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  1. #1
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    Predefinito Cina: Fedagri, Grazie A Cooperative Zero Latte Cinese In Italia

    CINA: FEDAGRI, GRAZIE A COOPERATIVE ZERO LATTE CINESE IN ITALIA

    (AGI) - Roma, 18 set - "Le cooperative agroalimentari hanno detto no e scongiurato, a suo tempo, la possibilita' che il latte blu, microfiltrato, proveniente da mercati lontani e dalla Cina (ahah!) fosse commercializzato in Italia e spacciato come latte fresco. Le drammatiche notizie che rimbalzano dalla Cina avvalorano la ferma linea assunta dalla cooperazione italiana che con il suo no al latte privo di controlli ha difeso i produttori agricoli, ma soprattutto la salute dei consumatori.
    Nulla importa se per salvaguardare valori fondamentali, quali finanche la vita della gente, la cooperazione italiana abbia dovuto subire le aspre critiche di una "grande" industria e di "un'autorevole" organizzazione agricola che avevano gia' siglato e messo in tasca, un patto d'acciaio, fortunatamente sventato, sulla commercializzazione latte blu". E' il commento di Paolo Bruni, Presidente Fedagri Confcooperative, alle drammatiche notizie relative al latte cinese che continuano a rimbalzare dalla Cina.(AGI)

  2. #2
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    speriamo

  3. #3
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    Invece in Canada arriva

    Latte cinese, Canada ritira yogurt 20.9.2008 07:46
    Una catena canadese di supermercati ha deciso di mettere al bando tutti gli yogurt liquidi prodotti da due imprese cinesi implicate nello scandalo del latte contaminato da melanina.

  4. #4
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    Blog con commenti cinesi (e traduzione)

    http://globalvoicesonline.org/2008/0...made-in-china/

  5. #5
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    Probabilmente in Europa c'è di peggio:
    domenica, 21.09.08
    La chimica alla “cinese”


    Vorrei intervenire da “tecnico” su un argomento attualissimo. Mi riservo di affinare ricerca ed articolo nei prossimi giorni, tenendo anche conto degli sviluppi di quanto sta accadendo in queste stesse ore.
    Finito l’argomento estivo delle Olimpiadi, ecco un nuovo polverone per parlare (male e a caso) della Cina. Una sostanza chimica nociva è entrata per errore nel latte da bambini, provocando 4 morti e migliaia di ricoverati (quasi 13000, secondo le stime dello stesso ministero della Salute della Repubblica Popolare Cinese). Ma cos’è questa “melamina”, sostanza sotto accusa? E’ una sostanza diffusa in tutte le industrie ed utilizzata nelle colle e nelle plastiche. Ad essa, fino al caso di questi giorni in Cina, non erano imputati danni verso gli uomini, come si legge chiaramente perfino sui documenti della Food and Drug Administration, l’agenzia statunitense relativa ai cibi, ad esempio ai seguenti link:

    http://www.usda.gov/wps/portal/usdah...07/05/0129.xml

    http://www.bs.izs.it/Referenza/Benes...i/Melamina.pdf

    In realtà, da anni la melamina era stata additata come nociva negli alimenti per cani e gatti. Ma dato che veniva utilizzata nell’industria alimentare “umana”, niente si è mosso. Fin’ora…
    Ed eccoci infatti ai fatti in Cina. Il latte di un colosso industriale dei latticini e dei derivati, la Yili Ltd., risulta nocivo ai bambini che lo hanno ingerito. Attendiamo in questi ore e giorni un’analisi tossicologica migliore e meno estemporanea. La Yili è sotto accusa, la Nestlè ne esce con dichiarazioni del tipo “Noi non ci entriamo nulla, il nostro latte è buono”. L’accusa alla Yili è quella di aver utilizzato una sostanza che TUTTI usano per i contenitori del latte, perché non è proibita da nessun ente!
    Allora, perché tutta questa tossicità? Sembra ci sia stato un errore nella preparazione dei contenitori, ne è stato inserito troppo, e qui sì che è da colpire il sistema di controllo delle aziende e interno all’azienda stessa!!

    …ma il raggiro è, secondo me, ancora più fine… Guardate cosa dice il Ministero della Salute cinese sui prodotti Nestlè:
    “L'agenzia per la sicurezza alimentare di Hong Kong ha trovato tracce della sostanza nel latte fresco a marca Nestlè. "Si tratta di una quantità minima che non rappresenta una minaccia per la salute, ma è meglio non darlo da bere ai bambini", ha detto un portavoce dell'agenzia.” (Fonte: http://www.repubblica.it/2008/09/sez...icoverati.html)

    Quindi C’E’ ! La Melamina è anche nel latte Nestlè! E diciamolo, diobòno, diciamolo ad alta voce! Perché tenerlo nascosto?
    Io credo che il problema sia davvero molto “fine”. Mi spiego: che sia la Yili o la Nestlè, che sia una multinazionale svizzera o cinese, poco importa. E’ sempre una grossa industria che vende cibi FINTAMENTE freschi e non si cura di come vengono confezionati e con cosa. Andando più a fondo, il problema alla base è al solito il divario tra scienza e tecnologia. La tecnologia è l’applicazione pratica e funzionale della scienza; non sempre, però, esse hanno gli stessi tempi, essendo la tecnologia ormai, qui, soggetta alle leggi di mercato. Perché ogni applicazione deve uscire velocemente sul mercato, come minimo per battere la concorrenza. E la scienza? Questo residuato del XX secolo rimane indietro, ha tempi e metodologie diverse. Ed è così che alcune sostanze sono messe sul mercato PRIMA che si possano effettuare o finire le dovute analisi di tossicità. Un esempio recente è il TEFLON delle padelle, scoperto da poco come TOSSICO!!

    I tempi delle analisi tossicologiche, va detto, sono lunghi, molto lunghi. Ma perché correre, perché rischiare? Il gioco vale la candela? Beh…per l’”occidente” sì, se la candela sono le vite di altre persone e non dei padroni delle aziende… Da decenni si mettono sul mercato sostanze che sono risultate poi tossiche o nocive o lesive per l’ambiente. I PCB e i clorofluorocarboni, per esempio.

    Ma quella di cui vorrei parlare è un’altra sostanza in particolare, il BISFENOLO – A. Pensate che è stata sospettata di tossicità fin dagli anni ’30 (!!!) ma ha trovato moltissime utilizzazioni fino ad oggi. Il Bisfenolo-A è usato nelle plastiche dure, per cui anche le bottiglie di plastica e i biberon (notate: i BIBERON). Ci sono voluti decenni, per arrivare alle controversie che dibattono proprio questi giorni (ma di cui nessuno ne parla…eccheccazzo, c’è la Cina…); il governo Canadese fa ritirare dal mercato tutti i biberon e le bottiglie, quello statunitense corre ai riparti e aumenta le analisi, perché una valanga di nuovi dati ha coinvolto l’occidente plasticizzato. Il BISFENOLO-A FA MALE. Aumenta le possibilità di insorgenza di problemi di glicemia, di problemi neuronali e dei TUMORI.
    In Europa però è tutto ancora fermo, all’interno della comunità scientifica c’è ancora molto dibattito, anzi direi che c’è un vero e proprio scontro. Ma lasciatemelo dire, un minimo so come vanno queste cose: qualcuno deve pure reggere il sistema mentre cade, cercare di tappare le falle, che sia un amministratore o uno scienziato ben pagato!

    Eccomi arrivato al punto: sul Bisfenolo-A non si parla. Eppure l’accusa dovrebbe essere pari a quella imputata alla Cina, se non superiore. Perché il tipo di danno provocato dal Bisfenolo è un danno cronico, i cui risultati, cioè, si vedono anche dopo anni. Se pensate a tutti gli alimenti che da anni sono a contatto con il Bisfenolo-A e alla loro diffusione, dovrebbe apparvi chiaro quale crimine è stato commesso. Si è lasciato che nei nostri tessuti si annidassero stanze cancerogene.

    Il problema colpisce nel tempo e, data la presenza di concause e la contemporaneità degli effetti, non è possibile sempre imputare tumori e decessi a questa o quella sostanza. Questo avviene per migliaia di prodotti, ma anche per nanoparticelle metalliche emesse dagli inceneritori di rifiuti, per esempio. La scienza ha bisogno dei suoi tempi per analizzare le tossicità acute e quelle croniche, ma il mercato, il Signor Mercato, non può aspettare. E chi se ne frega della salute degli altri…
    Migliaia di bambini infetti in Cina; mi ricordano i milioni di persone piene di microschifezze che popolano l’”occidente” , i bambini e li adulti che per via dei tumori non hanno avuto il tempo di leggere ricerche come quelle di cui stiamo parlando.

    E’ una corsa al prodotto più veduto, usato, terminato, una corsa senza ostacoli perché gli ostacoli (etica scientifica e salute umana ed animale) sono stati abbattuti proprio nel gioco a cui appartiene questa corsa: il Mercato. E in tutto questo, nessuno parla della Bisfenolo-A, ma soltanto di cinesi assassini. Beata l’ignoranza…

    Eugenio

    Nota: di seguito gli ultimi articoli (e pure qualcosa degli ultimi anni) sul Bisfenolo-A:
    http://www.repubblica.it/2008/04/sez...ericolosi.html
    http://www.corriere.it/salute/08_set...4f02aabc.shtml
    http://www.corriere.it/cronache/08_a...4f486ba6.shtml
    http://www.molecularlab.it/news/view.asp?n=2618
    http://it.health.yahoo.net/p_news.as...3904&c=40&s=14
    http://www.aduc.it/dyn/eutanasia/noti.php?id=233480
    http://viceversa.megablog.it/item/la...ca-alla-cinese
    La Food & Drug administration non considera la melamina una sostanza pericolosa.

  6. #6
    emiro omofobo meridionale
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    http://www.zadig.it/speciali/caffaro/new-1.htm

    Contaminazione da PBC: Brescia è più inquinata di Seveso


    a Caffaro è un'importante industria chimica attiva sul territorio bresciano dal 1906. All'inizio fu essenzialmente una fabbrica di soda caustica con processo elettrolitico a catodo di mercurio, ma già negli anni trenta l'azienda s'impone sul mercato come principale produttrice di pesticidi, prima a base di composti arsenicali e successivamente di cloroderivati. Entrano quindi progressivamente nel ciclo lavorativo svariate sostanze tossiche, di cui molte cancerogene: benzene, arsenico e suoi composti, tetracloruro di carbonio, DDT, Lindano, clorofenoli, cloroformio e Clortalonil. Dal 1938 al 1984 si afferma in azienda la produzione di PCB che renderà la Caffaro uno dei leader a livello mondiale.

    In quasi 50 anni si producono 150 mila tonnellate di PCB a fronte delle 650 mila tonnellate degli Stati Uniti, relative a un equipollente arco temporale (1929-1977), che però sospendono la produzione nel 1977, preceduti nel 1972 dal Giappone, dove un grave incidente provoca l'intossicazione di duemila persone.1
    Nonostante lo sviluppo di una cultura diffusa sulla tossicità delle diosssine,2 conseguente al disastro di Seveso del 1976, alla Caffaro di Brescia la produzione di PCB continua indisturbata fino al 1984. E questo quasi a voler concludere a ogni costo il ciclo vitale degli impianti, che tre anni prima della dismissione vanno anche incontro a un principio di incendio che provoca il surriscaldamento di un distillatore, fino a temperature critiche per la formazione di diossine.
    I dati di seguito riportati, sui quali riteniamo di poter fondare le nostre valutazioni, presentano limiti intrinseci: alcuni conseguenti all'inadeguatezza dei metodi adottati dalla ASL e dall'ARPA per il campionamento e la raccolta delle matrici su cui sono state condotte le determinazioni analitiche degli inquinanti, altri invece dipendono dall'incompletezza delle informazioni reseci disponibili.

    In ogni caso, accettando approssimazioni che possano comunque mettere abbastanza al riparo da errori di sovrastima del rischio, abbiamo cercato di ottenere il massimo d'informazione possibile dalla nostra base-dati. Ci siamo ispirati, per così dire, alle storiche inferenze di sir Percival Pott "rivisitato",3 che, valorizzando i dettagli di una osservazione non sistematica e il relativo contesto storico-sociale, è riuscito a suggerire ipotesi forti sulla cancerogenesi professionale, successivamente confermate e sviluppate.

    La ASL di Brescia, allo scopo di predisporre il monitoraggio delle ricadute a terra delle emissioni del costruendo inceneritore dell'Azienda servizi municipali di Brescia (ASM), che fatalmente si sovrappongono alla zona posta a Sud della Caffaro, conduce tre campagne di misurazioni sequenziali negli anni 1994-1995-1997, per definire la condizione "zero" dell'inquinamento del suolo.

    Alle istituzioni giungono quindi inaspettati i risultati che documentano un altissimo e diffuso inquinamento da PCB, diossine e furani di due o tre ordini di grandezza oltre i limiti attualmente fissati dalla legge,4 cioè 10 ng/kg (di terra) per diossine e dibenzofurani e 1.000 ng/kg per PCB relativamente a terreni destinati a verde pubblico privato e residenziale.

    Nel febbraio 2001, l'ASL di Brescia raccoglie altri campioni di terreno nelle adiacenze della fabbrica. Nel cortile dell'ex scuola elementare (chiusa solo dal 1993 e ora sede di Circoscrizione) l'indagine ritrova ancor oggi valori di PCB 3.000-6.000 volte superiori al limite, come si può leggere nella tabella 2.

    Un confronto con altre aree inquinate può facilitare la percezione delle dimensioni del problema, sia pure con la dovuta cautela, date le diverse origini modalità ed evoluzione temporale dell'inquinamento, nonché delle matrici ambientali interessate.

    Laguna di Venezia. Nei sedimenti della laguna di Venezia, una delle aree più inquinate d'Italia, uno studio dell'Università di Venezia, su 15 aree di campionamento indagate dal "Progetto di ricerca del sistema lagunare veneziano" nel luglio 1994, ha rilevato la presenza dei PCB in una concentrazione diffusa che oscilla tra i 4,05 e i 35,45 µg/Kg; solo uno dei 15 campioni, nel Canal Grande, che si ipotizzò convogliasse e concentrasse maggiormente l'inquinamento proveniente da Porto Marghera, raggiunge il valore massimo di 239,15 µg/Kg.

    Seveso. All'Icmesa le diossine sono state trovate nello strato superficiale del terreno a un'altissima concentrazione, fino a un massimo, nella "zona A", di 48,90 µg/Kg, quindi quasi 4.000 volte i limiti oggi previsti dalla normativa in vigore (µg/Kg 0,01). Nella "zona B" la concentrazione massima era di 0,39 µg/Kg mentre in alcuni punti attorno alla Caffaro, come detto, si supera il limite fissato per il PCB anche di 6.000 volte. Per di più, a Seveso, l'inquinamento acuto interessò alcune centinaia di persone (736 cittadini) mentre la "zona a pera" che si estende a Sud della Caffaro è abitata da migliaia di persone.

    Per meglio esprimere l'ordine di grandezza dell'inquinamento, operiamo un confronto tra la "zona A" di Seveso (la più inquinata) e quella bresciana a forma di pera, applicando, con l'approssimazione di seguito precisata, il fattore di tossicità equivalente (TEF, vedi note 4 e 5 nella tabella n. 3).
    Come noto, i PCB sono una famiglia di composti chimici (teoricamente 209). Una categoria di questi, in particolare, induce una serie di effetti tossicologici simili a quelli delle diossine. Per tali composti è stato individuato un fattore di tossicità equivalente, riferito alla 2,3,7,8 TCDD, cioè alla diossina più tossica, che varia secondo una proporzione compresa tra un minimo di 1: 10.000 e un massimo di 1: 10. Questo significa che alcune forme chimiche di PCB possiedono una tossicità solo 10 volte inferiore a quella della 2,3,7,8 TCDD.

    In assenza di informazioni disponibili sui congeneri diossina-simili dei PCB in questione, l'approssimazione operata consiste nell'assumere come verosimile il rapporto intermedio di 1: 100.
    Attraverso questa inferenza è possibile stimare nei terreni della "pera bresciana" una concentrazione di diossine o PCB (espressi come TE) sostanzialmente simile o addirittura più alta di quella rilevata nella "zona A" di Seveso, mentre, considerando il solo inquinamento da diossina, la concentrazione risulta comunque superiore alla "zona B" di Seveso. La tabella di comparazione 3 è integrata con alcuni dati più recenti di fonte ARPA, esplicativi di quanto comunque appariva già evidente.5

    Va ricordato che a Seveso la nube tossica investì direttamente le persone provocando casi di cloracne, ma fu valutato anche l'inquinamento al suolo determinato dalla diossina che si era depositata. A ciò si procedette ad alcuni giorni di distanza dall'evento incidentale, delimitando la cosiddetta "zona A", dove il rischio per la popolazione fu ritenuto non accettabile. Tanto che questa area venne evacuata e successivamente bonificata.

    A Brescia, invece, l'inquinamento dei terreni veicolato verso Sud dall'acqua, ma anche sicuramente dall'aria, si è realizzato in un lungo intervallo di tempo.
    Il "Piano di caratterizzazione" del sito su cui sorgono gli impianti della Caffaro, effettuato dalla stessa azienda tra la fine del 2000 e l'inizio del 2001, mostra un gravissimo inquinamento del sottosuolo.6 Decine di sostanze tossiche sono state ricercate con 55 carotaggi effettuati a profondità comprese fra i 10 e i 40 metri; 7 hanno raggiunto gli 80 metri e sono stati attrezzati a piezometro di controllo della falda sotterranea. E' emersa la presenza di elevatissime concentrazioni di arsenico, mercurio, solventi clorurati, PCB e altri composti di questa natura, mentre non sono state ricercate le diossine, la cui presenza è peraltro altamente probabile per il fatto che esse si generano come inevitabile reazione parassita nei processi chimici di sintesi dei PCB, anche a prescindere da eventi incidentali.

    E se a Seveso l'inquinamento ha coinvolto l'aria, a Brescia ha interessato, almeno nei lustri più recenti, la falda acquifera attraverso la quale si è diffuso in una vasta area di perimetrazione ancora incerta (vedi tabella 5).

    La plausibilità del paragone con l'inquinamento di Seveso
    Tenendo conto della superficie del reparto in cui si producevano PCB e delle concentrazioni presenti anche in profondità (C26C), si può approssimativamente stimare in oltre 100 le tonnellate di PCB disperse in un terreno sabbioso assolutamente permeabile, dove la penetrazione è stata favorita dal concomitante ed esteso inquinamento da solventi clorurati che hanno funzionato da veicolanti. Lo stesso si può dire per arsenico, mercurio e tetracloruro di carbonio, per citare solo i contaminanti più rappresentati.
    Inoltre, se nella stima dell'inquinamento del terreno sottostante si assumesse lo stesso rapporto tra le concentrazioni di diossine e PCB riscontrato a Sud della "zona pera" (1: 30.000), anche limitando il calcolo al solo perimetro dello stabilimento Caffaro, la quantità assoluta di diossina sarebbe dell'ordine dei chilogrammi, mentre a Seveso è stata dell'ordine degli ettogrammi.
    La plausibilità del paragone con Seveso, che eventualmente sembra sottostimare, in termini di impatto ambientale complessivo, la gravità dell'inquinamento della "pera bresciana", si fonda sinteticamente sul seguente "decalogo concettuale": sui seguenti punti

    1. stima del rapporto PCB/diossina 1: 30.000 assunto come rappresentativo nel terreno;
    2. caratteristiche geologiche del sito che conferiscono al terreno una permeabilità particolarmente elevata;
    3. ordine di grandezza della quantità assoluta di PCB stimabile in tonnellate mentre quella della diossina in chilogrammi, anche limitandosi al terreno sottostante il perimetro dello stabilimento;
    4. inquinamento da PCB della falda acquifera;
    5. reimmissione nelle rogge di superficie dell'acqua inquinata estratta dalla falda utilizzata negli impianti ancora in funzione;
    6. probabilità di ingresso dei PCB nella catena alimentare particolarmente elevato per inquinamento di terreni coltivati a foraggi e ortaggi;
    7. probabile presenza di discariche di rifiuti contenenti PCB e Diossine anche in "zona pera", oltre che in altri siti limitrofi, come già accertato;
    8. lungo periodo di esposizione della popolazione;
    9. numerosità della popolazione bresciana esposta a sostanze dioxin-like superiore di un ordine di grandezza rispetto a quella coinvolta nell'incidente di Seveso;
    10. esposizione contestuale ad altri cancerogeni.

    PCB e rischio cancerogeno
    L'EPA ha ripreso nel 2001 il tema del rischio cancerogeno delle diossine e dei PCB, ha aggiornato una precedente valutazione del 1996 giungendo a stimare, in accordo anche con gruppi di ricerca europei, che un rischio per l'uomo da esposizione a composti dioxin-like può manifestarsi per concentrazioni > 1-4 pg / kg di peso corporeo.7
    Va ancora ricordato che l'equipollenza tra PCB e diossine si fonda non solo su studi di natura tossicologica, che hanno accertato la condivisione di uno stesso meccanismo d'azione, ma anche su evidenze epidemiologiche.
    Infatti, studi epidemiologici analitici condotti su esposti a diossina e PCB mostrano che il concetto di tossicità equivalente elaborato a livello sperimentale trova un riscontro epidemiologico nella capacità di produrre eccessi statisticamente significativi di linfomi non Hodgkin (LNH) in soggetti esposti all'uno o all'altro di questi analoghi molecolari anche in concentrazioni che si approssimano all'ordine di grandezza delle esposizioni di origine ambientale.8-10 In definitiva, i LNH appaiono come una sorta di "effetto-ponte" che esalta la somiglianza delle cause. Sulla base di queste considerazioni, la distanza che ancora separa nell'uomo l'evidenza di cancerogenicità "sufficiente" della diossina da quella "altamente probabile" dei PCB si riduce ulteriormente, giustificando comunque al massimo grado l'adozione del "principio di precauzione" in sanità pubblica, già da tempo assunto dalla stessa Unione Europea,11 per cui si considera vera l'ipotesi più preoccupante.

    L'incidenza dei tumori a Brescia
    Se i dati fin qui riportati, pur nello loro gravità, sono il risultato di indagini molto parziali (soprattutto per le diossine), del tutto assenti sono le conoscenze sui danni alla salute provocati da questa secolare storia di inquinamento. Assenza determinata dall'esclusione di questo tema da ogni ipotesi di ricerca o di vigilanza. Eppure, l'anomala incidenza di tumori che si registra a Brescia, sia per quanto riguarda il totale dei tumori maligni sia per alcune sedi tumorali che costituiscono noti organi bersaglio dei cancerogeni prodotti dalla Caffaro e presenti in concentrazioni elevate nelle matrici ambientali, avrebbe dovuto suggerire di avviare studi in questa direzione.
    Il confronto dei dati del Registro Tumori territoriale bresciano - che negli anni 1994-95 ha coperto la città Brescia e 33 comuni del suo hinterland per una popolazione complessiva di 387.000 abitanti (ex USSL 18) -con i dati degli altri registri tumori italiani colloca Brescia al vertice dei tassi di incidenza. Il primato riguarda sia le singole sedi, sia il totale dei tumori. I tassi più alti si registrano per il tumore del fegato sia nei maschi sia nelle femmine (vedi tabella 6).

    Le prime conferme del grave inquinamento dioxin-like
    I primi dati divulgati dalla ASL di Brescia sull'inquinamento misurato nelle matrici biologiche dimostrano che i PCB sono ampiamente entrati nella catena alimentare. Livelli elevati di alcuni congeneri di PCB sono stati trovati in verdure, uova e latte prodotto da aziende agricole ubicate nella "zona a pera".
    La ricerca di 7 congeneri di PCB, effettuata secondo l'approccio indicato dall'Istituto superiore di sanità12 e utilizzati come traccianti della contaminazione di diossine ha fornito i risultati riportati in tabella 7.

    Per rendere più facilmente comprensibile l'ordine di grandezza dell'inquinamento, assumiamo come termine di paragone le quantità di PCB misurate in analoghe matrici a seguito dell'incidente avvenuto in Belgio nel gennaio 1999, che comportò la contaminazione di mangimi per animali con 50 kg di PCB e un stima di 1g di diossina.13
    Sono state trovate le seguenti concentrazioni di PCB (7 congeneri):
    Concentrazione di PCBmisurata in nanogrammi per grammo di grasso
    latte 34,2 DS = 30,5
    uova 392,7 DS = 2.883,5
    galline 240,7DS = 2.036,9
    DS = deviazione strandard

    Altri dati di un'analoga ricerca condotta dall'ASL di Brescia nell'ottobre 2001 sul sangue di alcuni soggetti residenti, secondo criteri di campionamento non resi????, sono rappresentati in (tabella 8)

    Risultati di ulteriori indagini più recenti sono stati divulgati dalla ASL di Brescia in una conferenza stampa del febbraio 2002.
    A solo scopo di una migliore rappresentazione formale dei dati, si costruisce una tabella deducendo il numero dei soggetti di controllo, cioè residenti all'esterno della "zona pera", la cui concentrazione di PCB nel sangue (ng/ml) si colloca proprio nel range dei valori più bassi, dal totale dei soggetti complessivamente esaminati, nonché dal numero dei soggetti residenti in "zona pera" dei quali si afferma che la loro distribuzione ricade pressoché interamente in range più elevati di concentrazione di PCB. Non è stata resa nota la disaggregazione dei soggetti per le principali variabili di interesse (georeferenziazione, periodo di residenza eccetera).

    Le analisi, rese pubbliche nel gennaio 2002, relative alle diossine e ai congeneri di PCB dioxin-like misurati nel campione di latte, aggiungono ancora una novità di rilievo. I livelli complessivi di tossicità equivalente sono elevatissimi: 53 TE pg/gr che si aggiungono ai 9 TE pg/gr dovuti alle sole diossine. Va ricordato che l'Organizzazione mondiale della sanità nel 1998 raccomandava il limite di dose massima di assunzione giornaliera di PCB dioxin-like e diossine pari a 1 TE pg per kg di peso corporeo (cfr Istituto superiore di sanità, 1 luglio 1999).
    Concedendo una esemplificazione, ciò significa che i residenti in "zona pera" superano questo limite ingerendo pochissimi millilitri di latte contaminato al giorno.

    Sempre nel gennaio 2002 sono stati resi pubblici i certificati dell'acqua di falda e di punti rete dell'acquedotto a Sud della Caffaro.
    In diversi pozzi, i PCB si trovano sotto il livello di rilevabilità dello strumento, ma risultano particolarmente inquinati da cloroformio, tetracloruro di carbonio, tricloroetilene e tetracloroetilene rispetto ai limiti previsti dal DM 471/99. In alcuni casi questi inquinanti campionati nei pozzi dell'acqua potabile raggiungono concentrazioni sovrapponibili o addirittura superiori a quelle misurate nelle acque di falda inquinate del sito industriale Caffaro.
    Gli stessi composti organoclorurati sono stati rilevati anche in alcuni punti della rete dell'acquedotto in concentrazioni paradossalmente accettabili per la normativa delle acque potabili (DPR 236/88), ma non ammissibili dal citato Dlgs 471/99 per le acque di falda, cioè per quelle non necessariamente destinate all'utilizzo domestico. E' auspicabile che la necessaria armonizzazione della normativa si orienti in direzione garantista per la salute.

    La riflessione
    Ci chiediamo come possa essere accaduto tutto questo nel e silenzio nella più assoluta indifferenza anche della stessa comunità scientifica che in Lombardia ha dovuto far fronte all'incidente di Seveso, accumulando esperienza e conoscenza da quella tragedia. E questo in una città come Brescia dove una fabbrica in pieno centro cittadino ha prodotto quantità enormi di PCB.
    Proprio l'indifferenza della comunità scientifica che assurge a una scelta di campo, mai enunciata ma sempre agita, fa cogliere nella vicenda un "disvalore aggiunto" non riducibile a quella aprioristica prudenza minimizzante che così spesso caratterizza l'atteggiamento della pubblica amministrazione di fronte a sciagure di ogni sorta. Le coordinate di questa scelta di campo meritano quindi di essere puntualizzate con un altro decalogo nella loro scansione temporale, perché non rappresentano dei meri accidenti, quanto piuttosto dei momenti strutturali del contesto ambientale che ha ospitato questa vicenda di sanità pubblica.
    I punti del decalogo sono accompagnati da espressioni emblematiche, proferite da alcuni "autorevoli" membri del "comitato tecnico scientifico" istituito ad hoc presso la ASL di Brescia, in cui siedono anche rappresentanti della richiamata comunità scientifica. Si tratta di affermazioni secche, quindi prive di contesto significante, riportate da TV o quotidiani in risposta a puntuali sollecitazioni loro rivolte da giornalisti che intendevano sottoporre a contraddittorio le nostre valutazioni.16

    1. Presenza di una fonte inquinante storicamente nota, anche per diretta esperienza di tutti gli attori in campo (alcuni dei quali siedono oggi nel sopra citato comitato tecnico scientifico), che sarebbe finita sepolta sotto le colate di cemento del piano di sviluppo urbanistico della città, se non fossero sopraggiunti imprevisti elementi esterni;
    2. inerzia nell'attuazione di provvedimenti preventivi, a partire almeno dal 1981, anno in cui si verificò un grave incidente al distillatore di PCB, che si surriscaldò fino al punto di fusione con uscita di una nube tossica contenente oltre ai PCB quasi certamente anche diossine (per effetto dell'alta temperatura) e che investì 3 operai disperdendosi poi nell'ambiente esterno, dove a pochi metri di distanza era ubicata una scuola elementare. Tuttavia questi inquinanti, ormai noti almeno dopo l'incidente di Seveso, non risultano essere mai stati ricercati, nonostante l'Istituto di medicina del lavoro dell'Università di Verona svolgesse all'epoca attività di consulenza per conto della stessa azienda Caffaro;
    3. assenza di ogni valutazione epidemiologica degli stessi lavoratori e della popolazione generale esposta per un secolo a una lunga serie di cancerogeni (… Non ci risulta abbiano sviluppato, almeno per quello che conosciamo noi, patologie particolari. Comunque li manderemo a chiamare);
    4. sottovalutazione del rischio indiretta attraverso una critica rivolta all'eccessivo garantismo dei valori di soglia, che per altro proprio l'ARPA bresciana ha proposto recentemente di innalzare (… Con tutta la dispersione di PCB che si è verificata negli anni passati tutti ne abbiamo almeno 10 microgrammi per litro nel sangue);
    5. enfatizzazione dell'incertezza scientifica sul grado di evidenza della cancerogenicità dei PCB, anche per un inadeguato aggiornamento delle conoscenze specifiche (…sui rischi che il PCB comporta a lungo termine è la stessa ricerca scientifica a non avere una risposta certa…, …pur essendo cancerogeni e fetotossici nei topi, studi su aree contaminate e sui lavoratori esposti non hanno individuato eccessi di tumore);
    6. incremento forzoso della distanza tossicologica tra diossine e PCB, sui quali, gettata nell'oblio ogni definizione di composti dioxin-like, si concentra tutta l'attenzione (…non è possibile affermare da un punto di vista scientifico che il PCB sia una diossina.);
    7. utilizzo consolatorio del concetto di probabilità verso la popolazione esposta (…avere PCB nel sangue non significa essere intossicati o essere ammalati…. noi siamo tenuti a parlare di malattia o di intossicazione quando accanto alla elevazione di PCB nel sangue compaiono anche evidenze di carattere clinico o di carattere metabolico che si dimostrano con gli esami);
    8. avvicinamento surrettizio tra inquinamento puntuale e inquinamento di fondo al quale partecipano molteplici e indefinibili fonti di rischio (…Più tumori ma in tutto il bresciano);
    9. riferimento alla sola attività di ricerca che esalta il rischio attribuibile a comportamenti individuali (alcol, tabacco, epatite) e ignora quello di origine ambientale dove le responsabilità sociali sono prevalenti (…il consumo di alcol e i virus dell'epatite C sono invece le cause del 90% dei tumori al fegato);
    10. inadeguatezza tecnica delle istituzioni pubbliche lombarde nell'analizzare e valutare il rischio ambientale per porre in atto le più elementari e urgenti misure di messa in sicurezza della fonte inquinante. Sorprende, al proposito, che la Regione Lombardia non disponga di un carotatore per raggiungere profondità superiori al metro, di una adeguata strategia di campionamento, nonché di strumenti analitici capaci di rilevare concentrazioni di PCB nell'acquedotto municipale al di sotto dei limiti di legge.
    Nonostante tutto ciò, si rivolgono alla popolazione contraddittori messaggi tranquillizzanti. (…l'area giochi dei bambini è sicura ma deve essere bonificata).

    Molto si è scritto sul gap temporale esistente tra disponibilità delle conoscenze scientifiche sul potere cancerogeno di diverse sostanze e introduzione di misure legislative appropriate. E' il caso, per esmpio, delle amine aromatiche, per le quali, tra l'iniziale osservazione di tumore vescicale e la prima legge nel Regno Unito per la prevenzione dell'esposizione dei lavoratori sono passati ben 74 anni. E altrettanto emblematici sono i casi dell'amianto e del fumo di tabacco (quest'ultimo ancor più eclatante dopo la pubblicazione del libro dello storico della scienza R Proctor sulle campagne hitleriane contro il fumo).17
    Meno invece si è scritto sull'altro gap temporale, cioè quello collocato più a valle, tra introduzione di misure legislative e verifica della loro effettiva applicazione, che rischia di sopravanzare il primo con effetti altrettanto drammatici sulla tutela della salute e dell'ambiente.
    In particolare, esiste in Italia una continuità storica inquietante tra Stato post-risorgimentale, Stato fascista, Stato repubblicano e Stato della Unione Europea, per cui all'enunciazione di grandi princìpi, che si sono tradotti anche in una legislazione molto avanzata in materia di sanità pubblica, segue poi la loro sistematica neutralizzazione, attraverso una prassi istituzionale gattopardesca che espelle dal mondo reale leggi, norme, regolamenti e quant'altro possa garantire l'effettività della prevenzione.
    Un invito quindi a occuparsi e a preoccuparsi anche di quanto accade "a valle" di ciò che dovrebbe apparire pacifico (ma non è).

    Oltre Brescia
    Crediamo utile concludere aprendo l'orizzonte a quanto sta accadendo negli Stati Uniti proprio in questi mesi e più precisamente nella cittadina di Anniston in Alabama. Ne dà notizia in prima pagina il Washington Post del primo gennaio 2002. L'autorevole quotidiano ha pubblicato una lunga inchiesta su un caso analogo a quello bresciano. Nel mirino si trova proprio la consorella maggiore americana della Caffaro, la Monsanto, concessionaria del brevetto alla Caffaro negli anni trenta. Questa fabbrica chimica ha prodotto PCB per gli Stati Uniti dal 1929 al 1971 in una cittadina che per densità di popolazione, assetto idrogeologico e struttura economica richiama in modo sorprendente la situazione della "pera bresciana". Anch'essa ha consegnato al territorio la stessa pesante eredità, che si è manifestata nei medesimi problemi di contaminazione delle acque, della catena alimentare e della popolazione. Il 7 gennaio tutta la comunità inquinata di Anniston ha intentato un processo di portata storica contro la Monsanto. Il confronto tra gli esiti delle rispettive vicende sarà senz'altro interessante.

    Celestino Panizza
    medico del lavoro, Brescia
    Paolo Ricci
    medico del lavoro, Mantova
    Conflitti di interesse: nessuno

    Note e bibliografia:

    Per l'attenzione prestata alla complessa vicenda ambientale, si ringrazia il Procuratore Capo della Repubblica di Brescia, dottor Giancarlo Tarquini, insieme a tutti i suoi collaboratori.
    Per la disponibilità accordata alla divulgazione delle tematiche relative alla salute pubblica e all'ambiente, si ringraziano i giornalisti Carlo Bonini e Giammaria Bellu, e il loro quotidiano "la Repubblica", insieme ai colleghi delle testate radiotelevisive che hanno ripreso e approfondito la notizia.
    Per le rigorose osservazioni e i puntuali suggerimenti, si ringrazia infine l'amico professor Marino Ruzzenenti che, oltre a essere autore del libro Un secolo di cloro e PCB edito dalla Jaca Book di Milano, è anche coordinatore del comitato scientifico indipendente del Comitato popolare contro l'inquinamento "zona Caffaro", impegnato in una dura battaglia per la salute, la democrazia e la giustizia.

    1. Kurastume M, Nakamura Y, Ikeda M & Hirohata T. Analysis of death seen among patients with Yusho (abstract). In: Dioxin 86. Proceeding of the VI International Symposium on Chlorinated Dioxin and Related Compounds. Fukuoka, Japan 1986.
    2. Mocarelli P, Gerthoux PM, Ferrari E, Patterson DG Jr, Kieszak SM, Brambilla P, Vincoli N, Signorini S, Tramacere P, Carreri V, Sampson EJ, Turner WE, Needham LL. Paternal concentrations of dioxin and sex ratio of offspring. Lancet 2000; 355: 1858-63.
    3. Terracini B, Cancro professionale cutaneo: numeratori, denominatori e inferenza causale. In: A Grieco, PA Bertazzi (a cura di) Per una storiografia italiana della prevenzione occupazionale e ambientale, Franco Angeli, Milano 1997.
    4. Ministero dell'Ambiente, DM 25 ottobre 1999, n. 471. Regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'art 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni e integrazioni.
    5. Rapporto ARPA, febbraio 2002. Piano di integrazione e approfondimento delle indagini sullo stato del suolo, sottosuolo, falde idriche e acque superficiali nella porzione Sud occidentale del Comune di Brescia in un intorno significativo dello Stabilimento Caffaro SpA
    6. G. Gavagnin, Caffaro SpA - stabilimento di Brescia. Piano di investigazione iniziale ai sensi del DM 471/99 - Relazione descrittiva finale, tomo 1, luglio 2001, Allegato 4 Suolo - Tabulazione delle analisi rispetto il DM 471/99.
    7. EPA: http://www.epa.gov/ncea/pdfs/dioxin/final.pdf
    8. Larebeke N, et al. The Nergian PCB and Dioxin incident of January-June 1999: exposure data and potential impact on health. Environ Helath Perspect 2001; 109 (3): 265-73.
    9. Nordstrom M. et al. Concentrations of organochlorines related to titers to Epstein-Barr virus early antigen IgG as risk factors for hairy cell leukemia. Environ Health Perspect 2000 May; 108 (5): 441.
    10. Rothman N. et al. A nested case-control study of non-Hodgkin lymphoma and serum organochlorine residues. Lancet 1997; 350: 240-04.
    11. The Fifth European Community Programme of Action in relation to the Environment and Sustainable Development, European Commission, Bruxelles, 1994.
    12. Rif.: ISS-XEN-99-4 - Versione 1.7.1999.
    13. Steenland K. et al. Risk Assessment for 2,3,7,8-Tetrachlorodibenzo-p-Dioxin (TCDD) based on an Epidemiologic Study. Am J Epidemiol. 2001; 154 (5): 451-58.
    14. Cfr Agency for Toxic Substances and Disease Registry. Toxicological profile for polychlorinated biphenyls. Draft for Public Comment. Atlanta: US Department of Health and Human Services, Public Health Service, December 1999.
    15. Cfr Toxicological Profile for Polychlorinated Biphenyls (PCBs). US Department of Health and Human Services. Agency for Toxic Substances and Disease Registry. November 2000.
    16. Citazioni riportate dai media (ordinate per autore): Bresciaoggi 7 novembre 2001; Bresciaoggi 12 ottobre 2001; Giornale di Brescia 31 ottobre 2001; Tg3 Lombardia 28 novembre 2001 ore 19.30; Giornale di Brescia 29 novembre 2001; Bresciaoggi 29 novembre 2001; Bresciaoggi 15 agosto 2001; Giornale di Brescia 31 ottobre 2001; Tg3 Lombardia 14 novembre 2001 ore 20.30; Tg3 Lombardia 16 novembre 2001 ore 20.30.
    17. Proctor RN, La guerra di Hitler al cancro, Cortina Ed. 2000.


    http://www.comitatodifesaterritorio....a-delliceberg/


    Brescia - Diossina, è la punta dell’iceberg

    martedì 18 dicembre 2007

    La parola d’ordine è, come al solito in questi casi, quella di minimizzare, tranquillizzare e gettare acqua sul fuoco. Le autorità non vogliono che i cittadini di Brescia si spaventino e smettano di comprare frutta, verdura e latte dalle aziende agricole che circondano il centro urbano. Non vogliono neppure che smettano di acquistare fiduciosi i prodotti della Centrale del latte, azienda controllata dal municipio che, dopo alcune costose scelte di marketing degli anni passati (la linea di negozi, l’impianto per il latte microfiltrato, eccetera), non può certo permettersi di perdere il feeling con i consumatori della città in cui gioca in casa.
    Ma guardiamo i dati ufficiali che filtrano dalla comprensibile cortina di riserbo che copre in parte questa vicenda. Tre aziende agricole, tra cui la mitica Pastori di viale Bornata (le altre due sono a Flero e al villaggio Violino), si sono viste respingere il latte dalla Centrale per eccesso di diossine e dal 7 dicembre (visto che le incolpevoli 150 vacche coinvolte vanno comunque munte ogni giorno) portano il prezioso liquido alla distruzione (leggi la notizia). Altre sette aziende agricole dell’hinterland Sud tra San Zeno e Roncadelle sono sotto stretta osservazione, perché nel loro latte s’è trovata diossina, anche se non in quantità vietate dalla legge.
    Ringraziamo la legge, che ci permette di bere un po’ di diossina con il latte e di mangiarla con gli ortaggi, le carni e il pesce, ma non troppa. Un po’ di veleno va bene, ma a patto di non esagerare.
    Il limite alla presenza di pcb e diossine nel latte è fissato in 6 picogrammi (miliardesimi di milligrammo) per millilitro, mentre quello trovato nel prodotto sequestrato era tra i 6,2 e i 6,5 picogrammi per millilitro.
    Intanto, altro dato ufficiale, della vicenda è stata informata la Procura della Repubblica di Brescia, e l’Asl sta compiendo analisi anche sullo yogurt e il mascarpone prodotti con il latte della Centrale cittadina. Si aspetta giovedì, quando dall’Istituto zooprofilattico arriveranno i risultati di analisi più approfondite.
    Ma c’è davvero bisogno di aspettare per sapere quello che è sotto gli occhi di tutti? La diossina si forma in ogni combustione in cui è presente anche cloro (per esempio bruciare la plastica, fondere metalli con vernici e così via) ed è una sostanza molto stabile: ci vogliono decine di anni perchè scompaia dai terreni contaminati. Nel tessuto adiposo della gente, poi, rimane per sempre. Dalle ciminiere passa al terreno, da qui all’erba, dal foraggio al grasso delle mucche e al loro latte, dagli animali arriva all’uomo.
    La sua caratteristica peggiore è che ad ogni passaggio della catena alimentare si concentra sempre di più. La diossina, riconosciuta come elemento cancrogeno dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul cancro, è quindi intorno e dentro di noi. Perfino, come è provato, nel latte materno.
    Guardiamoci attorno, lasciando pure perdere l’area a sud della Caffaro dove il Pcb scorre letteralmente a fiumi, e contiamo le decine di ciminiere che circondano Brescia. Dispiace per gli incolpevoli allevatori dell’hinterland, dispiace per i bilanci della Centrale del latte, ma non c’è bisogno di aspettare altre analisi per capire che evidentemente esiste un enorme problema di qualità dell’approvvigionamento, dovuto alla degenerazione dell’ambiente della nostra città assediata dai veleni.
    Che cosa fare allora? Poco, ma qualcosa è possibile: prima di tutto aumentare i controlli. Essendo Brescia evidentemente una zona a rischio, siamo in piena emergenza ambientale. L’Arpa, l’azienda regionale alla quale sono demandate le verifiche, dovrebbe incrementare il numero delle centraline di monitoraggio ed effettuare controlli a sorpresa. Stesso discorso per gli alimenti da parte dell’Asl.
    E poi bisogna usare tutti gli strumenti previsti dalla legge per reprimere e colpire gli inquinatori. Anche quando sono in gioco i posti di lavoro, perché la salute pubblica deve venire prima di tutto.

    Fonte: www.quiBrescia.it

  7. #7
    emiro omofobo meridionale
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    http://www.grimmo.it/2008/07/07/perc...-dire-fiducia/


    perché Galbani vuol dire fiducia..


    CREMONA - Nel formaggio avariato e putrefatto c’era di tutto. Vermi, escrementi di topi, residui di plastica tritata, pezzi di ferro. Muffe, inchiostro. Era merce che doveva essere smaltita, destinata ad uso zootecnico. E invece i banditi della tavola la riciclavano. La lavoravano come prodotto “buono”, di prima qualità.

    Quegli scarti, nella filiera della contraffazione, (ri) diventavano fette per toast, formaggio fuso, formaggio grattugiato, mozzarelle, provola, stracchino, gorgonzola. Materia “genuina” - nelle celle frigorifere c’erano fettine datate 1980! - ripulita, mischiata e pronta per le nostre tavole. Venduta in Italia e in Europa. In alcuni casi, rivenduta a quelle stesse aziende - multinazionali, marchi importanti, grosse centrali del latte - che anziché smaltire regolarmente i prodotti ormai immangiabili li piazzavano, - senza spendere un centesimo ma guadagnandoci - a quattro imprese con sede a Cremona, Novara, Biella e Woringen (Germania).

    Tutte riconducibili a un imprenditore siciliano. Era lui il punto di riferimento di marchi come: Galbani, Granarolo, Cademartori, Brescialat, Medeghini, Igor, Centrale del Latte di Firenze. E ancora: Frescolat, Euroformaggi, Mauri, Prealpi, e altre multinazionali europee, in particolare austriache, tedesche e inglesi. E’ quello che si legge nell’ordinanza del pm cremonese Francesco Messina. Un giro da decine di milioni di euro. Una bomba ecologica per la salute dei consumatori.

    Le indagini - ancora aperte - iniziano due anni fa. A novembre del 2006 gli uomini della Guardia di Finanza di Cremona fermano un tir a Castelleone: dal cassone esce un odore nauseabondo. C’è del formaggio semilavorato, in evidente stato di putrefazione. Il carico è partito dalla Tradel di Casalbuttano ed è diretto alla Megal di Vicolungo (Novara).

    Le due aziende sono di Domenico Russo, 46 anni, originario di Partinico e residente a Oleggio. E’ lui l’uomo chiave attorno al quale ruota l’inchiesta. E’ lui il dominus di una triangolazione che comprende, oltre a Tradel e Megal, un terzo stabilimento con sede a Massazza, Biella, e una filiale tedesca. Tradel raccoglie, sconfeziona e inizia la lavorazione. Megal miscela e confeziona. A Casalbuttano i finanzieri trovano roba che a vederla fa venire i conati. Prodotti caseari coperti da muffe, scaduti, decomposti e, peggio ancora, con tracce di escrementi di roditori. Ci sono residui - visibili a occhio nudo - degli involucri degli imballi macinati. Dunque plastica. Persino schegge di ferro fuoriuscite dai macchinari. La vera specialità della azienda è il “recupero” di mozzarelle ritirate dal mercato e stoccate per settimane sulle ribalte delle ditte fornitrici, di croste di gorgonzola, di sottilette composte con burro adulterato, di formaggi provenienti da black out elettrici di un anno prima. “Una cosa disgustosa - racconta Mauro Santonastaso, comandante delle fiamme gialle di Cremona -. Ancor più disgustoso - aggiunge il capitano Agostino Brigante - , è il sistema commerciale che abbiamo scoperto”.

    Non possono ancora immaginare, gli investigatori, che quello stabilimento dove si miscela prodotto avariato con altro prodotto pronto è lo snodo di una vera e propria filiera europea del riciclaggio. Mettono sotto controllo i telefoni. Scoprono che i pirati della contraffazione sono “coperti” dal servizio di prevenzione veterinaria dell’Asl di Cremona (omessa vigilanza, ispezioni preannunciate; denunciati e sospesi il direttore, Riccardo Crotti, e due tecnici).

    Dalle intercettazioni emerge la totale assenza di scrupoli da parte degli indagati: “La merce che stiamo lavorando, come tu sai, è totalmente scaduta… “, dice Luciano Bosio, il responsabile dello stabilimento della Tradel, al suo capo (Domenico Russo). Che gli risponde: “Saranno cazzi suoi… ” (delle aziende fornitrici, in questo caso Brescialat e Centrale del Latte di Firenze, ndr). Il formaggio comprato e messo in lavorazione è definito - senza mezzi termini - “merda”. Ma non importa, “… perché se la merce ha dei difetti. .. io poi aggiusto, pulisco, metto a posto… questo rimane un discorso fra me e te… ” (Russo a un imprenditore campano, si tratta la vendita di sottilette “scadute un anno e mezzo prima”). Nell’ordinanza (decine le persone indagate e denunciate: rappresentanti legali, responsabili degli stabilimenti, impiegati, altre se ne aggiungeranno presto) compaiono i nomi delle aziende per le quali il pm Francesco Messina configura “precise responsabilità”.

    Perché, “a vario titolo e al fine di trarre un ingiusto profitto patrimoniale, hanno concorso nella adulterazione e nella contraffazione di sostanze alimentari lattiero-casearie rendendole pericolose per la salute pubblica”. Il marchio maggiormente coinvolto - spiegano gli investigatori - è Galbani, controllato dal gruppo Lactalis Italia che controlla anche Big srl. “Sono loro i principali fornitori della Tradel. Anche clienti”, si legge nell’ordinanza. Per i magistrati il sistema di riciclaggio della merce si basa proprio sui legami commerciali tra le aziende fornitrici e la Tradel. Con consistenti vantaggi reciproci. Un business enorme: 11 mila tonnellate di merce lavorata in due anni. Finita sugli scaffali dei discount e dei negozi di tutta Europa. Tremila le tonnellate vendute in nero. E gli operai e gli impiegati? Erano consapevoli. Lo hanno messo a verbale. Domanda a un’amministrativa: “Ha mai riferito a qualcuno che la merce era scaduta o con i vermi?”. Risposta: “No, tutti lo sapevano“.

    da Repubblica.it via Pressante





    http://www.grimmo.it/2008/09/05/perc...re-fiducia-ii/


    Perché Galbani(e Granarolo) vuol dire fiducia II

    PIACENZA - Quando gli uomini della Guardia di Finanza trascrivono le intercettazioni, quasi non credono alle loro orecchie. Chi è il rappresentante legale e amministratore unico dell’azienda che ricicla formaggi avariati e scaduti? Semplice, l’ex comandante della stazione dei carabinieri. E chi certifica, passando a bere un caffè, che è tutto a posto, nonostante le celle frigorifere trabocchino di tonnellate di merce con dentro insetti, larve, escrementi e carcasse di topi, muffe, pezzi di plastica? Semplice: il veterinario dell’Asl.
    È talmente disinvolto, il medico, con i banditi della tavola, da “dimenticarsi” i timbri dell’Asl di Piacenza - dov’è tuttora tranquillamente in servizio - in un cassetto della scrivania, nell’ufficio contabilità del caseificio. E così da controllore è diventato controllato. C’è anche lui nel fascicolo con cui la Procura piacentina (pm Antonio Colonna) scrive ora una nuova e ricca pagina nell’inchiesta sui formaggi avariati avviata due anni fa dai colleghi di Cremona (pm Francesco Messina).

    Lo scenario ricostruito dagli investigatori è inquietante. Decine di tonnellate di scarti di formaggio piene di schifezze ritirate da grosse aziende (Granarolo, Ferrari Giovanni industria casearia, Zanetti) e mischiate a prodotto fresco: un sistema collaudato con cui la DELIA, stabilimento a Monticelli D’Ongina, sede legale a Milano in piazza IV Novembre, riesce a piazzare sul mercato italiano e europeo il suo prodotto finito. Che vuol dire soprattutto: formaggio grattugiato. Come? Vendendolo a aziende che lo confezionano in buste a marchio “Galbani”, “Ferrari”, “Medeghini”, solo per citarne alcuni. O direttamente al cliente finale, come nel caso di “Biraghi” o “Prealpi”.

    Il giro è enorme, e abbraccia mezza Europa (Spagna, Austria, Germania, Francia, Belgio). Una ventina di milioni di euro il volume d’affari della società, collegata a altre tre aziende di cui due con sede a Barcellona (Compinque S. L. e Quederlac S). Sono tutte riconducibili a Alberto Aiani, cinquantatreenne di Casalbuttano. Il paese in provincia di Cremona dove l’ex ufficiale dell’Arma Francesco Marinosci, pugliese di Francavilla, cremonese d’adozione, - prima di darsi al formaggio e diventare socio di Aiani nella DELIA - dirigeva la stazione dei carabinieri. Ieri usava l’utilitaria in dotazione, guadagnava un moderato stipendio. Oggi gira in Jaguar e, si capisce, ha implementato le sue entrate.


    Con Aiani e un’impiegata dell’azienda - per ora sono denunciati - Marinosci dovrà rispondere del reato di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari con rischio di danno per la salute pubblica. Ma c’è dell’altro. Sulle triangolazioni pericolose con cui DELIA acquistava “merda” - termine usato dai truffatori per indicare il prodotto avariato, dalle intercettazioni del primo troncone di inchiesta condotta dalle fiamme gialle guidate dal comandante Mauro Santonastaso - il compito di vigilare, si fa per dire, spettava a un veterinario dell’Asl piacentina: Luciano Dall’Olio (falso e abuso d’ufficio). Il medico non è esattamente un guardiano scrupoloso.

    Di più: alla DELIA in pratica si autocertificano. Con il timbro del competente servizio veterinario. Per ricomporre il quadro che emerge dalle pieghe dell’inchiesta non c’è bisogno di aggiungere molti altri tasselli. Né confortano le “spigolature” venute alla luce nel corso delle indagini (già arrestate quattro persone, sigilli alla Tradel di Casalbuttano, la prima azienda “riciclona” del siciliano Domenico Russo). Per esempio: possibile che il legale di Andrea Chittò, veterinario dell’Asl di Cremona, anche lui accusato di reggere il gioco dei truffatori e sospeso dal servizio, nella memoria difensiva produca la testimonianza del comandante dei Nas di Cremona, Raffaele Marongiu?

    In Procura ormai ne sono convinti: il sistema della truffa del formaggio avariato ha continuato e continua a funzionare grazie alla connivenza-complicità di chi dovrebbe controllare e però si fa chiudere gli occhi. Così la “pattumiera” funziona a pieni giri: ritira roba scaduta e marcita, e la ripulisce sotto forma di formaggio fuso che poi viene fatto raffreddare e venduto in panetti (delimix) alle grosse aziende.
    Il prodotto finisce nelle grattugie. Si ottiene il lavorato finale: il formaggio grattugiato. Non deriva, ovvio, né da parmigiano né da grana padano o da altri formaggi duri fatti direttamente con il latte, ma da un “fuso” insaporito a seconda della percentuale di croste o scarti immessi nella fusione. Eccole, riempite con il prodotto delle due aziende-pirata, le classiche buste di grattugiato che finiscono sulle nostre tavole. “Di aziende come queste c’è pieno - dice un investigatore anti-frode - e i grandi marchi se ne servono abbondantemente. È un sistema di vasi cinesi che va combattuto e stroncato. I ministeri della Salute e dell’Agricoltura, adesso, dovrebbero intervenire pesantemente”.

    Da Repubblica.it

    Abbiamo già parlato di un caso molto simile con il latte.

  8. #8
    emiro omofobo meridionale
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    Predefinito dedicato a chi sostiene che la parmalat non abbia mai messo in commercio prodotti ava

    Questa notizia è vecchia ed ormai aduta nel dimenticatoio, ma siccome recentemente in un'altra discussione un paio di fascioberluschini sostenevano che la parmalat non è mai stata coinvolta in casi di vendita di prodotti adulterati, mi è sembrato doverso ricordarlo che chi ha la memoria corta quando si tratta di ricordare le malefatte dell'industria patana-
    Da notare che in Cina i farabutti che mettono in vendita prodotti alimentari avariati o adulterati rischiano la pena di morte, e nessuno si azzarda a giustificarli, in italia per casi come questi i responsabili non rischiano nulla, anzi trovano una moltitudine di persone a difenderli, in questo caso nelle interviste, quasi tutti i cittadini di parma, che evidentemente ritenevano la morte di un terrone quindicenne, un fatto irrilevante, presero le parti di callisto tanzi


    http://archiviostorico.corriere.it/1...09113403.shtml


    Restano sette i casi accertati, l' Unione europea blocca il prodotto italiano: ispezioni alla Giglio di Reggio Emilia

    " La tossina killer era nel mascarpone "
    Trovato il " veleno " in un altro campione. Accuse dei Verdi alla Bindi. Continuano i sequestri delle confezioni. Sotto inchiesta anche il direttore del Centro antiveleni del Cardarelli

    ------------------------- PUBBLICATO ------------------------------ Restano sette i casi accertati, l' Unione europea blocca il prodotto italiano: ispezioni alla Giglio di Reggio Emilia TITOLO: "La tossina killer era nel mascarpone" Trovato il "veleno" in un altro campione. Accuse dei Verdi alla Bindi Continuano i sequestri delle confezioni Sotto inchiesta anche il direttore del Centro antiveleni del Cardarelli - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - ROMA . L' emergenza ormai e' circoscritta, ma i consumatori non si danno pace. Anche ieri centinaia di telefonate sono arrivate ai centri antiveleni, specie del Centro Sud. Gente che descrive terrorizzata agli esperti sintomi da sindrome botulinica riferendo di aver mangiato del mascarpone sotto forma di tiramisu' o di altri dolci. Ma l' ondata di tossinfezioni pare essersi esaurita. La situazione non ha subito grandi variazioni rispetto alle ultime ore. All' Istituto superiore di Sanita' escludono che il numero dei casi accertati sia ulteriormente salito. Fino a ieri pomeriggio erano ancora sette. La presenza di spore e della tossina e' stata riscontrata nei sieri di quattro pazienti ricoverati a Napoli (e fra essi il giovane deceduto) e di altri tre trasferiti a Catanzaro da Vibo Valentia. Trovate tracce di veleno in una seconda scatola di mascarpone dopo quella consumata dal ragazzo morto a Napoli. "Sono inoltre in corso analisi sui liquidi biologici di tre persone . fa la conta il direttore del laboratorio alimenti dell' Iss, Angelo Stacchini .. Abbiamo poi cominciato a esaminare i campioni prelevati dai Nas nei magazzini della ditta Giglio. Sono confezioni di mascarpone appartenenti allo stesso lotto di quelle risultate inquinate dal bacillo". Da ieri tre ispettori dell' Iss sono a Reggio Emilia presso lo stabilimento Giglio (che raggruppa i marchi Giglio, Sol di Valle, Parmalat, Oro) per cercare di capire quale anello produttivo eventualmente non ha funzionato. Secondo l' amministratore delegato, Luigi Adorni, l' azienda corre seri rischi. Se non sara' possibile riprendere la produzione del mascarpone da lunedi' 12 lavoratori andranno in cassa integrazione. Stacchini non si capacita: "Non ci sono i presupposti per lo sviluppo nei formaggi del botulino che per produrre veleno ha bisogno di assenza di ossigeno e di ambiente poco acido". La Parmalat ha precisato che nessun prodotto e nessun suo rappresentante e' stato coinvolto nelle vicenda e che della Giglio ha il solo controllo finanziario: la societa' di Reggio Emilia ha una propria autonoma attivita' produttiva, gestionale e commerciale. SEQUESTRI . I Nas continuano a rastrellare vaschette di mascarpone a rischio. Ne hanno tolte dal commercio altre 10 mila dopo aver controllato centri di distribuzione, depositi e negozi. Forse e' solo in questi ultimi che qualche confezione puo' essere sfuggita. La situazione e' sotto controllo anche in Europa dopo l' allarme fatto scattare con tempestivita' dalle autorita' italiane. Un esperto dell' Ue si e' recato allo stabilimento Giglio e al termine della visita presentera' una relazione che sara' esaminata dalla commissione veterinaria. INCHIESTE . Fra i personaggi coinvolti nell' indagine aperta dalla magistratura napoletana ci sarebbe anche il direttore del centro antiveleni del capoluogo partenopeo, al Cardarelli. Il medico avrebbe somministrato in ritardo l' antidoto antibotulinico a Nicola Saggiomo, il quattordicenne morto dopo aver assaggiato mascarpone contaminato. Ma Carducci si difende sostenendo che il siero non ha dato efficacia soltanto perche' , quando il giovane e' giunto in rianimazione, la tossinfezione era gia' in stato avanzato. Il corpo del povero Nicola e' stato sottoposto ad autopsia presso la II universita' di Napoli ma ancora non se ne conoscono i risultati. Il rappresentante legale della Giglio e' indagato sempre dalla magistratura napoletana per omicidio colposo. Assieme a lui il responsabile della produzione e il distributore di prodotti Giglio di Pastorano (Caserta). Iniziative anche da parte della procura di Vibo Valentia. Nei guai il negoziante che ha venduto la vaschetta di mascarpone utilizzata per preparare un tiramisu' che ha mandato all' ospedale due giovani fratelli. Nei suoi confronti si ipotizza il reato di lesioni gravi. Ma adesso si aspetta il risultato delle analisi sul formaggio affidate all' Iss. INTERROGAZIONE . Il sospetto di ritardi e omissioni da parte del ministero della Sanita' viene adombrato in un' interrogazione al ministro Rosi Bindi da Alfonso Pecoraro Scanio, presidente della commissione Agricoltura. Il parlamentare vuole sapere se e' vero che a meta' agosto la procura circondariale di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, aveva segnalato ai sanitari di Roma casi riconducibili al botulismo. Pecoraro Scanio accusa: "Oggi l' Italia ha dovuto bloccare l' esportazione di mascarpone di cui e' prima produttrice europea e anche di altri derivati del latte con immaginabili danni economici".

    De Bac Margherita





    http://archiviostorico.corriere.it/1...10153786.shtml


    Corriere della Sera
    Il prodotto contaminato con il botulino uccise un giovane in Campania
    Mascarpone killer, a giudizio i vertici della Giglio


    ----------------------------------------------------------------- Il prodotto contaminato con il botulino uccise un giovane in Campania Mascarpone killer, a giudizio i vertici della Giglio NAPOLI - Sedici persone sono state rinviate a giudizio per i reati di omicidio colposo e lesioni dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), nell'ambito dell'inchiesta sui casi di tossinfezione botulinica verificatisi in Campania e Calabria tra la fine di agosto e l'inizio di settembre del 1996. La tossinfezione causo' la morte di un giovane di 15 anni, Nicola Sagiomo di Parete (Caserta), deceduto dopo aver consumato un tiramisu' confezionato con mascarpone prodotto dalla ditta "Giglio" di Reggio Emilia, e il ricovero in vari ospedali del fratello di Nicola Sagiomo, Gaetano, e di decine di altre persone che avevano ingerito mascarpone contaminato. Al termine della lunga indagine del pm Donato Ceglie - sono decine i testimoni che dovranno comparire davanti al pretore il 26 febbraio prossimo - e' stato chiesto il giudizio per Giovanni Tanzi, legale rappresentate della "Giglio Spa" di Reggio Emilia, per il direttore dello stabilimento, Saturno Ferrari, per l'allora amministratore delegato, Luigi Adorni, nonche' per responsabili della produzione, dei sistemi informativi, del responsabile approvvigionamento latte e per altri dipendenti. A giudizio anche Carlo Catone, concessionario per la Campania di Parmalat e Giglio, e due esercenti di salumerie, Nunzia Ferraro e Elvira Mangiacapra.

  9. #9
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    Citazione Originariamente Scritto da Sheera Visualizza Messaggio
    Blog con commenti cinesi (e traduzione)

    http://globalvoicesonline.org/2008/0...made-in-china/
    Uno di questi commenti:
    Supersaint:
    In China, the government is trying its best to provide for its people. For instance in this case, all the babies that fell ill drinking the milk will be receiving free treatment and the perpetrators will be prosecuted. In sharp contrast, American government kept bailing out the perpetrators who have cheated by using people’s money for this purpose. AIG is in huge turmoil and needs money. The government uses tax payers money to lend out to this company interest free and let the company keeps its profit when everything is settled later. So, the poor American taxpayers will take all the risk if AIG fails in its bid to help itself but gain nothing if it is successful. Not only that, the hard working savers in the bank will be penalize when the central bank keeps its interest rates low to make way for the greedy and debt ridden corporate blood suckers.
    Comunque non ci si può più fidare nemmeno della Food & Drug administration che classifica la melamina come non pericolosa.

  10. #10
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    Predefinito chi si ricorda del vino al metanolo?

    Citazione Originariamente Scritto da Spartaco Visualizza Messaggio
    Da notare che in Cina i farabutti che mettono in vendita prodotti alimentari avariati o adulterati rischiano la pena di morte, e nessuno si azzarda a giustificarli, in italia per casi come questi i responsabili non rischiano nulla

    http://www.altroconsumo.it/alimentaz...po-s100601.htm

    Vino al metanolo: venti anni dopo

    20-03-2006
    Era il marzo 1986 quando diversi ignari consumatori in Lombardia, Piemonte e Liguria rimasero avvelenati dal vino al metanolo. Sono passati ben venti anni dalla prima grande frode alimentare italiana, che causò la morte di 19 persone e la cecità di altre 15. Uno scandalo che mostrò fino a che punto possono arrivare la ricerca del profitto facile e la mancanza di scrupoli a danno della salute: varie aziende vitivinicole, non esitarono a far ricorso al metanolo, un alcol estremamente tossico, per alzare la gradazione alcolica di vini di scarsissima qualità. Le bottiglie incriminate furono poi vendute nei supermercati a consumatori attratti dal basso prezzo. Il triste esito di questa vicenda è stato un lungo processo, in cui si contestarono reati gravissimi, come l'omicidio volontario. Passati i tre gradi di giudizio, processi in cui Altroconsumo si è costituita parte civile, sono arrivate le condanne penali, ma purtroppo non i risarcimenti alle vittime (i colpevoli, infatti, si sono dichiarati falliti). Fino a oggi, infatti, le persone che bevendo il vino adulterato hanno subito un grave danno e i parenti delle vittime - che si sono autocostituiti in un comitato - non solo non hanno ricevuto un soldo dai colpevoli, ma sono stati abbandonati anche dallo Stato, che non ha provveduto a supplire all'insolvenza dei truffatori. Per risolvere la questione del risarcimento, Altroconsumo ha proposto, per ben tre anni di fila ma senza successo, un emendamento alla finanziaria che stanziasse il dovuto, cioè circa 15 miliardi delle vecchie lire: una cifra irrisoria per il bilancio dello Stato, ma che avrebbe definitivamente fatto giustizia. Questa strage ha portato però anche qualcosa di buono, e non soltanto nella produzione di vino, oggi più controllata. Ha infatti accentuato la sensibilità dell'opinione pubblica nei confornti della sicurezza alimentare: i Nas (Nuclei antisofisticazione dei carabinieri), per esempio, sono nati sull'onda di questo scandalo. E ha sollecitato in noi l'idea di chiedere la creazione di un fondo di garanzia per le vittime di frodi alimentari. Un "paracadute" che già esiste in altri settori, per esempio nel turismo, in cui il fondo serve a risarcire i clienti di tour operator scorretti: perché non anche in un ambito delicato come quello alimentare?

 

 
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