Il documento è autentico, e riporta la visione cattolica della schiavitù, istituto oggi caduto per lo più in disuso, concordemente con quanto esposto da san Paolo nella Scrittura.
La schiavitù, o servitù, viene infatti definita (negando interpretazioni estranee al concetto cristiano) come un diritto perpetuo ad un facere, da parte di un'altra persona. Non ha nulla a che spartire con catene, fruste e marchi a fuoco. Trattasi meramente di un istituto in materia di diritto di lavoro, che , a causa delle mutate condizioni socioeconomiche, e di una diversa dottrina giuridica sul rapporto di lavoro, che oggi non è più praticabile. Può essere ancora individuato in alcuni sistemi giuridici, come lavoro coatto (i c.d. "lavori forzati"). Fondamentalmente a livello dottrinale (in senso giuridico, non teologico) sì è persa la nozione del lavoro e della capacità lavorativa come un quid facente parte del patrimonio di una persona, limitando tale visione a ciò che è liquidabile. In altre parole, per fare un esempio, se un debitore nullatenente risulta insolvente, il creditore, attualmente la prende in saccoccia, un tempo, avrebbe potuto riscattare il proprio passivo, col proprio lavoro (eventualmente, obbligatovi coercitivamente).
Non si pensi infatti alla schiavitù di cui parla il decreto, come di un lavoro a titolo gratuito, vi è sempre un sinallagma (anche nel caso di lavori forzati, il galeotto sconta col lavoro, un delitto da lui compiuto, quindi vi è corrispettività). Nemmeno lo si paragoni con situazioni tipo schiavi cristiani in terre mussulmane, o schiavi negri, in piantagioni di cotone. Tali situazioni, non conformi alla morale cattolica, sono prive di corrispondenza e di influenza col presente decreto.
Quando poi si parla di compravendita di schiavi, ovviamente, non si intende (come già spiegato sul concetto di schiavitù) l'acquisto dela persona (e quindi della disponibilità esclusiva e totale del corpo e dello spirito di un uomo), ma dell'acquisto di un diritto perpetuo (ma anche non perpetuo) a svolgere una mansione lavorativa. Infatti anche il diritto a ricevere una prestazione fa parte del patrimonio di una persona, e come tale può essere alienato. Il "padrone", nel vendere uno schiavo, non fa altro che cedere dietro compenso, ad altri, il diritto a ricevere una prestazione di lavoro, da parte di un terzo.
Viene inoltre ribadito il concetto di legittima riduzione in schiavitù, la quale normalmente può (o poteva) essere o volontaria, oppure comminata dall'autorità in virtù di un reato grave o di una insolvenza. E' esclusa la predazione o la tratta di esseri umani.
Quanto detto, non ripugni le coscienze di chi legge. Viviamo quotidianamente in un mondo in cui si verificano i medesimi fatti, che vengono ritenuti leciti, solo perchè chiamati con un altro nome.
Non vorrei mai dare ragione a Marx, tuttavia, se pensiamo a certi operai, che non potendo (a causa o di impossibilità dovute a scarsa preparazione culturale, o a infelici situazioni economiche) fare altrimenti, sono costretti a svolgere in perpetuo la propria mansione, in un rapporto di sudditanza da un'azienda, come non fare il paragone?
E' infamante vendere schiavi? ma allora come la mettiamo con i trasferimenti d'azienda? non si cedono forse i lavoratori, a questo e a quell'altro nuovo acquirente, come se fossero pertinenze della fabbrica, assieme alle mura dei capannoni e ai macchinari?
Non sono forse queste tutte forme di "schiavitù" moderne?
Ebbene, senza ipocrisie, si può tranquillamente dire che la schiavitù, come istituto di diritto privato, è cattolica, a norma del decreto del sant'Uffizio, dato sotto il pontificato del Beato Pio IX.
Se poi qualcuno volesse far notare che il CCC al n° 2414, vieta la schiavitù come contraria alla dignità umana (e dunque al diritto naturale stesso), la spiegazione è presto fatta: mentre Pio IX e il sant'Uffizio, intendevano con essa, meramente il rapporto di lavoro perpetuo, come specificato, il CCC la intende invece col senso moderno del termine, e dunque il mercimonio sulla persona umana, per trarne un valore (e non dunque sul lavoro). Ricordiamo però che lo stesso CCC, cita san Paolo (Fm 16), il quale non parla affatto di abolizione della schiavitù, ma che i padroni trattino gli schiavi (che sono leciti), con il rispetto dovuto a dei Figli di Dio. Due sensi diversi, che portano a due conclusioni differenti, entrambe esatte entrambe complementari. Non facciamo lo sciocco errore che i tradizionalisti fanno, paragonando Dignitatis Humanae a Quanta Cura. Il Magistero (e il decreto del s. Uffizio è magisteriale) non si contraddice.