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  1. #1
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    Predefinito Il crack di Lehman Brothers

    Il crack più grande della storia

    Il fallimento di Lehman Brothers, il colosso bancario statunitense che ha chiesto l' ammissione ai benefici del Capitolo 11, è il più grande nella storia delle bancarotte mondiali. Lehman ha superato infatti il 'crack' di WorldCom, il gruppo telefonico che finì in amministrazione controllata nel 2002 per via di alcune grosse irregolarità contabili.
    Lehman Brothers ha un debito pari a circa 613 miliardi di dollari ed ha superato di conseguenza oltre a WorldCom anche Drexel Burnham Lambert, fallimento avvenuto nel 1990.

    UN DEBITO DI 157 MILIARDI DI DOLLARI.
    Lehman Brothers è inoltre debitrice di qualche cosa come oltre 157 miliardi di dollari nei confronti di una decina di creditori non privilegiati e nei riguardi degli obbligazionisti. In questo caso - sottolinea l' Agenzia Bloomberg - questi debiti potranno essere saldati solo dopo che saranno stati rimborsati i creditori privilegiati. La stessa Lehman ha precisato che fra i creditori non privilegiati figurano Commerzbank e Bank of New York Mellon, per il ruolo svolto da questi istituti nel prestare garanzie agli obbligazionisti. L' esposizione degli obbligazionisti sarebbe pari a 155 miliardi di dollari, quindi pressochè la totalità del credito non garantito.

    I MAGGIORI CRACK DELLA STORIA USA. Questa la graduatoria dei maggiori crack nella storia societaria statunitense, in base a dati elaborati da Bloomberg (fra parentesi gli asset espressi in miliardi di dollari):
    1) LEHMAN BROTHERS (639 miliardi)
    2) WORLDCOM (103,9 miliardi)
    3) ENRON (63,4 miliardi)
    4) CONSECO (61,4 miliardi)
    5) TEXACO (35,9 miliardi)
    6) Financial Corp. of America (33,9 miliardi)
    7) Refco (33,3 miliardi)
    8) IndyMac Bancorp (32,7 miliardi)
    9) Global Crossing (30,2 miliardi)
    10)Calpine (27,2 miliardi).
    La classifica è elaborata appunto con riferimento agli asset; anche dal punto di vista del debito, pari a circa 613 miliardi, Lehman Brothers guida questa graduatoria.

    http://unionesarda.ilsole24ore.com/p...ontentId=41806

  2. #2
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    Predefinito in eurozona niente panico per Lagarde ma già 6000 dipendenti in meno

    LEHMAN BROTHERS: LAGARDE, IN EUROZONA NON C'E' PANICO

    Bruxelles, 15 set. (Adnkronos/Aki) - Non c'e' panico nella zona euro dopo il fallimento di Lehman Brothers. Ad assicurarlo e' stato il ministro delle Finanze francese Christine Lagarde, presidente di turno dell'Ecofin, parlando ai microfoni della radio Europa 1 del crack della nota banca d'affari americana. "Tutte le autorita' monetarie, bancarie e i governi si sono consultati in questi giorni, hanno lavorato duramente. Sono stati attivati i meccanismi necessari, le banche centrali sono state allertate: dunque non c'e' panico" ha spiegato Lagarde. A Nizza, ha poi ricordato in merito al Consiglio Ecofin del 13 e 14 settembre, i ministri delle finanze Ue si sono impegnati a "mettere in atto meccanismi di supervisione, di stabilita' per evitare queste situazioni". La bancarotta di Lehman Brothers "e' senza dubbio uno shock, ma dimostra anche che vi e' un certo equilibrio perche' il Tesoro Usa non puo' correre sempre in salvo degli istituti in crisi" ha detto riferendosi alla nazionalizzazione di Freddie Mac e Fannie Mae, le due agenzie specializzate in mutui salvate sull'orlo del crack.
    (Cim/Gs/Adnkronos)
    15-SET-08 16:49

    http://iltempo.ilsole24ore.com/adnkr...OTQ5LnhtbCI7fQ==


    LEHMAN BROTHERS: DECISO LICENZIAMENTO 6 MILA DIPENDENTI IN EUROPA

    Londra, 15 set. - (Adnkronos) - A quanto apprende l'ADNKRONOS, Lehman Brothers ha deciso oggi il licenziamento di 6 mila dipendenti in Europa, comprese, per quel che riguarda l'Italia, personale delle sedi di Milano e Roma. I licenziamenti sono operativi da oggi. Stamane il broker Usa ha inoltrato la richiesta di protezione dai creditori garantita dal capitolo 11 del diritto fallimentare Usa. Dall'inizio dell'anno il titolo segna a Wall Street una 'debacle' del 94%.
    (Alo/Pn/Adnkronos)
    15-SET-08 12:16

    http://iltempo.ilsole24ore.com/adnkr...NjU0LnhtbCI7fQ==

  3. #3
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    LEHMAN BROTHERS: TRICHET, SIAMO IN ALLERTA STRAORDINARIA

    Bruxelles, 15 set. (Adnkronos/Aki) - Grande allerta da parte della Banca centrale europea dopo il fallimento di Lehman Brothers. "Il processo e' in corso e dobbiamo stare in allerta straordinaria. Questo vale per ieri, oggi e domani. Tutti dobbiamo stare in allerta", ha affermato il presidente della Bce Jean-Claude Trichet a margine di un convegno a Francoforte. "Questo l'ho detto a Nizza - ha aggiunto riferendosi all'Ecofin informale del 12 e 13 settembre - e in tutte le occasioni in cui ho parlato di stabilita' finanziaria. E' in corso una correzione del mercato con casi di elevato livello di volatilita', e' quello che abbiamo sperimentato fino ad ora ed e' ancora in corso".
    (Cim/Ct/Adnkronos)
    15-SET-08 17:49

    http://iltempo.ilsole24ore.com/adnkr...OTU0LnhtbCI7fQ==

  4. #4
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    Alcune prime considerazioni superficiali che mi vengono in mente: il governo statunitense ha dovuto lasciar fallire uno dei colossi del capitalismo occidentale a pochi giorni dall'intervento che ne aveva salvati altri dallo stesso destino probabilmente per impossibilità di intervento.
    Seconda considerazione: per la prima volta le banche si rifiutano di acquisire e incorporare (secondo lo schema classico) a prezzo d'occasione un altra banca perchè il pericolo di colare a picco con la seconda è troppo alto (o forse anche gli altri colossi finanziari ancora in piedi hanno i piedi d'argilla).
    Terza considerazione: la prima potenza finanziaria ed economica del mondo occidentale in un epoca di economia trainata da anni dalle guerre (che la stanno reggendo in piedi) non riesce a far fronte ad una crisi economica interna e deve rimettersi alle leggi di mercato in maniera passiva, ed il mercato stesso allarga le braccia e lascia la carogna in putrefazione senza avere la forza di farla propria.
    Il tutto a poco tempo dalle elezioni presidenziali.

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da Sandinista Visualizza Messaggio
    Alcune prime considerazioni superficiali che mi vengono in mente: il governo statunitense ha dovuto lasciar fallire uno dei colossi del capitalismo occidentale a pochi giorni dall'intervento che ne aveva salvati altri dallo stesso destino probabilmente per impossibilità di intervento.
    Seconda considerazione: per la prima volta le banche si rifiutano di acquisire e incorporare (secondo lo schema classico) a prezzo d'occasione un altra banca perchè il pericolo di colare a picco con la seconda è troppo alto (o forse anche gli altri colossi finanziari ancora in piedi hanno i piedi d'argilla).
    Terza considerazione: la prima potenza finanziaria ed economica del mondo occidentale in un epoca di economia trainata da anni dalle guerre (che la stanno reggendo in piedi) non riesce a far fronte ad una crisi economica interna e deve rimettersi alle leggi di mercato in maniera passiva, ed il mercato stesso allarga le braccia e lascia la carogna in putrefazione senza avere la forza di farla propria.
    Il tutto a poco tempo dalle elezioni presidenziali.
    Se mi permetti, vorrei aggiungere tre altri punti.

    Quarta considerazione: il termine nazionalizzazione in un paese come gli stati uniti non è più visto come fuliggine negli occhi.

    Quinta considerazione: che ne sarà dei creditori di LB? Chi pagherà i debiti?

    Sesta Considerazione: le banche di investimento sopravvissute stanno, per la prima volta da tempi immemori, correndo ai ripari creando un fondo comune di "solidarietà".

    בראשית

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da Sandinista Visualizza Messaggio
    Alcune prime considerazioni superficiali che mi vengono in mente: il governo statunitense ha dovuto lasciar fallire uno dei colossi del capitalismo occidentale a pochi giorni dall'intervento che ne aveva salvati altri dallo stesso destino probabilmente per impossibilità di intervento.
    Seconda considerazione: per la prima volta le banche si rifiutano di acquisire e incorporare (secondo lo schema classico) a prezzo d'occasione un altra banca perchè il pericolo di colare a picco con la seconda è troppo alto (o forse anche gli altri colossi finanziari ancora in piedi hanno i piedi d'argilla).
    Terza considerazione: la prima potenza finanziaria ed economica del mondo occidentale in un epoca di economia trainata da anni dalle guerre (che la stanno reggendo in piedi) non riesce a far fronte ad una crisi economica interna e deve rimettersi alle leggi di mercato in maniera passiva, ed il mercato stesso allarga le braccia e lascia la carogna in putrefazione senza avere la forza di farla propria.
    Il tutto a poco tempo dalle elezioni presidenziali.
    concordo su tutto e aggiungo:

    quando sento i nostri Tg che parlano di Lehman Brothers come una vittima della crisi finanziaria mi incazzo ancora di più... Lehman Brothers è vittima di se stessa, vittima delle "furbate" (mica tanto alla fine...) del sistema bancario di cui è parte integrante che concedeva mutui senza garanzie quando i tassi erano bassi allo scopo di ottenere tassi più alti in futuro....

    le uniche vittime qui sono coloro che si ritrovano senza lavoro

  7. #7
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    Ottimi gli spunti di Sandinista. Effettivamente questa crisi è preoccupante, perché porterà giù tutti i mercati collegati al dollaro...
    Cosa faranno gli USA? Spingeranno l'acceleratore per combattere una guerra salva-dollaro?

  8. #8
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    Vi consiglio vivamente di leggere l'articolo del Sole24Ore su come i dipendenti di LB sono stati trattati.


    A prescindere dalla disamina politica che farete, alcuni spunti sono da tenere in considerazioni
    1. i dipendenti sono stati licenziati per email. In Inghilterra/USA non è pratica inconsueta. In Italia immagino produrrebbe agitazione sociale. Lasciare l'ufficio in pochi minuti, raccogliendo al volo i propri oggetti, corrisponde ad un'umiliazione notevole per chi è abituato a recarsi in ufficio chiaccherando con blackberry
    2. i dipendenti di LB si lamentano di come sono stati trattati rispetti a quelli di Fannie e Freddie. Due pesi, due misure evidenti. Se non fosse stato per Barclays, nessuno si sarebbe fatto avanti per salvare LB.
    3. alcuni dipendenti sono in preda alla rabbia: mi ricorda il crack di Enron, che in paragone è da stimare di un fattore 10 (in meno, 60 bil per Enron, 613 per LB, ndr), quando gli azionisti si trovarono da un momento all'altro con stracci di carta al posto di shares.
    בראשית

  9. #9
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    Liberazione, 16 settembre 2008


    Il fallimento di Lehman Brothers

    Come si salveranno? Colpendo il lavoro

    di Emiliano Brancaccio

    Avevano nei giorni scorsi giustificato il tracollo di Fannie e Freddie con la classica litania dei carrozzoni a partecipazione pubblica, protetti dal governo federale americano e inquinati dalle solite clientele politiche. Poi però la crisi si è nuovamente spostata al centro del capitalismo privato americano, e gli ultras del liberismo sono rimasti per l’ennesima volta a corto di argomenti. Lehman Brothers, una delle quattro banche d’affari più grandi del listino di Wall Street, ieri ha dichiarato fallimento. Cade dunque un altro importantissimo mattone dell’immenso domino finanziario globale, e c’è da ritenere che diversi altri nei prossimi mesi subiranno una fine analoga.
    Lehman rappresenta una delle massime interpreti del famigerato “subprime capitalism”, vale a dire il sistema che nel corso degli ultimi anni ha stravolto e reinventato il circuito monetario dei crediti, dando luogo a quella che potremmo considerare una sofisticata istituzionalizzazione del meccanismo dell’usura. La logica dei subprime ha infatti per lungo tempo funzionato così. Prendi un lavoratore americano, di norma residente in un sobborgo periferico e già abbastanza carico di debiti e di pignoramenti. Fregatene della sua elevata probabilità di insolvenza e offrigli mutui e carte di credito a tassi particolarmente alti. Quindi spezzetta in mille parti i debiti del tizio in questione, trasformali in titoli e diffondili in ogni angolo del globo, con il prestigioso marchio della banca d’affari emittente posto in bella mostra sulle cedole. Strozza finché puoi il lavoratore, fallo andare sulla giostra dei tassi variabili, costringilo a doppi turni, tripli lavori e tagli progressivi al suo tenore di vita. Distribuisci i dividendi ai possessori dei titoli e poi, quando il tizio andrà in bancarotta, poco male: che si faccia avanti il prossimo working poor, afflitto da un salario reale in caduta libera fin dai tempi di Carter.
    Applicando questa procedura le grandi banche d’affari americane hanno convinto migliaia di operatori finanziari a comprare questi titoli, al tempo stesso bollenti e patinati. Fondi cinesi, russi, giapponesi e pure tanti istituti europei hanno fatto incetta di subprime, rassicurati dall’idea che un pezzettino di rischio per ciascuno non avrebbe fatto male a nessuno. Ma le cose non stavano così. Lo strozzinaggio su larga scala aveva le sue crepe, che si sono trasformate in voragini man mano che i pezzetti di rischio andavano cumulandosi, che i potenziali lavoratori da incravattare andavano esaurendosi, e che le garanzie poste alla base di quei debiti cominciavano a perdere di valore. Il risultato finale è che i massimi finanzieri di Wall Street potrebbero a questo punto esser seduti su una montagna di crediti che valgono carta straccia. E non si capisce chi pagherà adesso la corrispondente montagna di debiti che essi hanno contratto con il mondo. Una situazione, questa, che avrà inevitabili effetti a catena: basti pensare ai contratti di copertura del rischio di cambio che il Ministero del Tesoro italiano ha lungamente contratto con Lehman per la collocazione di titoli pubblici sulla piazza americana, e che ora rischiano di non poter essere onorati.
    Siamo insomma di fronte alla ennesima, contraddittoria torsione del capitalismo deflattivo del nostro secolo. Da tempo questo sistema impone a tutti i paesi del mondo una politica di schiacciamento dei salari e della domanda interna, e li costringe a cercare sbocchi commerciali all’esterno dei propri confini. Gli Stati Uniti hanno agito per anni da spugna assorbente, domandando ben al di là di quel che potevano acquistare. E questo non certo in virtù di una politica di alti salari, ma al contrario grazie a una spaventosa esplosione di spese finanziate con debiti, che negli ultimi tempi hanno coinvolto anche e soprattutto la classe lavoratrice. Con il diffondersi delle insolvenze tra i lavoratori il sistema è andato in stallo, e adesso si prevedono due diverse vie d’uscita. La prima è quella “capitalistica pura”: si lasciano le banche al proprio destino, le più fragili ed esposte falliranno o verranno assorbite, e assisteremo a una ulteriore accelerazione del processo in corso di centralizzazione dei capitali mondiali in poche mani. Questa soluzione trova però un ostacolo nel fatto che gli assetti proprietari e di controllo del capitale finirebbero per subire un vero e proprio terremoto. Per esempio, la finanza asiatica sembra esser tra le poche attualmente in grado di ricapitalizzare gli istituti bancari, soprattutto americani ma in parte anche europei. Non sarebbe certo la prima volta, beninteso, ma in questa occasione l’intervento necessario ai salvataggi potrebbe rivelarsi di tali proporzioni da rendere inevitabile l’ingresso dei cinesi nelle stanze dei bottoni di Wall Street e della City, dalle quali sono stati finora tenuti accuratamente alla larga. Ecco allora che alcuni guru della finanza statunitense ed europea iniziano a levare alte le voci sul pericolo di una recessione globale, e sul rischio conseguente di una reazione neo-protezionista. La diffusione di queste paure verte su un preciso obiettivo strategico: spianare la strada a una soluzione alternativa “assistita”, ossia basata su un intervento pubblico che permetta di scaricare sui contribuenti occidentali il peso dei rifinanziamenti bancari e che eviti eccessivi scossoni negli assetti di controllo. Quello che suscita maggiori preoccupazioni, comunque, è che in entrambi i casi il sistema scaricherebbe il peso dell’aggiustamento sulle spalle dei lavoratori e delle categorie sociali più deboli: o attraverso la recessione e la disoccupazione, o tramite un aumento dei carichi fiscali sul lavoro e delle iniezioni di liquidità pubblica a sostegno del capitale privato in crisi, oppure ancora attraverso una combinazione intermedia delle due soluzioni. Nella storica emergenza in atto, insomma, i lavoratori restano al tempo stesso la variabile residuale per eccellenza, pressata sul piano economico e silente sul piano politico. Un paradosso, questo, dal quale non si uscirà né a breve né in modo necessariamente pacifico.

    Emiliano Brancaccio

  10. #10
    COSTRUIRE IL COMUNISMO!!
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    Crisi bancaria americana: l'Impero sta crollando?

    Manuel Zanarini
    15 settembre 2008
    Fonte: anchesetuttinoino
    segnalato da Arianna Editrice


    Come avevamo già segnalato tempo fa, la prima crisi legata ai mutui subprime dei mesi scorsi non era che l’inizio della “vera crisi”. In questi giorni la falla nel sistema bancario statunitense sta raggiungendo dimensioni drammatiche, ma ancora una volta ci stiamo solo avvicinando al centro del ciclone, non ne siamo ancora nel mezzo. Facciamo il punto della situazione.
    Giusto per fare un quadro sommario, riporterei alcuni dati estremamente significativi: crollo del Dow Jones (l’indice borsistico di Wall Street) di oltre 30 punti; prezzo del petrolio in costante ascesa; grosse banche sull’orlo del fallimento; American Express che denuncia difficoltà ad incassare; Fedex segnala un netto rallentamento in ogni tipo di trasporto; United Airlines licenzia 950 piloti (il 15% degli effettivi); General Motors denuncia un grosso calo nelle vendite; crollo del valore degli immobili del 15,8% in un anno; nel solo 2007 sono state avviate 2,2 milioni di procedure di pignoramenti, segnando un aumento del 121% su base annua, ecc.
    Il dato forse più importante è il collasso verso cui sta giungendo il sistema bancario statunitense. I primi segnali si sono avvertiti col quasi fallimento della Bear Stearns, “mangiata” dalla JP Morgan grazie ai soldi dei contribuenti, gentilmente offerti da Washington. Ma adesso la cosa si sta espandendo a macchia d’olio. Oggi, la Lehman Brothers, la quarta banca d’affari più importante degli Stati Uniti, ha annunciato di aver avviato le pratiche di fallimento, cosa che tra l’altro sta causando instabilità e perdite ingenti anche sui mercati europei.
    Sorte simile è toccata al “gigante” Citigroup, il quale ha chiuso il secondo trimestre del 2008 con una perdita netta di 2,5 miliardi di dollari (contro l'utile di 6,2 miliardi segnato l'anno prima), dopo svalutazioni lorde per 7,2 miliardi. Tanto che i vertici hanno deciso di sbarazzarsi di diverse strutture ritenute non più strategiche ed attuare un piano di licenziamenti molto pesante. Il primo punto si è attuato decidendo di tagliare per diverse centinaia di miliardi di dollari gli investimenti nelle divisioni delle banche di investimento e di quelle retail. Un esempio concreto, è stata la cessione, al Credit Mutuel, della filiale tedesca, la quale ha 3,3 milioni di clienti, 340 agenzie e 6.700 dipendenti, ricoprendo il 7% del mercato tedesco del credito al consumo. Sul fronte occupazionale, invece, è stato varato un piano di ristrutturazione che prevede oltre 16.000 licenziamenti. Al momento, considerati i primi due trimestri del 2008, siamo già arrivati a quota 11.000.
    Poi abbiamo un altro esempio clamoroso: quello di “Fannie e Fred”. In un anno la “Fannie Mae” e la “Freddie Mac” hanno perso circa 15 miliardi di dollari, rimanendo quasi senza capitali, e deprezzando i loro titoli di quasi il 90 per cento. Inoltre, 4 milioni di famiglie, il 9 per cento dei mutuati, sono andate in bancarotta o sono in grave ritardo nei pagamenti rateali. Si tratta di banche, la Fannie Mae e la Freddie Mac, che svolgono una funzione primaria nel mercato dei mutui immobiliari. I due titoli, in un solo anno, avevano perso rispettivamente l’81% e l’87% del loro valore. La cosa è assolutamente preoccupante per i cittadini, tenendo conto i due istituti coprono circa la metà di tutti i mutui immobiliari statunitensi. A questo punto, il Governo ha deciso di prendere iniziative di sostegno in loro favore, per “evitare una catastrofe”, come ha detto il Ministro del Tesoro Paulson. In pratica, le due banche sono state nazionalizzate. Con una mossa che non si vedeva dai tempi di Eisenhower, la Casa Bianca ha deciso di finanziare le due banche con soldi pubblici, cioè con le tasse dei cittadini, oltre che aver riservato per la Fed un “ruolo consultivo” sulle strategie dei due istituti. Riporto alcuni dati, giusto per capire di quali cifre stiamo parlando: in caso di bancarotta “Fannie e Freddie” lascerebbero un buco di 5.000 miliardi di dollari, la metà del debito pubblico americano. “Fannie” deve rimborsare 216 miliardi di dollari entro un anno, “Freddie” un po’ di più, circa 291 miliardi. Il problema consiste nel fatto, che le due banche non hanno questi soldi, a causa del totale collasso del mercato immobiliare statunitense, dove le rate dei mutui non vengono più pagate, e nessuno acquista più immobili. Basti pensare che da, Gennaio 2008, le prime nove società del settore hanno perso 2,4 miliardi di euro, circa la metà della loro capitalizzazione.
    Ma, secondo molti analisti, la crisi deve ancora scoppiare. Le banche a rischio fallimento negli USA sono circa 90, e tempi ancora più incerti si prospettano per quelle locali. Il caso più eclatante è stata la chiusura dell’istituto “Indy Mac”, che ha rappresentato il terzo fallimento per importanza dal dopoguerra ad oggi, e che ha riportato d’attualità le immagini dei cittadini in fila davanti agli sportelli sperando di riavere i propri soldi, che ci eravamo abituati a vedere durante la crisi in Argentina. La “IndyMac” ha dovuto chiudere i battenti per mancanza di liquidità e la sua gestione è stata trasferita alla “Federal Deposit Insurance Corporation”. Secondo il Los Angeles Times, IndyMac ha almeno un miliardo di dollari di depositi non coperti dall'assicurazione FDIC, che riguardano circa 10 mila risparmiatori.
    I danni causati dalla crisi statunitensi stanno arrivando anche in Europa. Il gruppo elvetico “Swiss Re”, numero uno mondiale della riassicurazione, ha un’esposizione totale di 9,6 miliardi di dollari (6 miliardi di euro) nei riguardi di Fannie e Freddie; nello specifico di 4,4 miliardi verso la prima e dei restanti 5,2 verso la seconda. Questa situazione ha fatto sì che il colosso svizzero abbia subito un crollo sui mercati borsistici, tanto da svalutare 2,2 miliardi di franchi svizzeri (1,37 miliardi di euro) dall’estate scorsa, diventando la società assicurativa più colpita dalla crisi. Ha pubblicato un risultato netto di 624 milioni di franchi, in calo del 53% rispetto alle stime degli analisti che lo stimavano in 870 milioni. Anche in Italia le banche stanno andando in sofferenza, dando i primi segnali di scarsa liquidità, ed irrigidendosi sull’approvazione dei mutui.
    La crisi statunitense sta mettendo in allarme anche gli organi internazionali. Secondo quanto riportato da “Der Spiegel”, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato che effettuerà un “Financial Sector Assessment Program”, una procedura di verifica sul sistema finanziario USA, che si concluderà nel 2010. Cosa che fa un certo scalpore, visto che notoriamente il Fondo Montario obbedisce a Washington. Si tenga conto, infatti, che una tale procedura non è mai avvenuta nei confronti degli Stati Uniti.
    Per chiudere l’analisi, una nota curiosa. Secondo quanto riportato da Carlo Gambescia, un anonimo speculatore ha acquistato 245 mila opzioni «put» sull'indice Eurostoxx 50 del Dow Jones. Queste opzioni hanno la scadenza fissata per il prossimo 21 Settembre, di conseguenza, se le azioni mondiali non precipiteranno, il compratore misterioso rischia di perdere un miliardo di dollari. Ma se ha ragione lui, ne guadagnerà minimo 2 miliardi . Visto che sono cifre un po’ troppo alte, è difficile credere ad una scommessa al buio. I casi sono due: o sapeva del fallimento della Lehman Brothers e del conseguente tracollo finanziario mondiale, che quindi è appena all’inizio; oppure, nella peggiore delle ipotesi, questa settimana ci porterà qualche grosso guaio.
    Gli analisti più pessimisti individuano due scenari per questa seconda soluzione. La prima riguarda gli investimenti effettuati in “yen”, la valuta giapponese. Gli speculatori hanno contratto debiti a breve in yen (a tasso basso) ed hanno prestato a lungo termine in «investimenti» a tasso più alto. Ma ora che lo yen risale, il loro debito in yen sale e rischia di schiacciarli, provocando altri fallimenti. Gli indebitati in yen sono infatti obbligati a svendere i loro crediti a lungo termine, ammesso che riescano a trovare dei compratori, per comprare gli yen con cui estinguere i loro debiti giapponesi. Ciò, come minimo, forzerà verso l'alto i tassi d'interesse a lungo termine. Di conseguenza, anche il costo dei mutui variabili aumenterà, accrescendo il numero dei mutuatari insolventi, accelerando così il crack immobiliare USA e dunque precipitando la recessione americana.
    Il secondo scenario ha attinenza con una data ormai diventata storica: l’11 Settembre. Ai primi di Settembre del 2001, cioè pochi giorni prima l’ “attentato” alle Torri Gemelle, alcuni anonimi speculatori avevano acquistato una quantità anomala di opzioni put su United Airlines ed American Airlines, scommettendo su un clamoroso ed improvviso ribasso delle due compagnie aeree. Come tutti sanno, i velivoli usati dagli “attentatori” appartenevano proprio a queste due compagnie, che videro precipitare il valore delle loro azioni da 30 dollari a 18 in poche ore, facendo guadagnare agli scommettitori una bella cifretta, anche se non la ritirarono per intero, per non destare troppi sospetti. Parte degli ordini «put» risultò partita da una banca d’affari, la AB-Brown, di cui era stato Presidente esecutivo A.B. «Buzzy» Krongard, uno dei capi della CIA alla data dell'attentato. Il guadagno di quella operazione fu di una decina di milioni di dollari, nulla in confronto ai 2 miliardi “previsti” dallo speculatore odierno. Che sappia qualcosa riguardo un attentato tremendamente più devastante di quello dell’11 Settembre? Chissà, la scadenza del 21 Settembre è vicina, vedremo cosa succederà.
    Quello che si può dire è che potremmo essere vicini ad una svolta epocale. Il potere mondiale di Washington si è sempre basato su due aspetti: un sistema militare dominante ed uno finanziario capace, grazie alle banche, di indebitare tutti i paesi del mondo con la Federal Reserve, obbligandoli alla sudditanza politica.
    Le guerre in Afghanistan, in Iraq ed il caso “Georgia-Ossezia” dimostrano che Washington non possiede più una superiorità militare schiacciante come in passato, e certamente non è più in grado di fermare le potenze emergenti, Russia e Cina soprattutto. Se ora anche il sistema bancario e finanziario a “stelle e strisce” dovesse crollare, potremmo assistere ad un clamoroso vuoto di potere, dove le nazioni più intraprendenti e coraggiose potrebbero tornare ad essere padrone del proprio destino. Che strada sceglierà l’Europa? Sceglierà di liberarsi dal gioco americano, oppure subirà il tracollo dello Zio Sam?

 

 
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