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Risultati da 1 a 6 di 6
  1. #1
    Komunista Estetizzante
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    Predefinito Profitti da narcotraffico per il Made in Italy/made in China

    Perchè le firme del made in Italy un bottone ce lo fanno pagare 500 euro?
    Perchè esportiamo mecchine tessili e pretendiamo di non importare il tessile?
    Ipocrisie su made in Italy/made in China
    Si susseguono le campagne mediatiche centrate da un lato sulla criminalizzazione di singoli episodi di frode commerciale in cui sono coinvolti produttori ed esportatori cinesi, dall'altro sulla demonizzazione dell'export cinese in Italia in generale come presunta fonte della crisi economica italiana.
    Si nascondono però alcuni fatti rilevanti.
    Il primo é che le stesse voci che gridano allo scandalo per la crescita esponenziale dell'export cinese in Italia esaltano contraddittoriamente ed acriticamente tutti i "successi" di settori dell'export italiano verso la Cina. Anche quando si tratta del forte incremento dell'export di macchine tessili (ma poi ci si lamenta che i Cinesi quelle macchine le usino per realizzare prodotti da esportare anche in Italia! Per che cosa le dovrebbero comprare?) e recentemente di macchinari per la produzione di macchine tessili che solo i miopi non capiscono porteranno in un prossimo futuro al crollo delle esportazioni italiane in Cina anche di macchine tessili!
    Questa contraddizione non esiste solo nel settore tessile. Un articolo de "Il Giornale di Sicilia" del 30 agosto 2007 esaltava acriticamente come splendido successo del "made in Italy" il corso tenuto a spese della Regione Sicilia a Bejing a 3.000 studenti dell'Università dell'Alimentazione dallo chef dell'"Antica Focacceria S.Francesco" di Palermo, ossia della rosticceria più antica e nota della città. Il corso era centrato sulla rosticceria siciliana e lo chef aveva scelto come simbolo la preparazione delle "arancine" (quelle che fuori della Sicilia si chiamano "arancini"), perché a base di riso, individuato come "cibo tipico cinese". L'articolo riportava la grande soddisfazione dello chef per il successo del corso (che sarà seguito dalla borsa di studio a Palermo per 8 corsisti selezionati fra i 3.000, sempre a spese della Regione Sicilia), anche se non riusciva a liberarsi del tutto dagli stereotipi ed affermava che i corsisti cinesi si erano messi ad introdurre tutti 5 piselli in ciascuna arancina, "perché bravi a copiare" (secondo lo chef palermitano), dopo che alla domanda quanti piselli si dovessero usare lui (che non li aveva mai contati né messo un numero fisso), aveva risposto aprendo una sua arancina e trovandovene 5.
    Tutto bene, e un significativo esempio di valorizzazione in Cina di un cibo tradizionale made in Italy (in realtà l'arancina ed il supplì fanno parte di cucine regionali italiane di matrice ebraica), ma chi legittimamente impedirà ai cinesi di produrre rosticceria siciliana non solo a Shanghai o Beijing, ma nelle località di emigrazione (da New York a Paris a Roma a Palermo), provocando le ire dei rosticcerie colpiti dalla concorrenza?
    Vi é poi un secondo aspetto ancor più rilevante. Interi settori delle industrie italiane (specie di tessile, abbigliamento e calzature), come di altri Paesi occidentali hanno delocalizzato le loro produzioni nell'Europa dell'Est, nei Balcani, in Vietnam, in Cina ed in Bangladesh (paese dove la mia esperienza diretta di 11 mesi mi permette di testimoniare che le condizioni di lavoro e salariali sono spaventosamente peggiori che quelle denunciate nei casi più gravi in Cina) e continuano a marchiare i prodotti (venduti n Italia ad un prezzo da 5 a 30 volte superiore a quello di acquisto in loco, con ricarichi praticati da quelle ditte italiane del livello di quelli del narcotraffico) "made in Italy" col trucco di rifinirli (semplicemente mettendo un bottone o simili) in Italia, oppure ammettono in cartellino la provenienza ma li fregiano della loro griffe.
    Lo fanno grandi catene distributive, grandi marchi, stilisti leaders del cosiddetto "made in Italy" (a Dhaka, in Bangladesh, vi sono in vendita i loro prodotti "originali", non falsificati) e perfino boutiques che vendono come propri (e li reclamizzano su internet) a Milano, Rimini, Capri, Porto Cervo prodotti confezionati in Cina, Bangladesh, Thailandia, Vietnam.
    Lo stesso avviene per numerosi altri tipi di prodotti, anche alimentari (ad esempio il miele, la soja dei gelati, il pomodoro delle salse), visto che le normative italiane non impongono di dichiarare l'origine geografica delle materie prime e dei semilavorati. e tanto meno di rendere trasparente la filiera dei costi/prezzi, per rendere occulto al consumatore chi ricarica e quanto.
    Così si possono conciliare campagne allarmiste e spesso nazional-xenofobe contro i prodotti cinesi con il fatto, ignorato dai consumatori italiani, che il guadagno dei produttori ed esportatori cinesi, per unità di prodotto, é minimo (e la Cina guadagna soprattutto sull'immensa mole di vendite), mentre quello di importatori, ditte e griffe italiane é rilevantissimo.
    Il terzo aspetto é costituito dai cosidetti "falsi". Va innanzi tutto notato che non si rivela mai un fatto che numerosi studi già dagli anni '90 hanno notato. Chi compra una copia contraffatta di una borsetta YSL, di un Rolex, di una t-shirt Benetton, ecc. (il discorso non vale per video e CD) ad un prezzo da 5 a 20 volte inferiore dell'"originale" sa benissimo che si tratta di un falso e quindi non cade in alcuna truffa sul prezzo, ma quel che più conta è che i potenziali clienti (target) di quei prodotti e di quelli griffati "originali" acquistati nei negozi autorizzati sono totalmente due segmenti di mercato differenti, per capacità economica, e quindi non si verifica alcuna concorrenza.
    Le alte grida delle griffes contro la contraffazione sono soprattutto un modo indiretto per farsi pubblicità, tanto più che uno studio effettuato negli anni '90 in Tunisia (sulle imprese che producono per le grandi marche francesi ed italiane) ha dimostrato come una parte di quei prodotti "falsi" provengono in effetti dalle stesse fabbriche di quelli "originali" e sono "falsi" solo perché non passano attraverso i canali di exort e rivendita autorizzati.
    Come una volta (Bakhunin) era in dubbio se fosse più criminale rapinare una banca o fondarla, oggi si potrebbe chiedere se sia più truffaldino vendere prodotti pseudo-griffati o ricaricare del 3.000% il costo di un prodotto grazie ad una griffe!
    Oltre tutto i prodotti simil-griffati rappresentano un veicolo di pubblicità indiretta per le griffes, girando addosso ai compratori, tanto che la Nike é solita regalare suoi prodotti (fuori moda ma griffati) ai ragazzi poveri delle città USA per farsi pubblicità non verso quelle fasce di consumatori (per i quali tali prodotti sono irraggiungibili) ma verso le élites ricche delle aree degradate (che poi si tratti di arricchimenti dovuti spesso al narcotraffico, allo sfruttamento della prostituzione, alla devianza, conta poco...).
    Naturalmente non sempre é così e vi sono forti differenze anche qualitative fra alcuni tipi di prodotti griffati originali ed i loro corrispettivi non autorizzati, ma ciò non giustifica il fatto che un jeans Levi's sia prodotto a meno di un dollaro a capo in Bangladesh e venga rivenduto a 120 Euro a Roma (ricarico del 12.000%!), quando i prezzi di trasporto e distribuzione non incidono per più di altri 4-5 dollari, mentre se fosse prodotto Italia costerebbe alla fonte sui 20 Euro (e il ricarico sarebbe pur sempre del 600%!) ed é evidente che senza l'immensa massa di prodotti a basso costo delle fabbriche cinesi, bangladeshe, vietnamite, ecc. il costo della vita sarebbe insopportabile in Occidente per decine di milioni di persone, in particolare delle fasce giovanili.
    Quando, poi, in Bangladesh muoiono (come nel 2006) decine di operaie (molte minorenni) bruciate vive nelle fabbriche che lavorano per le griffes occidentali, le campagne di chi ha a cuore la condizione umana delle persone anche di altri Paesi fanno pressione su tali ditte per far migliorare le condizioni di quei lavoratori. Ma le griffes non accettano di rinunciare a neppure 1o centesimi di profitto per pezzo e le loro ipocrite proteste e pressioni provocano solo un trasferimento degli ordinativi a nuove ditte locali (spesso dello stesso proprietario) apparentemente "in regola" che poi usano altre fabbriche in subappalto dove la gente lavora anche peggio! E questo non accade solo in Bangladesh, naturalmente.
    Tutto si regge su un'ipocrisia che non può durare all'infinito e che non riesce già ora a nascondere del tutto il fatto che l'Occidente criminalizza processi di crescita industriale "selvaggia" altrui che esso ha usato invece impunemente per decenni e che solo le lotte dei suoi lavoratori hanno reso meno disumani, e che le sue aziende leaders continuano ad usare in tutte le imprese delocalizzate e ad imporre ai loro fornitori stranieri.
    Se davvero si vuole combattere il supersfruttamento dei lavoratori di quei fornitori e di quelle filiali, si potrebbe cominciare a rinunciare da parte delle imprese occidentali ad una parte dei superprofitti dovuti agli incredibili ricarichi praticati e trasformarli in aumenti salariali in loco e miglioramenti controllati della condizione di lavoro.
    Ma questa non é la via che piace ai nazional-xenofobi dalle tasche piene di casa nostra.
    Silvio Marconi
    http://www.associna.com/modules.php?...e=News&sid=517

  2. #2
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    Riciclo qui un post di qualche tempo fa che rappresenta lo sfogo del consumatore tipo:
    Il problema di fondo e' che in Europa ci fanno pagare tutta la roba cifre da capogiro, non giustificabili in nessun modo, il tutto per mantenere un mondo di calciatori star e attori vari che prendono milioni di euro per indossare una maglietta. Ora arrivano i cinesi e ci dicono, "guardate che per produrre e vendere un paio di jeans bastano 10 euro" e tutti vanno fuori di testa, e cominciano a dire che vengono prodotti con l'uranio arricchito, invece il problema non e' dei cinesi, il problema e' nostro che paghiamo una follia quello che compriamo. L'unica difesa per queste persone e' denigrare a piu' non posso la Cina fino a quando il nostro sistema di merda non si instaura pure in Cina. Ovvio poi che ci sono anche fabbriche con misure di sicurezza inefficienti o magari con degli schiavi, il paese e' grande e questo e' il pedaggio per il progresso che tutti i paesi (italia compresa) hanno pagato ma il punto e' che la cina rappresenta un pericolo per l'elite della societa'. I veri schiavi siamo noi, come ti spieghi che nonostante il progresso e nonostane macchinari incredibili, continuiamo a lavorare 8 ore al giorno e alcuni non arrivano a fine mese. Adesso per di piu' nenche si riesce a comprare una casa per viverci. Ma come ?? Ci dicono che il PIL cresce, che l'economia non e' in recessione da anni, che la scienza ed il progresso imperano e noi stiamo peggio ??? Cazzo succede ? Ma allora qualcuno racconta delle balle... Dall'altra parte vedo gente che per sorridere 20 secondi in TV prende piu' di quello che potro' mai guadagnare in vita mia. Allora mi chiedo , ma non e' che nella progredita europa ci sia una gran presa per il culo della gente "normale" che lavora da sempre e tutto il surplus va a finire nelle tasche della gente "d'elite" ? Non e' che il vero pericolo della cina e' che ci sta facendo sapere quanto realmente costa la roba e quanto "l'elite" ci sta lucrando sopra ?

  3. #3
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    A proposito dei demonizzatori del Made in Cina:
    Il commissario europeo per il commercio Peter Mandelson, in visita in Cina, ha sostenuto che il governo cinese ''ha agito in modo appropriato'' alla situazione, e ha bevuto un bicchiere di latte cinese per dimostrare come la contaminazione sia un fenomeno circoscritto.
    http://it.notizie.yahoo.com/ansa/200...r-97cd5f9.html

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da Red Shadow Visualizza Messaggio
    ma non e' che nella progredita europa ci sia una gran presa per il culo della gente "normale" che lavora da sempre e tutto il surplus va a finire nelle tasche della gente "d'elite" ?

    Non e' che il vero pericolo della cina e' che ci sta facendo sapere quanto realmente costa la roba e quanto "l'elite" ci sta lucrando sopra ?
    Sono daccordo con te.

    Muovo solo qualche precisazione all'articolo perchè comunque, prendendo per completo il mercato del tessile (e le sue sfumature), i prezzi variano.

    Mi spiego meglio:

    Ci può essere un Jeans a 2 dollari o da 10, dipende dal tipo di fibra che vai ad usare e dalla lavorazione. E così è per i maglioni, vestiti, felpe e via dicendo.

    Tante volte l'unica cosa che cambia è il costo della manodopera e basta. Determinati tipi di tessile vengono dall'India, altri dal Pakistan e così via...e tutti si importano i vari componenti di fabbricazione per i quali il costo spesso non cambia. C'è un piccolo ricarico nell'Est del mondo per i quantitativi enormi che si vanno a proporre, c'è un ricarico spropositato nell'Occidente perchè ci si vuole mangiare di più. Così va il mondo.

    Poi ci sono tessuti particolari, lavorazioni di punto e di fibre, composti direttamente in Occidente. E' la moda che detta la legge di mercato in base al livello al quale uno si vuole vestire. Esiste la differenziazione del prodotto, il capo unico, originale e così via. Senza questo si appiattisce tutto. Ma qui parlo dell'alta moda...

    Ciò non toglie che alcuni ricarichi siano spropositati. Togliendo l'alta moda, prendendo le marche di secondo livello, il prodotto venduto a tali cifre non mette in crisi solamente il consumatore ma gli stessi franchising, costretti a prendere l'intero campionario che viene spesso venduto al 50% del valore iniziale.

    Tornando ai costi di produzione un jeans della Levis non può costare 1 Euro di fabbricazione altrimenti il tessuto è rubato e l'operaio non stipendiato. La merce a bassissimo costo di produzione è una favola. Costano poco solo gli stock (produzioni invendute, rubate, vecchie di 1-2-3 anni).

    Sfatiamo anche questo mito che in base a dove vai produci a costo zero.


    Il resto lo fa l'onestà di chi commissiona il lavoro e di chi vende direttamente al consumatore.


    Saluti,
    Stefano

  5. #5
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    sta di aftto che i profitti delle aziende produttrici ed esportatrici cinesi sono minime per unità di prodotto (giocano suo numero) e sono massime per gli importatori occidentali.
    Per quanto riguarda i dazi sul tessile c'è un equivoco quando si parla unicamente di Cina.
    Occorrerebbe bloccare contemporaneamente, anzi maggiormente le merci provenienti da India, Vietnam, Indonesia, Bangaladesh che spesso sono i veri produttori delle ”cineserie” e del tessile e abbigliamento. Una parte consistente del tessile in Europa proviene dal Pakistan, 2/3 delle esportazioni, 1.400.000 posti di lavoro e più dell'11% del PIL, dal Bengaladesh, anche se di recente la sua industria e quasi crollata per la maggiore efficienza delle infrastrutture indiane e cinesi e dalla Cambogia che dipendono per il 70% delle loro esportazioni dal tessile. Nello Sri Lanka rappresenta il 15% di tutta l’economia e il 65% dell'esportazione industriale. Secondo un articolo del Washington Post, il 93% di queste esportazioni va verso gli USA e la UE. In Mongolia il tessile occupa il 30% della forza lavoro e il 12% dell’export (un cinquantina di aziende sono cinesi). Egitto e Salvador, Tunisia e Messico, Botswana e Guam hanno anch’essi un importante settore tessile. Bisogna subito dire che per la maggior parte di questi paesi hanno condizioni di lavoro molto peggiori dei cinesi essendo paesi più poveri. La maggior parte delle merci d’esportazione cinesi noi non le abbiamo mai prodotte e sarebbe problematico iniziare a produrle ora. Le esportazioni della Cina sono formate per oltre il 28% di Hi Tech, dal 56% di elettronica di consumo che comunque non abbiamo MAI prodotto in Italia. Prima importavamo da Corea o Taiwan e ancora prima dal Giappone. Il 94% delle esportazioni è costituito da assemblati. Quindi quando si pensa alla Cina come esportatori quasi esclusivamente di tessile abbigliamento o di “cineserie” si sbaglia di grosso.
    I nostri computers e I-pod sono made in China difficilmente le nostre magliette.

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da Red Shadow Visualizza Messaggio
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    Il problema di fondo e' che in Europa ci fanno pagare tutta la roba cifre da capogiro, non giustificabili in nessun modo, il tutto per mantenere un mondo di calciatori star e attori vari che prendono milioni di euro per indossare una maglietta. Ora arrivano i cinesi e ci dicono, "guardate che per produrre e vendere un paio di jeans bastano 10 euro" e tutti vanno fuori di testa, e cominciano a dire che vengono prodotti con l'uranio arricchito, invece il problema non e' dei cinesi, il problema e' nostro che paghiamo una follia quello che compriamo. L'unica difesa per queste persone e' denigrare a piu' non posso la Cina fino a quando il nostro sistema di merda non si instaura pure in Cina. Ovvio poi che ci sono anche fabbriche con misure di sicurezza inefficienti o magari con degli schiavi, il paese e' grande e questo e' il pedaggio per il progresso che tutti i paesi (italia compresa) hanno pagato ma il punto e' che la cina rappresenta un pericolo per l'elite della societa'. I veri schiavi siamo noi, come ti spieghi che nonostante il progresso e nonostane macchinari incredibili, continuiamo a lavorare 8 ore al giorno e alcuni non arrivano a fine mese. Adesso per di piu' nenche si riesce a comprare una casa per viverci. Ma come ?? Ci dicono che il PIL cresce, che l'economia non e' in recessione da anni, che la scienza ed il progresso imperano e noi stiamo peggio ??? Cazzo succede ? Ma allora qualcuno racconta delle balle... Dall'altra parte vedo gente che per sorridere 20 secondi in TV prende piu' di quello che potro' mai guadagnare in vita mia. Allora mi chiedo , ma non e' che nella progredita europa ci sia una gran presa per il culo della gente "normale" che lavora da sempre e tutto il surplus va a finire nelle tasche della gente "d'elite" ? Non e' che il vero pericolo della cina e' che ci sta facendo sapere quanto realmente costa la roba e quanto "l'elite" ci sta lucrando sopra ?
    mi sa che hai scoperto l'acqua calda

 

 

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