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  1. #21
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    Le Olimpiadi del silenzio


    • da L'Unità del 31 luglio 2008, pag. 1

    di Luca Landò

    Più dei diritti poté lo smog. Se non fosse per quei rompiscatole di Amnesty, l’inquietante incognita di queste Olimpiadi sarebbe puramente atmosferica. In effetti, come fai a correre dentro quella nube grigiastra che ti entra nei polmoni passo dopo passo? Come puoi battere il record del mondo quando devi fare i conti con l’asma? Anche il caldo non scherza, signora mia.
    Cinquanta gradi sono una faccenda seria, soprattutto quando si ha una certa età: lo sa bene Berlusconi che, in virtù delle sue quasi 72 primavere, ha pensato di dare forfait e spedire all’inaugurazione il giovane Frattini. E l’umidità? Vuoi mettere una maratona con l’igrometro al 90%? Sembra di nuotare, non di correre. Non a caso la federazione australiana ha lasciato libertà di scelta ai propri atleti: se non ve la sentite, ritiratevi pure. E gli astuti inglesi hanno inventato delle lenti a contatto rosse in grado di proteggere gli occhi dalla fuliggine cinese. Sulla Cina tira una brutta aria, in effetti. Ma non è quella di cui parlano copiosamente quotidiani e tv, mostrando foto grigiastre e servizi annebbiati. Sono i rapporti, documentati e inquietanti, che gli ostinati attivisti di Amnesty International (ma anche di Repoters sans Frontières e Human Rights Watch) continuano a diramare, autentica goccia cinese per ricordare al Comitato olimpico e al resto del mondo che c’è qualcosa di più grave dello smog sopra il cielo di Pechino. Lo avevano detto il primo aprile di quest’anno con il dossier «Conto alla rovescia verso le Olimpiadi», lo hanno ripetuto martedì con il rapporto «Le promesse mancate»: a pochi giorni dall’inizio dei Giochi la situazione dei diritti umani non è affatto migliorata. Al contrario, l’avvicinarsi della fiaccola ha spinto le autorità cinesi ha girare la vite dei controlli e della repressione. E ieri l’ultima conferma: l’accesso a Internet non sarà reso libero, nemmeno per i ventimila giornalisti accreditati. I quali non potranno accedere alle pagine di siti che contengono informazioni sul movimento spirituale Falun Gong, fuorilegge in Cina. Lo ha detto Sun Weide, portavoce del comitato organizzativo, aggiungendo che altri siti saranno inaccessibili, senza precisare tuttavia quali. Nella lista nera, secondo l’agenzia ApCom, ci sarebbero il sito di Amnesty International, della Bbc, della radio tedesca Deutsche Welle, del giornale di Hong Kong Apple Daily e di quello di Taiwan Liberty Times. Se questo è quanto avviene sotto i fari internazionali delle Olimpiadi, figuriamoci cosa accadrà quando gli atleti faranno le valigie e gli inviati spegneranno il computer. Lo sa bene Bu Dongwel, arrestato il 19 maggio 2006 dopo che la polizia trovò nella sua casa opuscoli del Falun Gong: durante la detenzione il suo stato di salute si è deteriorato a causa della malnutrizione. E lo teme Llu Jie, condannata a 18 mesi per aver scritto una lettera aperta in cui esortava il 17° Congresso del Partito comunista cinese a introdurre riforme politiche e legali: testimonianze raccolte da Amnesty International sostengono che Liujie sarebbe stata torturata con la "panca della tigre", costretta a rimanere per cinque giorni consecutivi seduta in posizione eretta con le mani legate dietro alla schiena, le cosce legate a un’asse di legno e i piedi sollevati da terra. Lo scorso giugno Amnesty lanciò un appello in favore di Huang Qi, arrestato con l’accusa di «aver acquisito illegalmente segreti di Stato»: in realtà, aveva fornito assistenza legale alle famiglie di cinque studenti rimasti uccisi nel crollo di una scuola durante il terremoto che a maggio devastò la regione dello Sichuan. Le famiglie, questo il punto, accusarono immediatamente le autorità di corruzione e di aver autorizzato la costruzione dell’edificio senza le più elementari norme di sicurezza. Chi rischia di più è lo scrittore Hu Jia, condannato per incitamento alla sovversione e per aver rilasciato interviste alla stampa estera: ha problemi al fegato per via dell’epatite B ma le autorità impediscono ai familiari di fargli arrivare le medicine necessarie.

    E che dire del Tibet delle migliaia di arresti? O delle contestazioni oscurate che hanno accompagnato il viaggio della torcia olimpica e che tutti, tranne i cinesi, hanno potuto osservare sugli schermi tv?

    Certo, le esecuzioni capitali nei primi sei mesi del 2008 sono diminuite del 15%, come spiegano fonti governative, ma la fucilazione «resta prevista per 68 reati, compresi i crimini di natura economica o connessi alla droga che non comportano il ricorso alla violenza». I tribunali cinesi, sostiene Amnesty, «continuano a infliggere e a eseguire condanne a morte nei confronti di migliaia di persone ogni anno». Non solo, ma «le persone accusate di reati punibili con la pena di morte non ricevono processi equi in linea con gli standard internazionali dei diritti umani». Le discrepanze riguardano la mancanza di un rapido accesso all’assistenza legale, l’assenza della presunzione di innocenza, le interferenza politiche e l’utilizzo di prove estorte con la tortura. Come si legge nel rapporto, «numerosi errori giudiziari, in alcuni casi perpetuati fino all’esecuzione di persone innocenti, sono stati resi noti dalla stampa cinese generando inquietudine tra il pubblico». Inutile dire che, secondo Pechino, la Moratoria della pena di morte votata all’Onu il 18 dicembre 2007 è solo un pezzo di carta dentro un inutile palazzo di vetro.

    Sette anni fa, quando i Giochi vennero assegnati alla Cina, Pechino promise solennemente che si sarebbe incamminata lungo la strada dei diritti umani. Sarà, ma a otto giorni dall’accensione del braciere olimpico la situazione non sembra affatto diversa. Una promessa mancata, dunque. Resa ancora più sgradevole dal beffardo silenzio che la circonda. Come quello di Nicholas Sarkozy e George Bush, che l’8 agosto saranno sul palco d’onore a osservare la sfilata degli atleti. Ma anche di Gordon Brown, che diserterà l’apertura ma non perderà la chiusura. E di Berlusconi, preoccupato, come abbiamo detto, soltanto dalla colonnina del termometro.

    Già, se non fosse per Amnesty International, Reporters Sans Frontières (autori della campagna con le cinque manette al posto degli anelli) e pochi altri il problema della Cina sarebbe soltanto un po’ di inquinamento. E i diritti violati? Le torture effettuate? Le condanne eseguite? Si accendono le luci, tacciono le voci. Certo, c’è sempre la libertà di coscienza ma quella, come detto, riguarda solo lo smog: se è troppo, ritiratevi

  2. #22
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    Noi, spettatori pavidi da Berlino 1936 a Pechino 2008


    • da Il Giornale del 31 luglio 2008, pag. 1

    di Filippo Facci

    Davvero: bello schifo di Olimpiadi che ci aspetta. Internet, in Cina, rimane censurata anche per i giornalisti occidentali: non puoi neppure accedere al sito di Amnesty international, per dire, o fare una chiave di ricerca digitando «Tienanmen» senza che arrivi la Netpolice a chiederti spiegazioni. I cronisti sono precettati. Il Tibet rimane blindato. Il Dalai Lama pure. C’è uno smog tipo Londra di fine ’800 (anche se lunedì le autorità hanno comicamente annunciato che era andato tutto a posto, le polveri erano scese di sette volte in una notte: avranno arrestato anche quelle) e per gli atleti si prepara il contrappasso delle Olimpiadi di Messico ’68, quando sugli altopiani l’aria rarefatta favorì record su record: a Pechino c’è chi ha proposto di gareggiare con le bombole, o col berretto dei minatori per vedere almeno il traguardo. Gli unici che si battono il petto sono coloro che per risolvere un problema semplicemente lo negano: i cinesi, pronti a fare incetta di medaglie o perlomeno, gli andasse male, a copiarle.
    Morale: abbiamo i danni sportivi e le beffe umanitarie, ed è un’occasione persa per tutti. Spiace dirlo: è persa anche per un governo, il nostro, che sulla questione tibetana e sui diritti civili ha mostrato un profilo neppure pilatesco, neppure ascrivibile alla nenia della santissima realpolitik</B>: siamo tornati una repubblica marinara di modesto cabotaggio mercantile, come se ministero degli Esteri e ministero del Commercio estero fossero la stessa cosa, come se in epoca di celeberrima globalizzazione (anche della politica estera, anche della realpolitik</B>) tutto non dipendesse da tutto, e di diritti umani, di sanzioni, di boicottaggi, si potesse ufficialmente parlare solo in certe zone del mondo. Esportare la democrazia? In Cina, per intanto, hanno importato noi: ma hanno lasciato fuori dalla porta i nostri stupidi bagagli occidentali, ciarpame rimediato dopo un paio di rivoluzioni in Francia e in America.
    L’avevamo previsto, e non è che ci volesse una palla di vetro: per il Tibet, in concreto, non si è fatto nulla o ci si è limitati a spiegare ciò che non andava fatto: boicottare le Olimpiadi, per esempio. Il sommovimento pro-Tibet per una volta era mondiale, e certo, c’era la stridente pretesa che maratoneti e nuotatori affrontassero moralmente ciò che un organismo come l’Onu ha sempre disertato politicamente: ma era qualcosa, anzi era molto. Per la prima volta nella Storia, forse, l’idea di boicottare una manifestazione sportiva sarebbe apparsa ecumenica, normale, per niente estremista, uno strumento formidabile per propagandare la democrazia e i diritti umani (non vendibili separatamente) come forche caudine non solo di un presunto progresso umano, ma anche di ogni futuribile import-export. Non era e non sarebbe stata una campagna mirante in particolare a dividere, come piace dalle nostre parti: solo a ridurre il danno, unendo laici e cattolici, destra e sinistra, idealisti e importatori tessili.
    Invece? Invece lo schifo che ci aspetta. Hanno vinto i cinesi e probabilmente non hanno mai avuto dubbi su questo: la Cina del resto se ne fotte. Sempre. Ha firmato la dichiarazione universale dei diritti umani, il Patto per i diritti civili e politici, la Convenzione contro la tortura del 1988, la Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1992, e se ne fotte della proprietà industriale, dell’inquinamento, dei diritti sindacali, dei diritti umani anche basici, della libertà religiosa, della democrazia, del Parlamento Europeo, di tutto. I cinesi sanno che gli Usa non possono rinunciare ai prodotti cinesi a basso costo e sanno che gli investitori cinesi se sparissero farebbero tracollare il Paese; mentre l’Europa, manco a dirlo, ha nella Cina il principale partner commerciale. È proprio per questo che il boicottaggio delle Olimpiadi era perfetto con tutti i suoi limiti: era un fronte simbolico, apolitico, l’ultima illusione che la politica potesse primeggiare su quello che Giulio Tremonti chiamerebbe mercatismo, e noi pure. Boicottare le Olimpiadi non era il minimo che si potesse fare: era il massimo.
    Grandi personalità politiche mondiali perlomeno si sono espresse, qualcuna ha disertato o ha mandato un messaggio forte. Noi? Franco Frattini prima ha detto che non avrebbe incontrato il Dalai Lama per non provocare «gli amici cinesi»: questo nonostante gli Usa avessero decorato il Dalai Lama con la medaglia d’oro del Congresso, già imitati da Canada, Austria e persino da quella Germania che è il primo Paese europeo per interscambio con la Cina. Frattini, poi, resistendo a qualche pressione interna (in An e nei Riformatori liberali) ha detto che «boicottare le Olimpiadi è inaccettabile», sicché ha spedito in Cina un sottosegretario salvo apprendere che alle Olimpiadi, controvoglia, forse dovrà andarci lui. Controvoglia: anzitutto perché aveva in programma le ferie, in secondo luogo perché le sue attenzioni sono proiettate sul rinsaldare l’asse dell’Atlantismo: anche se intanto eravamo membri non permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, di fatto, e non permanenti restiamo; anche se intanto l’impegno di aumentare il nostro impegno militare in Afghanistan è davvero tutto da verificare; anche se Barack Obama, di passaggio in Europa, è andato in Francia e Germania e Inghilterra ma non da noi. Ora: dire che gli Usa ci trattino con sufficienza forse è troppo, ma che i cinesi cerchino regolarmente di dettarci l’agenda diplomatica e che minaccino regolarmente ritorsioni commerciali (vedi Dalai Lama) è semplicemente la verità. Noi abbassiamo la testa e accettiamo. Per consolarci, nei convegni, ci raccontiamo la balla (balla storica e politica) che l’evoluzione del mercato cinese possa portare alla democrazia, ossia che alle libertà economiche possano equivalere quelle politiche. A Pechino, viceversa, vedono la democrazia giusto come un rischio per la crescita economica. Hanno bisogno di altro. Di noi, per esempio: spettatori pavidi, dopo Berlino 1936, di Pechino 2008.

  3. #23
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    La censura cinese non si ferma nemmeno per i Giochi


    • da Il Giornale del 31 luglio 2008, pag. 2

    di Eugenio Buzzetti

    Ora è ufficiale: la Cina non ha mantenuto l’impegno di rendere libero l’accesso alle informazioni per cittadini e media internazionali: A nove giorni dall’inizio dei Giochi Olimpici, il Comitato Organizzatore ammette che i siti considerati sensibili per il governo rimarranno off-limits peri giornalisti stranieri. Chiunque in questi giorni si trovi a Pechino non avrà risposta dalla rete se su un qualsiasi motore di ricerca digiterà le parole «Fa Lun Gong» o «Tibet». Tantomeno otterrà soddisfazione se cercherà i siti di Amnesty International o di Reporters Senza Frontiere, spesso critici nei confronti di Pechino. Il controllo sulla rete dunque non sì ferma: «Per quanto riguarda il Fa Lun Gong - spiega Lui Jianchao, portavoce del ministero degli Esteri - si tratta di un culto proibito dalla legge e non intendiamo cambiare la nostra posizione».

    Il problema è emerso nei giorni scorsi quando i giornalisti accreditati si erano lamentati. Candide e arroganti le spiegazioni dei cinesi: durante le Olimpiadi, «forniremo un accesso a internet sufficiente per il lavoro dei giornalisti», ha dichiarato Sun Weide, portavoce del comitato organizzativo. ‘Tra i siti vietati dovrebbero esserci anche quelli di Bbc, Deutsche Welle, dei giornali Apple Daily (Hong-Kong) e Liberty Times (Taiwan). «La nostra promessa era di permettere ai giornalisti di usare internet per il loro lavoro - ha aggiunto Sun - e noi abbiamo assicurato questa possibilità a sufficienza».

    Dopo la rivolta del Tibet, le polemiche sul mancato rispetto dei diritti umani, quelle sulle pena di morte, un ulteriore ostacolo sul difficile cammino della ventinovesima Olimpiade moderna, che si candida ad essere la più controversa della storia.

    In queste ore i più imbarazzati sono i dirigenti del Cio, il Comitato olimpico internazionale, che hanno dovuto ammettere di essersi accordati con la Cina per consentire il blocco dei siti web, dopo avere per mesi assicurato che l’accesso a Internet sarebbe stato «aperto». «Il materiale sensibile non collegato alle Olimpiadi continua ad essere un problema per i cinesi, credo che organizzatori e Cio avrebbero dovuto offrire un messaggio più chiaro ai media internazionali», ha detto Kevan Gosper, presidente della Commissione stampa del Cio.

    Di poco inferiore l’imbarazzo tra i governi che dopo molte esitazioni avevano deciso di inviare delegazioni di alto livello alla cerimonia di apertura: è il caso della Francia (ci sarà Nicholas Sarkozy, nella doppia veste di presidente del suo Paese e di presidente di turno dell’Unione Europea) o degli Stati Uniti, per cui interverrà lo stesso George Bush. A stemperare i toni delle polemiche è intervenuto il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, che ha invitato a «non politicizzare un evento sportivo, che deve essere motivo di riconciliazione».

    Nel frattempo la Cina mostra di non voler allentare la morsa neppure sul Tibet. Ieri il governo ha deciso di annullare tutti i permessi per militari e poliziotti che sorvegliano la capitale Lhasa, per evitare l’esplosione di manifestazioni come quelle del marzo scorso. Per provvedere a una «sicurezza assoluta», come sottolinea un articolo pubblicato dal sito ufficiale «Tibet News», verrà raddoppiato il numero di agenti di guardia ai principali luoghi di transito, come stazioni e aeroporti.

    Proprio ieri la repressione ha colpito anche un insegnante di una delle scuole colpite dal terremoto del 12 maggio scorso nel Sichuan, che aveva diffuso su internet le immagini delle rovine degli edifici scolastici. Arrestato il 25 giugno scorso, è stato condannato a un anno di reclusione nei laogai, i famigerati campi di «rieducazione attraverso il lavoro». Problemi in vista anche per i turisti: un senatore repubblicano del Kansas, Samuel Brownback, ha dichiarato che le autorità cinesi hanno in programma di spiare gli ospiti stranieri che saranno negli alberghi durante le Olimpiadi. La denuncia proviene da un gruppo di avvocati che rappresentano le catene internazionali di alberghi presenti a Pechino: ai loro clienti il governo cinese ha imposto di installare impianti di monitoraggio interni

  4. #24
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    Ma la repressione continua «Monaci arrestati e picchiati»


    • da Corriere della Sera del 29 luglio 2008, pag. 13

    di Lorenzo Cremonesi

    «Shhhh. Non posso parlare. Please don't talk here. Too much police», sussurra in un inglese titubante il monaco incontrato lungo il dedalo di corridoi scuri e perlinati in legno affrescato nell'antico monastero di Sera. In effetti il luogo pullula di poliziotti e agenti in borghese allarmati dall'arrivo della delegazione di giornalisti invitata in Tibet grazie alla cooperazione tra governo di Pechino e Fondazione Italia-Cina. Ti seguono meticolosi e lanciano occhiate di fuoco a chiunque si avvicini non autorizzato. L'unico modo per cercare di comunicare con i tibetani è lasciarli giocare a rimpiattino con gli agenti. «Ecco, questo è il mio indirizzo email», dice uno che non sembra ancora ventenne passando repentino un bigliettino stropicciato. «La prego, non faccia mai il mio nome, perché tanti di noi vengono presi, e non si sa più nulla di loro. Ci arrestano, ci picchiano, se ci prendono di notte possiamo essere anche fucilati sul posto. Ho paura», spiega rapido.

    La sera, davanti al computer, i messaggi al mondo dal Tibet sotto il tallone della repressione preventiva cinese in vista delle Olimpiadi di Pechino raccontano un universo assolutamente differente da quello spiegato dai portavoce ufficiali. «Nelle ultime settimane sono arrivati migliaia di nuovi poliziotti di rinforzo. Talvolta in una sola strada abbiamo contato oltre venti camionette militari. I nostri movimenti sono impediti al massimo, specie dal tramonto all'alba, chi esce dai monasteri senza permesso viene certamente arrestato. Ma i peggiori sono gli agenti in borghese. Stazionano dovunque e sono i più cattivi», si legge nell'email del 14 luglio. In quella di tre giorni prima viene specificato che i morti durante gli incidenti del 14 marzo sono stati «almeno 180» e i tibetani in carcere, molti di loro monaci, «restano centinaia». Con un particolare curioso: «In genere per la strada quelli in piedi sono i poliziotti regolari.

    Ma gli uomini seduti sono gli agenti in borghese che danno gli ordini». E qualche nota di vita quotidiana: «Negli ultimi tempi i poliziotti si sono insediati in modo permanente nei monasteri. Così la situazione è un poco migliorata per i monaci di Sera, Jokhang e nel tempio di Ramosh, dove almeno ci si può muovere, anche se le lezioni per gli studenti sono state rinviate a dopo le Olimpiadi. Però quello di Drepung è totalmente isolato». Vedere per credere. Basta un quarto d'ora di taxi dal centro di Lhasa per raggiungere il villaggio ai piedi del ripido anfiteatro montagnoso che fa da corona a Drepung. Qui a marzo si trovava uno dei centri dirigenti più attivi della rivolta. E per diverse settimane era stato totalmente isolato dall'esercito.

    Ma ora i cinesi si sentono molto più tranquilli. Non si vedono posti di blocco sulle strade. Invece la situazione cambia completamente una volta nel villaggio: ogni via di accesso ai palazzi bianchi del monastero antichi oltre 6 secoli che puntellano i fianchi della montagna è stata sistematicamente transennata, i militari hanno steso una fitta rete di fili spinati tutto attorno, oltre a garitte, ombrelloni colorati per le sentinelle dei turni sotto il sole, tende dotate di riflettori per la notte. «Oltre non si può andare. È coprifuoco da 4 mesi», dice rassegnato un gruppo di anziani contadini, che ogni giorno si reca a pregare nei pressi di un gigantesco masso di granito a circa 500 metri in linea d'aria dal monastero silenzioso. Si prostrano verso quelle mura antiche, sventolano gli scialli votivi nel vento lasciando che le loro preghiere salgano al cielo, un po' come qualche fedele fa ancora nel centro di Lhasa a venerare le vestigia diventate museo del palazzo di Potala, abbandonato dal Dalai Lama e il suo seguito sin dal lontano 1959. «Secondo le nostre informazioni, dei circa 1.000 monaci che stavano a Drepung, 500 furono arrestati subito, 300 liberati in seguito, gli altri mancano tutt'ora all'appello», sostiene un monaco che farfuglia veloce qualche parola in inglese, ripete la sua «fedeltà assoluta» al Dalai Lama, e pure, dopo una manciata di secondi, se ne fugge in una delle case protette da alte mura di pietra nella parte bassa del villaggio. «Peccato!», vien da pensare guardando da lontano, evitando di attirare l'attenzione dei militari, questo paesaggio da favola che proprio in questi giorni avrebbe potuto essere letteralmente invaso dai turisti è invece rimasto vuoto.

    «I cinesi sono talmente ossessionati dal problema Tibet e dall'incubo sicurezza, che stanno rovinandosi la grande occasione offerta dalle Olimpiadi», osservano tra i circoli diplomatici europei a Pechino. Gli alberghi si erano preparati al tutto esaurito, ma ancora questa settimana erano fermi al 30 per cento delle presenze. Ristoranti di lusso semivuoti, taxisti con le mani in mano. Un Paese oggettivamente in piena crescita economica. Infrastrutture da grido. Senza scomodare gli impressionati successi della recente ricostruzione di Pechino, vien naturale osservare che aeroporti minori come quelli di Zhongdian, Xining, Kunming, Chengdu e il mitico Shangri-La, alle porte della regione autonoma del Tibet, sono molto più efficienti e funzionali di quelli di tante metropoli europee. La ferrovia che dal 2006 collega il Paese con Lhasa — e negli ultimi 2.300 chilometri viaggia in 26 ore su di un plateau compreso tra i 4.000 e 5.200 metri d'altezza — procede con una puntualità impressionante. Il nostro convoglio di 14 vagoni (i passeggeri erano quasi tutti cinesi Han) è arrivato nella capitale tibetana con 4 minuti d'anticipo.

    Eppure è come se la società civile cinese sia andata più veloce di quella degli apparati dello Stato. «A cosa serve sventolare al mondo la Cina delle Olimpiadi, se poi ambasciate e consolati all'estero concedono i visti con il contagocce?», protestano gli operatori turistici stranieri. Il Museo d'arte contemporanea di Pechino espone opere di critica al regime e al nuovo «consumismo capitalista di Stato», come se la repressione seguita alle rivolte di piazza Tienanmen nel 1989 non fosse mai esistita. Ma il Tibet testimonia una realtà molto più triste. «Quella maledetta ferrovia serve solo ai cinesi per venirci a colonizzare. Loro sono facilitati dagli incentivi offerti dal governo centrale e ci rubano il lavoro», sostiene Tayang, una 23enne impiegata in un negozio di tappeti e artigianato tibetani nel centro di Lhasa. E aggiunge bellicosa, mostrando poco lontano le tre saracinesche ancora danneggiate dello «Top Peak Artwork Center», un negozio di proprietà cinese vandalizzato il 14 marzo: «Se va avanti così, ci sarà presto un'altra ribellione. È inevitabile, vogliamo il nostro Stato indipendente guidato dal Dalai Lama».


  5. #25
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    quanta roba nuova... che tempismo!

  6. #26
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    Citazione Originariamente Scritto da Feliks Visualizza Messaggio
    quanta roba nuova... che tempismo!
    hai ragione però sono arrivato da pochissimo su POL...
    credo sia un argomento e una documentazione comunque interessante

  7. #27
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    Dalai Lama, Bortoluzzi: richiesta ufficiale al Dalai Lama da parte del Comune "Sua Santità venga a ritirare la cittadinanza onoraria;a Venezia un Comitato d'Onore"
    Michele Bortoluzzi (Giunta Nazionale RI) comunica che in data odierna, dopo il voto di luglio, il Comune ha richiesto al Dalai Lama di fissare una data nella quale dare vita ad un’importante ed evidente cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria della Patria di Marco Polo e dei commerci fecondi con l’Oriente.

    15 settembre 2008
    • Dichiarazione di Michele Bortoluzzi, Giunta Nazionale di Radicali Italiani

    Ora, compatibilmente con le sue condizioni di salute, ci attendiamo che il Dalai Lama voglia valutare come prioritaria la visita a Venezia. Anche perché i compagni cinesi non hanno mancato di farsi sentire con le autorità del Comune, in modo talvolta insultante. Venezia è importante, quanto o forse ancor più di Parigi per quanto rappresenta e per come questa cittadinanza è stata attribuita. Qui il Tibet ha saputo entrare nei cuori e nei pensieri dei Veneziani e dei Suoi Amministratori, ed è qui che speriamo presto di avere il Dalai Lama magari assieme, mi permetto di esprimere un desiderio, a Marco Pannella per una giornata sui diritti di tutti i popoli oppressi.

    ]se ho aperto questo thread è anche perché temo che la questione Tibet passi in secondo piano dopo le Olimpiadi, persino all'interno dei radicali

  8. #28
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    17/08/2008 | La Cina censura il sito internet del Partito Radicale</SPAN>Comunicato Stampa del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito
    Nonostante la Cina avesse rassicurato il mondo intero sulle questioni dei diritti umani, della libertà di stampa, del diritto a manifestare dei suoi cittadini, abbiamo avuto oggi la conferma che il sito ufficiale del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito è totalmente oscurato in Cina.

    Quando si clicca su www.radicalparty.org o non appare nulla oppure appare una pagina che, in cinese, dice: “forse cercavi queste altre pagine:

    www.chinaradiology.org, www.lanparty.com.tn, www.medical-journal.cn. Tra le ragioni che impediscono l’accesso alla pagina vengono illustrati anche motivi tecnici.

    Francamente non capiamo perché tra i siti proposti dalle autorità cinesi, in alternativa al nostro, ci sia anche una rivista di medicina.

    Esprimiamo sorpresa e stupore per la decisione di mantenere oscurato il nostro sito internet, in questo modo viene smentito quanto lo stesso Direttore della sezione ‘media’ del Comitato Organizzatore dei Giochi di Pechino aveva preannunciato riguardo un’apertura alla libertà di informazione. Ricordiamo che nel 2001, quando la Cina ottenne l’assegnazione delle Olimpiadi, Wang Wei, Segretario Generale del Comitato promotore di Pechino 2008 affermò: “Garantiremo completa libertà d’informazione ai giornalisti che verranno in Cina. Abbiamo fiducia nel fatto che i Giochi nono solo promuoveranno la nostra economia ma miglioreranno tutte le condizioni sociali, compresa l’educazione, la salute e i diritti umani”.


    Il Presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio), Jacques Rogge, aveva dichiarato nei giorni scorsi che, grazie alla propria diplomazia silenziosa, il Cio è riuscito a ottenere varie riforme nel campo dei diritti umani, come le nuove norme sulla stampa estera. Sarebbe interessante sapere di cosa parla il Presidente del Cio.
    Anche oscurando il sito www.radicalparty.org, la Cina è venuta meno alle promesse di migliorare la situazione dei diritti umani in occasione delle Olimpiadi 2008.

  9. #29
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    Mi è piaciuta la Vezzali. Ha regalato le mutandine al Dalai Lama e il culo a Berlusconi.

  10. #30
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    Citazione Originariamente Scritto da Burton Morris Visualizza Messaggio
    17/08/2008 | La Cina censura il sito internet del Partito Radicale</SPAN>Comunicato Stampa del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito
    Nonostante la Cina avesse rassicurato il mondo intero sulle questioni dei diritti umani, della libertà di stampa, del diritto a manifestare dei suoi cittadini, abbiamo avuto oggi la conferma che il sito ufficiale del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito è totalmente oscurato in Cina.

    Quando si clicca su www.radicalparty.org o non appare nulla oppure appare una pagina che, in cinese, dice: “forse cercavi queste altre pagine:

    www.chinaradiology.org, www.lanparty.com.tn, www.medical-journal.cn. Tra le ragioni che impediscono l’accesso alla pagina vengono illustrati anche motivi tecnici.

    Francamente non capiamo perché tra i siti proposti dalle autorità cinesi, in alternativa al nostro, ci sia anche una rivista di medicina.

    Esprimiamo sorpresa e stupore per la decisione di mantenere oscurato il nostro sito internet, in questo modo viene smentito quanto lo stesso Direttore della sezione ‘media’ del Comitato Organizzatore dei Giochi di Pechino aveva preannunciato riguardo un’apertura alla libertà di informazione. Ricordiamo che nel 2001, quando la Cina ottenne l’assegnazione delle Olimpiadi, Wang Wei, Segretario Generale del Comitato promotore di Pechino 2008 affermò: “Garantiremo completa libertà d’informazione ai giornalisti che verranno in Cina. Abbiamo fiducia nel fatto che i Giochi nono solo promuoveranno la nostra economia ma miglioreranno tutte le condizioni sociali, compresa l’educazione, la salute e i diritti umani”.


    Il Presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio), Jacques Rogge, aveva dichiarato nei giorni scorsi che, grazie alla propria diplomazia silenziosa, il Cio è riuscito a ottenere varie riforme nel campo dei diritti umani, come le nuove norme sulla stampa estera. Sarebbe interessante sapere di cosa parla il Presidente del Cio.
    Anche oscurando il sito www.radicalparty.org, la Cina è venuta meno alle promesse di migliorare la situazione dei diritti umani in occasione delle Olimpiadi 2008.
    Che spreco. I radicali non li caga nessuno in Italia figuriamoci in Cina.

 

 
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