Le Olimpiadi del silenzio
• da L'Unità del 31 luglio 2008, pag. 1
di Luca Landò
Più dei diritti poté lo smog. Se non fosse per quei rompiscatole di Amnesty, l’inquietante incognita di queste Olimpiadi sarebbe puramente atmosferica. In effetti, come fai a correre dentro quella nube grigiastra che ti entra nei polmoni passo dopo passo? Come puoi battere il record del mondo quando devi fare i conti con l’asma? Anche il caldo non scherza, signora mia.
Cinquanta gradi sono una faccenda seria, soprattutto quando si ha una certa età: lo sa bene Berlusconi che, in virtù delle sue quasi 72 primavere, ha pensato di dare forfait e spedire all’inaugurazione il giovane Frattini. E l’umidità? Vuoi mettere una maratona con l’igrometro al 90%? Sembra di nuotare, non di correre. Non a caso la federazione australiana ha lasciato libertà di scelta ai propri atleti: se non ve la sentite, ritiratevi pure. E gli astuti inglesi hanno inventato delle lenti a contatto rosse in grado di proteggere gli occhi dalla fuliggine cinese. Sulla Cina tira una brutta aria, in effetti. Ma non è quella di cui parlano copiosamente quotidiani e tv, mostrando foto grigiastre e servizi annebbiati. Sono i rapporti, documentati e inquietanti, che gli ostinati attivisti di Amnesty International (ma anche di Repoters sans Frontières e Human Rights Watch) continuano a diramare, autentica goccia cinese per ricordare al Comitato olimpico e al resto del mondo che c’è qualcosa di più grave dello smog sopra il cielo di Pechino. Lo avevano detto il primo aprile di quest’anno con il dossier «Conto alla rovescia verso le Olimpiadi», lo hanno ripetuto martedì con il rapporto «Le promesse mancate»: a pochi giorni dall’inizio dei Giochi la situazione dei diritti umani non è affatto migliorata. Al contrario, l’avvicinarsi della fiaccola ha spinto le autorità cinesi ha girare la vite dei controlli e della repressione. E ieri l’ultima conferma: l’accesso a Internet non sarà reso libero, nemmeno per i ventimila giornalisti accreditati. I quali non potranno accedere alle pagine di siti che contengono informazioni sul movimento spirituale Falun Gong, fuorilegge in Cina. Lo ha detto Sun Weide, portavoce del comitato organizzativo, aggiungendo che altri siti saranno inaccessibili, senza precisare tuttavia quali. Nella lista nera, secondo l’agenzia ApCom, ci sarebbero il sito di Amnesty International, della Bbc, della radio tedesca Deutsche Welle, del giornale di Hong Kong Apple Daily e di quello di Taiwan Liberty Times. Se questo è quanto avviene sotto i fari internazionali delle Olimpiadi, figuriamoci cosa accadrà quando gli atleti faranno le valigie e gli inviati spegneranno il computer. Lo sa bene Bu Dongwel, arrestato il 19 maggio 2006 dopo che la polizia trovò nella sua casa opuscoli del Falun Gong: durante la detenzione il suo stato di salute si è deteriorato a causa della malnutrizione. E lo teme Llu Jie, condannata a 18 mesi per aver scritto una lettera aperta in cui esortava il 17° Congresso del Partito comunista cinese a introdurre riforme politiche e legali: testimonianze raccolte da Amnesty International sostengono che Liujie sarebbe stata torturata con la "panca della tigre", costretta a rimanere per cinque giorni consecutivi seduta in posizione eretta con le mani legate dietro alla schiena, le cosce legate a un’asse di legno e i piedi sollevati da terra. Lo scorso giugno Amnesty lanciò un appello in favore di Huang Qi, arrestato con l’accusa di «aver acquisito illegalmente segreti di Stato»: in realtà, aveva fornito assistenza legale alle famiglie di cinque studenti rimasti uccisi nel crollo di una scuola durante il terremoto che a maggio devastò la regione dello Sichuan. Le famiglie, questo il punto, accusarono immediatamente le autorità di corruzione e di aver autorizzato la costruzione dell’edificio senza le più elementari norme di sicurezza. Chi rischia di più è lo scrittore Hu Jia, condannato per incitamento alla sovversione e per aver rilasciato interviste alla stampa estera: ha problemi al fegato per via dell’epatite B ma le autorità impediscono ai familiari di fargli arrivare le medicine necessarie.
E che dire del Tibet delle migliaia di arresti? O delle contestazioni oscurate che hanno accompagnato il viaggio della torcia olimpica e che tutti, tranne i cinesi, hanno potuto osservare sugli schermi tv?
Certo, le esecuzioni capitali nei primi sei mesi del 2008 sono diminuite del 15%, come spiegano fonti governative, ma la fucilazione «resta prevista per 68 reati, compresi i crimini di natura economica o connessi alla droga che non comportano il ricorso alla violenza». I tribunali cinesi, sostiene Amnesty, «continuano a infliggere e a eseguire condanne a morte nei confronti di migliaia di persone ogni anno». Non solo, ma «le persone accusate di reati punibili con la pena di morte non ricevono processi equi in linea con gli standard internazionali dei diritti umani». Le discrepanze riguardano la mancanza di un rapido accesso all’assistenza legale, l’assenza della presunzione di innocenza, le interferenza politiche e l’utilizzo di prove estorte con la tortura. Come si legge nel rapporto, «numerosi errori giudiziari, in alcuni casi perpetuati fino all’esecuzione di persone innocenti, sono stati resi noti dalla stampa cinese generando inquietudine tra il pubblico». Inutile dire che, secondo Pechino, la Moratoria della pena di morte votata all’Onu il 18 dicembre 2007 è solo un pezzo di carta dentro un inutile palazzo di vetro.
Sette anni fa, quando i Giochi vennero assegnati alla Cina, Pechino promise solennemente che si sarebbe incamminata lungo la strada dei diritti umani. Sarà, ma a otto giorni dall’accensione del braciere olimpico la situazione non sembra affatto diversa. Una promessa mancata, dunque. Resa ancora più sgradevole dal beffardo silenzio che la circonda. Come quello di Nicholas Sarkozy e George Bush, che l’8 agosto saranno sul palco d’onore a osservare la sfilata degli atleti. Ma anche di Gordon Brown, che diserterà l’apertura ma non perderà la chiusura. E di Berlusconi, preoccupato, come abbiamo detto, soltanto dalla colonnina del termometro.
Già, se non fosse per Amnesty International, Reporters Sans Frontières (autori della campagna con le cinque manette al posto degli anelli) e pochi altri il problema della Cina sarebbe soltanto un po’ di inquinamento. E i diritti violati? Le torture effettuate? Le condanne eseguite? Si accendono le luci, tacciono le voci. Certo, c’è sempre la libertà di coscienza ma quella, come detto, riguarda solo lo smog: se è troppo, ritiratevi