tiriamolo su.
la Torino NERA che non arretra !!
di Gianni Pennacchi
Debbo confessare che quella «foto di gruppo», chiamiamola così, riprodotta a metà del libro e che forse farà scalpore - sai tu quanti e quali dibattiti sulla «natura del Sessantotto» finirà con l’alimentare - per me non è affatto una novità. Anzi, la conosco benissimo. È scolpita nella memoria, anche se da un’altra visuale, opposta a quella delle camionette della polizia. Il mio fotogramma è scattato dalla scalinata di Valle Giulia; e anche se visti di spalle, i giovani che in quel momento fronteggiavano le gip della Celere li conoscevo. Li conoscevano tutti, nel movimento studentesco romano. E che fossero fasci, in quel 1° marzo di quarant’anni fa, non scandalizzava nessuno.
O meglio: scandalizzava i burocrati del Pci e quelli del Msi, che quindici giorni dopo provvidero a restaurare il giusto ordine delle cose anche nella ribellione giovanile, con la sciagurata spedizione di Almirante e Caradonna alla facoltà di Giurisprudenza: blitz che ristabilì l’egemonia dei due partiti sulle rispettive aree ideologiche, e guai agli eretici. Sarà un caso se un anno e mezzo dopo, quando a Piazza Fontana e sull’Altare della Patria s’aprì la stagione delle stragi, nel mirino finirono anarchici, nazimaoisti, gruppettari di destra e di sinistra?
Il libro che, insieme ad altre, ripropone tale foto, è quello di Nicola Rao Il sangue e la celtica (Sperling&Kupfer, in libreria da martedì 14 ottobre; 458 pagine, euro 18). Per onorare il titolo parte dagli anni Cinquanta, raccontando del neofascismo armato che voleva «vendicare Piazzale Loreto», ma giunge presto al Sessantotto, da qui muove per concludersi non a caso con le stragi, quel rosario insanguinato che dal 12 dicembre 1969 giunge a Piazza della Loggia, l’Italicus e via terrorizzando, sino all’alba cupa degli anni di piombo. Ordine Nero, il golpe Borghese, Avanguardia Nazionale, sono i protagonisti della storia di Rao. Il quale, avendo scritto due anni fa La fiamma e la celtica, non poteva che proseguire con questo libro. Ma essendo persona precisa, ha già quasi pronto il terzo, che s’intitola Il piombo e la celtica, e che uscirà l’anno prossimo.
Quella foto però, è cruciale. Non solo perché documenta una realtà rimossa dalla storiografia ufficiale e dalla memoria di sinistra, ma perché la «battaglia di Valle Giulia» come pomposamente viene chiamata dai reduci, rappresenta la scintilla di un Sessantotto che non c’è stato. Come l’isola di Peter Pan. Mario Merlino - il “mago” poi implicato nella madre di tutte le stragi - che indica all’autore i personaggi con spranghe o sanpietrini, «questo con i capelli lunghi sono io, con una molotov in mano, questo è Tonino Fiore... questo è Franco Papitto... questo coperto è Guido Paglia... tutti quelli più dietro sono dei compagni», e ancora Stefano Delle Chiaie detto er Caccola per via della statura, Adriano Tilgher e svariati altri camerati, racconta una verità nota e condivisa dall’intero movimento studentesco. Rao certamente esagera, quando scrive che «l’assalto alla polizia degli studenti romani fu dunque lanciato e guidato dagli universitari fascisti». Basta cercare altre foto di quella giornata: in una spicca un giovanissimo Giuliano Ferrara più impavido all’assalto e scatenato di Paglia.
Gli è che quando alla Sapienza iniziarono le occupazioni, mentre a Lettere e Architettura dominavano i giovani di sinistra espulsi o in rotta col Pci, a Legge prevalevano quelli di destra ormai border line con la Fiamma di Arturo Michelini collaterale alla Dc. Ma le due aree convivevano, s’annusavano, per quanto sommessamente dialogavano. Non fosse stato per l’intervento del 16 marzo, con l’assalto a Giurisprudenza del Msi, avrebbero anche potuto incontrarsi, sull’isola che non c’è. Per menar le mani si incontrarono ugualmente anche dopo Valle Giulia e la separazione imposta dai partiti bisognosi di «opposti estremismi», se quando il movimento andò a manifestare per il maggio francese represso, cercando di giungere sotto l’ambasciata e divampò la guerriglia urbana intorno a Piazza Farnese, in quei vicoli erano in azione pure i fasci. Forse non ci sono foto, ma io li ho incontrati.
Dopo Valle Giulia, è la storia della gioventù di destra che non voleva starci, quella che ha scelto - o forse è stata costretta a scegliere - la violenza. Speculare a quella dei giovani di sinistra che rifiutavano la protezione e il controllo del partito madre. Quel che oggi ancora rimane incomprensibile, è perché le due «fazioni» si siano esercitate principalmente a massacrarsi tra loro, almeno sino all’avvento degli anni di piombo. Il libro di Rao però, offre un contributo per questa risposta. Oltre a svariate rivelazioni, come quella fatta da Guido Paglia sul mistero di un suo portafoglio smarrito nel dicembre ’69 e delle avventure capitategli per l’omonimia con un altro giornalista di destra, Guido Giannettini.
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Camerati & compagni. "Per Valle Giulia ci fu un patto coi rossi"
di Gianni Pennacchi
Non mi dica che anche lei sta per scrivere un libro.
«Purtroppo sì. Si intitola E venne Valle Giulia, in libreria alla fine di ottobre per l’editrice Settimo Sigillo. Io però preferisco il sottotitolo: un ragazzaccio in camicia nera racconta».
E racconta pure di quella foto scattata il 1° marzo 1968 a Valle Giulia?
«Sì, quando noi giovani neofascisti eravamo una componente del movimento studentesco romano. Componente legittima e riconosciuta, perché forse la storiografia ufficiale sorvola, ma la sera precedente ci fu un incontro e un accordo per riprenderci Architettura che era stata sgomberata dalla polizia».
Nomi Merlino, nomi. So che a Legge eravate più forti voi, fasci in odore d’eresia per il Msi, ma l’accordo con i rossi chi lo fece?
«Franco Piperno, Franco Russo e Massimiliano Fuksas per la sinistra, Stefano Delle Chiaie e Guido Paglia per la nostra parte. Concordarono che non dovevano esserci bandiere né striscioni, ma il movimento doveva dare un segnale forte».
Ed è sicuro di non sbagliarsi, riconoscendo i suoi camerati/compagni con spranghe e molotov?
«Assolutamente. Se mi riconosco in quello con la bottiglia e una stecca di panchina in mano... ».
Va be’, ma non mi dica che avete fatto tutto voi, e che i rossi erano verginelle.
«Diciamo che abbiamo dato un contributo decisivo».
E al Msi stapparono champagne, immagino.
«Faccia pure lo spiritoso, ma Arturo Michelini, segretario nazionale del Msi, quella mattina era lì, a godersi lo spettacolo dal finestrino posteriore della sua macchina. E poi ci fece avere il suo apprezzamento».
Sì, mandando poi Almirante e Caradonna a sfrattarvi da Legge. O no?
«Sì, è vero. Ma sono profondamente convinto che quel blitz del 16 marzo nacque da un accordo più o meno esplicito tra Msi, Pci e Viminale, affinché ognuno riacquistasse il controllo pieno della propria area e l’ordine tornasse a regnare a Varsavia. Così l’eresia, di destra e di sinistra, venne condannata al rogo degli opposti estremismi».
Esagerato!
«Esagerato? Ha forse dimenticato quel che accadde nel nostro paese soltanto a dicembre dell’anno dopo, e poi negli anni successivi, quelli di piombo? Molti, tanti, che rifiutarono la normalizzazione hanno finito col pagare tragedie per se stessi e per altri. L’Italia poteva essere diversa, senza quel patto scellerato. Saremmo stati tutti più liberi e più belli».
Sì, tutti piccoli Scamarcio... Mi perdoni l’ironia, lei in fin dei conti è finito dritto e per primo nella madre di tutte le stragi: riconosciuto infine innocente, ma dopo 4 anni di carcere e 17 anni di processi. La sua anima s’è liberata, almeno di questo peso?
«La mia sì, è l’anima degli altri che rimane prigioniera: all’ingresso della scuola dove insegno, sul muro di sinistra c’è scritto Merlino boia, su quello di destra W Merlino fascista. Entrambe mi lasciano indifferente, ormai».
Vuol raccontare come andò quella storia della molotov contro la sezione missina del Colle Oppio, la sua vecchia sezione, per dimostrare agli anarchici “veri” che lei non era un doppiogiochista?
«Io non dovevo dimostrare nulla, il mio percorso politico era noto a tutti. Per quanto riguarda quella molotov, che la vulgata mi attribuisce, a me pare di ricordare che a lanciarla fu Salvatore Ippolito, il “compagno Andrea” infiltrato dalla questura nel circolo anarchico 22 marzo».
Se l’aspettava di essere accusato per le bombe di Piazza Fontana e all’Altare della Patria?
«Ma scherza? Quando sono venuti a prendermi, la sera del 12 dicembre, mi ero appena fatto lo shampoo per andare a una festa. E uscendo coi poliziotti ho detto a mia madre: “Ma’, lasciami in caldo la cena”. L’ho mangiata quattro anni dopo, un po’ fredda».
C’è qualcosa di quella sua lunga carcerazione, che non è ancora nota?
«Alcune le troverà nel mio libro, ma questa che ora le racconto non c’è. Ero a Regina Coeli da circa un anno, e i miei avvocati erano sotto intercettazione. Così la polizia seppe di una memoria difensiva in preparazione che denunciava la presenza di un informatore dei servizi segreti nell’Ufficio politico della questura di Roma la sera stessa delle bombe. Così il commissario Improta convocò il mio avvocato, Costante Armentano Conte, che un po’ serio e un po’ scherzando, gli rimproverava i verbali che avevano raccolto da tutti noi del 22 marzo. Il giorno dopo nel colloquio in carcere, l’avvocato mi raccontò che Improta gli aveva risposto: “Ma noi non siamo la questura di Milano che interroga sul davanzale della finestra”. Io ormai, non mi stupivo più di nulla».
Di quei giovani, ormai stagionati in verità, di un tempo, frequenta ancora qualcuno?
«Tutti quelli che non sono morti, o non si sono arresi».
da il Giornale del 13 ottobre 2008
spero di riuscire a liberarmi presto venerdì!
Sul corteo di oggi a Roma ........analogie ?
di Metapolis
a) che l'unità generazionale è stata minacciata ancora una volta solo e soltanto dall'idiozia trinariciuta e superstiziosa che va sotto il nome macabro di antifascismo
b) che a Roma, come 40 anni fa, le avanguardie si sentono fasciste
c) che queste avanguardie sono seguite.
Ora, attendendo trame, strategie della tensione, anatemi e proclami da parte degli stregoni del paleolitico schierati a difesa dei privilegi baronali, godiamoci un fatto
Ora come allora vince lo spirito di Valle Giulia!