McCain tra l'incudine e il mercato

di Christian Rocca


New York. L’accordo sul piano per salvare Wall Street non c’è ancora, ma le trattative vanno avanti, grazie all’intervento di John McCain anche con i battaglieri repubblicani della Camera che fino a giovedì sera si erano rifiutati di partecipare. I mercati tutto sommato hanno tenuto e il pil dell’ultimo trimestre è cresciuto del 2,8 per cento. Un’altra grande banca – Washington Mutual – si è liquefatta ed è stata acquistata, via dipartimento del Tesoro, da J.P. Morgan. John McCain, infine, ha deciso di riprendere la campagna elettorale e di partecipare questa mattina alle tre italiane al dibattito in Mississippi con Barack Obama (in testa secondo i sondaggi).
Questa la sintesi di un’altra giornata infuocata tra Washington e Wall Street, centrata sul dramma umano e politico di John McCain e dei deputati del Partito repubblicano, costretti su sollecitazione del loro presidente, non esattamente un socialista, a dover considerare seriamente il gigantesco intervento pubblico (700 miliardi di dollari) nella finanza americana. La filosofia politica dei conservatori è che “il governo non è la soluzione, ma il problema”. Ronald Reagan diceva che le nove parole più terrificanti in lingua inglese sono: “Io sono del governo e sono qui per aiutarvi”. Negli anni Novanta il “fiscal conservatism” si è esteso anche a Bill Clinton e ai suoi consiglieri economici provenienti da Wall Street, convinti che l’eccessiva regolamentazione federale del sistema finanziario fosse d’ostacolo allo sviluppo dei mercati e alla diffusione del benessere. Clinton, inoltre, ha vinto le elezioni annunciando che “l’era del big government è finita”.
Con la proposta del segretario al Tesoro Henry Paulson, il governo da “big”, grande, diventa “huge”, enorme. Il piano di salvataggio di Wall Street di Bush e Paulson, modificato dai leader del Partito democratico al Congresso e sostenuto da Obama è diventato ben più di un incubo che diventa realtà per i politici conservatori cresciuti a mercato & stato minimo e adesso costretti dal doversi riconquistare la rielezione il prossimo 4 novembre a cercare un equilibrio tra l’esigenza di una rapida soluzione alla crisi e le aspettative della propria base elettorale.
I deputati repubblicani sanno che i loro elettori sono contrari all’intervento dello stato, giovedì ci sono state manifestazioni in 130 città e i sondaggi nazionali dicono che un terzo degli americani si oppone al piano di salvataggio, un terzo è favorevole, un terzo indeciso. McCain non è un ideologo, è un politico pragmatico che tende ad agire d’istinto. David Brooks sul New York Times di ieri ha scritto che il senatore dell’Arizona non ha mai risolto la contraddizione di essere contemporaneamente seguace sia del liberista Barry Goldwater sia del progressista Teddy Roosevelt: “Le due cose non si possono sommare, come abbiamo visto nella sua diversa reazione alla crisi finanziaria”. McCain non ha mai detto chiaramente che cosa pensa del piano Bush/Paulson/Obama, sostenuto anche dalle insospettabili pagine degli editoriali del Wall Street Journal, e non è riuscito a convincere i repubblicani a firmare un accordo con l’Amministrazione e con i democratici. La sua sortita washingtoniana ha però costretto i repubblicani della Camera a sedersi al tavolo delle trattative e secondo i suoi sostenitori ha anche ribadito il suo status di “maverick”, di spirito indipendente. I suoi critici dicono che la politicizzazione della crisi finanziaria non è servita a nulla, anzi ha complicato le cose.
I democratici, in teoria, potrebbero approvare il pacchetto Paulson da soli, avendo la maggioranza in entrambi i rami del Congresso, ma hanno bisogno di una copertura bipartisan per evitare che alle elezioni possano essere accusati di aver usato i soldi dei contribuenti per nazionalizzare il sistema finanziario. I repubblicani insistono su piani alternativi che salvino Wall Street con i capitali privati, non con soldi pubblici.
McCain si è trovato nel pieno di questa battaglia ideologica e partitica, con Bush, i democratici e un tranquillo Obama da una parte, i repubblicani dall’altra e lui in mezzo. “E’ il solito spettacolo di Washington – ha detto – Anche nel momento di una crisi che minaccia la sicurezza economica delle famiglie, Washington gioca la partita dell’accusarsi a vicenda, invece che lavorare insieme per trovare una soluzione che eviti il collasso dei mercati finanziari senza sprecare centinaia di miliardi di soldi dei contribuenti per salvare banchieri e broker”.
Se McCain riuscirà a convincere i repubblicani della Camera a firmare il piano Paulson, potrà vantarsi del successo. Ma se lo spazio per un accordo non c’è, sarà accusato di non aver saputo esercitare la sua leadership. A quel punto a McCain restano tre strade: sostenere Bush e i democratici perché lo richiede l’emergenza e poi promettere di migliorare il pacchetto una volta eletto presidente. Oppure schierarsi con la base repubblicana: un’opzione molto rischiosa sia nel caso il piano passasse e i mercati rispondessero bene, sia se il pacchetto Bush non ce la facesse e i mercati accusassero il colpo. La terza strada è puntare a costruire un consenso su una nuova proposta alternativa, più liberista.

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