Non è così semplice.
Io ricordo quando gli imballaggi non c'erano.
Lo zucchero in un sacco di iuta, da cui il bottegaio prendeva con un sassola quanto gli chiedevano. E così il riso.
Gli spaghetti erano venduti in pacchi da 5 chili.
Poiché nessuno ne acquistava tanti, il bottegaio apriva una confezione, e pesava il quantitativo richiesto.
Il tonno in scatola era in latte grandi (qualche chilo), e il bottegaio pescava col cucchiaio e metteva sulla carta oleata quanto chiedevi.
Io ricordo i biscotti. Erano in un cubo di latta, di un palmo di lato: da esso la bottegaia prendeva quanto richiesto. Marca Colussi, tipo Oswego, me lo ricordo.
Se in pochi (relativamente) anni i prodotti sono ora confezionati, significa che il consumatore richiede proprio questo: è stata un'evoluzione dettata dai consumatori, non certo dai produttori: i quali sarebbero contentissimi di ridurre i propri costi.
Quindi quella "rivoluzione" che auspichi deve rivolgersi innanzitutto ai consumatori.
Finché il consumatore (per pigrizia o per comodità sua) desidererà le confezioni, i produttori lo asseconderanno.
Non solo: se lo Stato intervenisse apertamente, i consumatori si rivolterebbero.
Oggi c'è il divieto di vendere sigarette sfuse: divieto superfluo, perché a nessun fumatore, oggi, viene in mente di acquistare due o tre sigarette.
Eppure ai miei tempi era normale acquistare la sigarette ad una ad una.
In parole povere: se il consumatore cambia, cambieranno anche i modi di vendere.