiesa di rito cattolico, immortalato da tutti i tabloid con la fortunata top model».
    C'è «il nuovo sefardita mascherato da cabarettista askhenazita» che conteggia gli incassi che ha prodotto come banditore della «cultura yiddish».
    Figurine in cui non sarà difficile riconoscere Alain Elkann e il suo ineffabile Lapo, Moni Ovadia o altri «veri ebrei», improvvisati cabbalisti e talmudisti farsi invitare da Vespa o da Mentana.



    Ma il tono svagato e divertito, apparentemente fatuo, non deve ingannare.
    Il libro è cosparso di definizioni fulminanti, che colgono al cuore il problema della «patologia» ebraica.
    Esempio: «Gli ebrei sono un popolo fornito in modo secondario anche di una propria religione». Precisamente: la religione è uno strumento secondario, quello primario è l'identità, basata sui divieti alimentari che impediscono la cordiale convivialità con gli altri uomini.
    E' «un ateismo religioso teso a celebrare il culto narcisistico dell'intelletto eletto: il mondo ebraico brulica di rabbini che non credono all'esistenza di Dio, se però gli torna conto ne usano l'immagine per avanzare pretese politiche» contro i palestinesi.
    «Gli ebrei non fanno proseliti perché non hanno da offrire alcuna redenzione».
    «L'amore [dei goym] è ciò che l'ebreo patologico non vuole, perché altrimenti morirebbe come vittima politica per rinascere come uomo libero creato ad immagine e somiglianza di Dio: non sia mai!».

    Insomma Levi di Gualdo è uno che conosce la realtà dietro la maschera, che ha studiato il Talmud e legge l'ebraico, e che scherzando sferza.
    Faranno bene a leggerlo i giudizzanti cattolici, specie i cardinali genuflessi a venerare i fratelli maggiori, o quelli che ballano attorno alla Torah con i Lubavitcher, credendoli ebrei purissimi e arcaicissimi.

    Invece i Lubavitcher, spiega l'autore, sono «la più appariscente deviazione della modernità. Una ricca setta pseudo-ebraica, inquadrata su forti modelli razzistici», la cui dottrina fonde «forme di ebraismo para-mistico e strabilianti credenze politeiste» insieme a «vecchi usi della plebe cristiano-ortodossa dell'Est europeo».
    Insomma una classica americanata da telepredicatori, sincretista e influenzata dal protestantesimo USA «più zotico».

    I cui membri, quando morì il loro super-rabbino («fuehrer») Schneerson, «attesero tre giorni per seppellirlo, violando le più basilari prescrizioni della Legge», perché da «qualche parte avevano letto ... et resurrexit tertia diae».

    Si presentano con il cipiglio di askhenaziti appena usciti dalle isbe polacche.
    «Ma molti di loro sono venuti al mondo in Australia da genitori australiani» e si sono messi

    «a studiare da polacchi nel quartiere di Brooklyn»: un «balzo all'indietro della loro psiche verso le sperdute radici ebraiche europee» che compendia la volontaria tendenza retrograda dell'ebraismo contemporaneo, che il sionismo ha aggravato invece di liberare.
    Tanto che a suo tempo, «l'Associazione degli Psichiatri Ebrei d'Australia commentò: lo spettacolo dei canguri crea effetti devastanti sugli ebrei affetti da sintomatologie askhenazite».

    Qui, non so se Ariel scherzi o dica sul serio: è un tipo divertente e divertito, come il suo libro serissimo.
    Gli rimprovero solo una ingenuità di fondo: oggi, Levi di Gualdo aspetta che i membri più noti della comunità romana lo prendano di petto, levino strida e anatemi contro il suo libro, e lo trascinino in un talk-show a giustificarsi.

    Aspetterà a lungo: il silenzio è stato ordinato su «Erbe Amare».
    Comprensibile prudenza, del resto: si potrebbe scoprire che Riccardo Pacifici, Leo Paserman o persino il rabbino Di Segni - i più vocali e maneschi sorveglianti della comunità, quelli che tengono lezioni al Papa sull' «antisemitismo» dei Vangeli e della Messa in latino, e sono invitati regolarmente ai «dialoghi ecumenici» - di ebraismo, di Talmud e di caratteri aramaici ne sappiano quanto tutti gli altri «nuovi ebrei professionisti», felici addentatori di panini al prosciutto e formaggio.
    Quando, s'intende, non c'è nei paraggi un rabbino o un confratello.

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  2. #2
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    Blondet si è ridotto a Martinez e centrosocialini.

  3. #3
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    Sì, però volano parole coraggiose.
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    Citazione Originariamente Scritto da Sandro Visualizza Messaggio
    Sì, però volano parole coraggiose.
    Il sionismo mi può dar fastidio se disturba il Papa o predica il melting pot, altrimenti, un sionismo che si limiti ai suoi interessi, non è certo il mio nemico, non il primo, nell'Europa di oggi.

  5. #5
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    Sarebbe un bel nome da dare al Secolo d'Italia

 

 

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