Originariamente Scritto da
Florian
Confesso di non amare particolarmente l'economia e di trovarmi un po’ a disagio a discutere di banche e finanza. Che sta succedendo a Wall Street? Siamo davvero in procinto di una crisi epocale modello '29, oppure si cerca di creare il panico tra i risparmiatori per altri scopi, diciamo così, politici?
Oggi tra i tanti articoli che ho potuto leggere al riguardo, mi ha colpito in particolar modo ciò che ha scritto il bravissimo Andrea Mancia per Liberal. Mancia è un liberista, tuttavia è un pragmatico, lontano dall'ideologia pura e semplice degli anarcocapitalisti. Secondo lui non c'è nessun bolscevismo alle porte, ma solo il tentativo da parte del capitalismo di salvare se stesso, anche se ciò finisce col colpire oggi - inevitabilmente - i contribuenti.
Ormai è evidente a tutti che bisogna tornare all’economia reale delle nazioni, abbandonando quel “banchismo finanziario” che tanti danni ha causato nell'ultimo decennio. Qui da noi Giulio Tremonti ha coniato il termine "mercatismo" (mercato + comunismo) per questo nuovo tipo di finanza. E come Tremonti, Mancia sottolinea il ruolo positivo del governo quando si fa "garante" della sicurezza dei cittadini. I quali sono solitamente contrari allo stato burocratico, allo stato fannullone, allo stato spillaquattrini, ma allo stesso tempo bendisposti nei confronti di quello stato che pone se stesso al servizio del cittadino. Berlusconi più volte ha parlato della sua politica indicando nello "stato amico" e nel "buongoverno" la soluzione ai problemi che ci attanagliano.
Tuttavia negli USA c’è adesso una resistenza conservatrice al piano proposto da Bush. Questo perché il libertario ha una concezione idilliaca dell'individuo, il quale, privo di vincoli esterni sarebbe di per sè in grado di assolvere allo scopo prefisso: la ricerca della felicità.
La libertà, per non sfociare nel libertinismo e nell'anarchismo, presume però responsabilità. Ed oggi assistiamo ad un deficit di responsabilità che accomuna tutti, dai finanzieri giù giù fino ai contribuenti. Che comprano, si indebitano, vivendo spesso al di sopra delle loro possibilità… Colpa del sistema? Certo, ma anche colpa loro, che ingrassano il sistema con i loro sogni e le loro, spesso assurde, pretese.
Adesso c’è questo tentativo di salvare l’economia reale spezzando i vincoli che la legano alla “finanza extraterrestre”, affinché il mercato possa tornare a funzionare come ha dimostrato per secoli di fare. Potrebbe non essere quindi il “de profundis” dell’economia capitalistica, quello a cui stiamo assistendo e che molti cavalcano per i propri interessi di parte. Piuttosto la fine di un processo degenerativo interno al capitalismo. Dallo scorso dicembre, negli USA, si sarebbero persi “soltanto” 600mila posti di lavoro su quasi 140 milioni, meno dello 0,5% del totale. Cifre lontane dal prefigurare una Waterloo del sistema economico occidentale.
Il vero problema, per chi scrive, è il rapporto, oggi spezzato, tra mercato e cultura cristiana. Quell’etica protestante che era stata alla base del sistema capitalistico dalle sue origini fino agli inizi del Novecento è decaduta infatti sotto l’avanzare di correnti filosofiche alternative di segno progressista - positivismo, pragmatismo, modernismo – che hanno ridicolizzato la Fede espellendola dalle grandi città e relegandola con sommo disprezzo nella provincia profonda. Dopo il celebre “processo della scimmia”, di cui fu vittima il populista “creazionista” William J. Bryan, il credo dell’America ufficiale non potrà più poggiare sul fondamentalismo evangelico. Al pari di questo sarà vittima anche lo stesso mito del self-made man, immortalato dai popolarissimi romanzi di Horatio Alger, offuscato dall’incalzare di nuove politiche di stampo europeo, incentrate su titani della finanza al seguito di uno stato forte e accentratore.
Dopo la Grande Depressione gli USA, malgrado le numerose presidenze repubblicane, non hanno mai smesso di identificarsi con Frank Delano Roosevelt e il New Deal. Non c’è più stato un vero e proprio riallineamento politico conservatore. Ci hanno provato Goldwater e Reagan, ma senza crederci troppo. George W. Bush non ci ha provato neppure ed il suo “Big Government Conservatism” che in principio doveva unire le opposte fazioni, alla fine ha scontentato tutti. Bush però non aveva altra scelta, in quanto l’America che aveva ereditato si era fatta più piccola di quella di Reagan, e infinitamente più piccola di quella che era stata di Goldwater, in un processo che ha visto il mondo intero restringersi sempre più, fino a diventare quel villaggio globale di cui siamo tutti, oggi, concittadini.
Chi pensa attualmente di poter tornare a vecchie forme di protezionismo economico si illude di poter disconoscere quel mondo unidimensionale che è stato creato nel corso di secoli per interessi non solo finanziari. Non è un caso che la sinistra, la quale si dice avversaria della globalizzazione, una volta al potere si trovi costretta a fare poi l’esatto contrario di quanto sbandierato in campagna elettorale. Non è un caso che i paleoconservatori, pur così corretti nelle loro analisi politiche, siano pressocchè assenti dalla politica di Washington, oltre che ostracizzati dai media.
La verità è che il treno in cui viaggia la nostra civiltà occidentale sembra essere guidato da un pilota automatico e non prevede fermate. There Is No Alternative, salvo quella paleolibertaria che attraverso secessioni a catena vorrebbe rimpicciolire lo stato fino ad azzerarlo del tutto, facendoci tornare ai tempi dell’”anarchia” medievale. Ma la verità è che l’uomo democratico ha bisogno dello stato e non vuole rinunciarvi per nessuna ragione. Il vero problema, alla fine, siamo noi.