La disponibilità di aiuti pubblici per Fannie May e Freddie Mac, le due società parastatali di finanziamento immobiliare americane, è stata a lungo sottintesa. In luglio è diventata esplicita ma imprecisata. Domenica ha fatto un altro passo avanti: il governo ha preso impegni più precisi. Non è ancora nazionalizzazione. È invece sempre improvvisazione. La crisi finanziaria, come nel caso di Bear Sterns, di Northern Rock in Inghilterra, di alcune banche e fondi tedeschi e francesi, di altri casi che potrebbero succedere presto, è una fiera di provvedimenti di fantasia. Sembra non vi siano regole per giudicare la gravità dei casi e per decidere come procedere. L’opinione pubblica e i mercati non si oppongono alla fantasia. Anzi, la fantasia è popolare. La gente gradisce che le crisi vengano gestite da prestigiatori, presumendoli capaci di lenire ogni conseguente dolore. I politici incassano applausi e ne approfittano. In America si tratta di arrivare alle elezioni. La borsa Usa ha accolto favorevolmente le decisioni su Fannie & Freddie. Anche per iniettare liquidità nel sistema bancario le banche centrali hanno usato grande discrezionalità, accettando in garanzia titoli e attività di incerto valore. Più lo hanno fatto in modo spregiudicato, più complimenti hanno ricevuto dal mercato e dai politici. Anche la politica monetaria è stata usata, soprattutto in America, in modo spericolato, fuori dalle regole. I tassi di interesse sui fondi liquidi in dollari sono da tempo negativi, al netto dell’inflazione: chi riceve credito incassa interessi. Altri applausi: per la capacità di «uscire dagli schemi» nel fronteggiare la crisi. C’è poi la politica fiscale: in America sono stati inviati assegni a casa di alcune delle vittime della crisi immobiliare; in Europa fioriscono proposte per sbloccare la congiuntura avversa violando il Patto di Stabilità, indebitando Bruxelles o trovando altri modi fantasiosi per elargire fondi pubblici comunitari.
In Italia sia i privati che i politici sono notoriamente disinvolti con le regole. Le difficoltà della crisi e della globalizzazione sono un’occasione per applaudire colpi di fantasia e stragi di regole. Con Alitalia è stato clamoroso. Giustamente Alberto Bisin ha scritto su questo giornale che Alitalia e Freddie & Fannie hanno in comune soprattutto la socializzazione delle perdite di organizzazioni che sono state tenute dai loro governi al riparo della concorrenza. L’altro elemento comune è la rottura delle regole, particolarmente grave per società quotate. I politici come demiurghi, confortati da miopi applausi. Il salvataggio pasticciato di Northern Rock è avvenuto, forse per caso, quando il primo ministro inglese, appena nominato, era alla ricerca di effimero consenso.
La crisi finanziaria è il risultato di regole sbagliate, lacunose, non applicate, di politiche monetarie lontane dai canoni dell'ortodossia. La globalizzazione è un problema perché non è governata, non è accompagnata da regole forti e globali come lei. Crisi finanziaria e globalizzazione sono parenti. Sono crisi delle regole. Le loro sfide andrebbero affrontate curando le regole, migliorando le vecchie e mettendo a punto quelle che mancano, comprese migliori procedure per la gestione delle crisi. Si va invece nella direzione opposta: si affronta la situazione facendo le eccezioni invece delle regole. Slegandosi le mani dalle regole, con la scusa delle circostanze eccezionali, i politici guadagnano potere. A loro conviene esagerare le difficoltà, definire insopportabile la chiusura di una banca o di una linea aerea, piuttosto che un forte calo della domanda di consumi. Conviene esagerare la paura per proporsi come fonte di speranza. Ci sono senz’altro situazioni per le quali è bene siano previsti, scritti in chiaro nel libro delle regole, spazi di discrezionalità, possibili eccezioni. Ma l’opinione pubblica e i mercati dovrebbero lesinare applausi alle eccezioni. Dovrebbero chiedere regole, uguali per tutti, bene applicate e aggiornate, e che i politici si occupino di regole e non di eccezioni. Perché un sistema di regole funzioni occorre però che la gente sia disposta a pagare un prezzo di coerenza e fedeltà. Quando, nonostante le buone regole, capitano incidenti e difficoltà, entro certi limiti bisogna sopportare, senza pasticciare le regole. In economia le crisi, gli aggiustamenti costosi a situazioni nuove, sono in parte inevitabili. Portano anche benefici, se sgombrano il campo dalle conseguenze di scelte sbagliate e insegnano a non ripeterle. Le buone regole prevedono anche una accettabile distribuzione dei costi delle crisi. Val la pena di violare le regole, di consegnarci nelle mani di spregiudicati prestigiatori, per non far fallire qualche banca o una linea aerea, per non sopportare qualche trimestre di stagnazione del Pil?
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