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Discussione: Dante Esoterico

  1. #1
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    Dante Esoterico

    Esoterismo nella Divina Commedia

    Creature fantastiche e numeri magici

    Il segno zodiacale primario della Commedia è lo Scorpione, da sempre collegato alle energie infere dell’inconscio, che l’uomo deve affrontare e sconfiggere.
    Lo Scorpione ha un potere pericoloso: quello di scrutare nell’animo umano, con il rischio di smarrirsi nei suoi tortuosi labirinti subconsci, popolati di creature angeliche ma anche terrificanti. Il tipo Scorpione è destinato a passare attraverso mondi oscuri, in una sorta di viaggio iniziatico per purificarsi e tornare a vedere la Luce Divina. E Dante, nell’Inferno, parte proprio da una selva oscura e finisce con l’uscire a riveder le stelle.
    Ma tra queste due fasi, prima della purificazione, incontra una serie di mostri, ibridi e creature fantastiche, discendenze letterarie della mitologia classica e delle tradizioni popolari. Per ricordare i più celebri: Cerbero, demone pagano figlio di Tifeo ed Echidna, cane con tre teste e coda di serpente, collocato a guardia dell’Averno per impedire alle ombre di uscire ed ai vivi di entrare; Caronte, dimonio, con occhi di bragia, figlio dell’Erebo e della Notte, infernale traghettatore delle anime nell’aldilà; le Erinni, tre furie infernal di sangue tinte, persecutrici dei colpevoli di delitti contro i consanguinei e l’ordine gerarchico familiare; le Arpie, figlie di Taumante e dell’oceanina Elettra, mostri dal volto di donna e corpo di uccello, che nella selva dei suicidi nidificano fra i rami. Sono tutte figure collegate alla natura scorpionica della Commedia, simboli di paure ancestrali dell’uomo, che Dante affronta e “sconfigge” nel suo viaggio di rinascita spirituale.
    Proprio dallo studio astrologico degli antichi popoli d’Oriente, derivano le corrispondenze numerologiche che hanno dato vita alla Cabala ebraica e alle varie altre forme di numerologia, fino alla Smorfia nostrana. Nel tempo in cui visse Dante l’aspetto “numeristico” dell’universo veniva studiato nell’ambito filosofico e per estensione letterario, e molti sono i numeri che costituiscono la struttura nascosta della Commedia: vediamone i più importanti.
    1 e 3 sono fondamentali, ed il riferimento primario è naturalmente Dio Uno e Trino. I canti sono 100, numero perfettissimo perché potenza di 10, a sua volta connesso all’1 Divino. Il primo canto è il prologo di tutta l’opera, a cui seguono 33+33+33 canti. Ma Tripartito è anche il Male, il Peccato e quindi l’Inferno (Incontinenza, Violenza, Frode). Di conseguenza, tripartito è l’Acheronte, fiume infero, in Stige, Cocito e Flegetonte.
    4 è un numero astrologicamente molto importante poiché richiama gli elementi primari, aria acqua terra e fuoco, e 4 sono le morti simboliche di Dante: sviene nella Selva Oscura, precipita al piano dell’Acheronte, cade come corpo morto cade davanti agli spiriti di Paolo e Francesca, cade vinto, infine, nel Purgatorio prima del Lete. Vi sono 4 terremoti, 4 ruine e 4 fiumi, 4 volte sorride Virgilio.
    Il 5 viene utilizzato da Dante per indicare gli aspetti maligni delle cose: la Luna compie 5 cicli prima che Ulisse coli a picco, 5 sono gli eretici dalle laide colpe. In conclusione, sono tantissime le chiavi di lettura misteriose nascoste tra i versi danteschi, e quindi, dopo tanti secoli, la Divina Commedia è ancora tutta da scoprire.
    Francesca Cappabianca

  2. #2
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    Il Dante esoterico svelato da Guénon

    1 January 2000 (168) | Autore: Alberto Lombardo
    Nel magistrale L’esoterismo di Dante, René Guénon svelò la visuale per comprendere il senso nascosto del poema

    Pubblicato per la prima volta nella “Piccola Biblioteca” delle edizioni Adelphi, il breve saggio di René Guénon L’esoterismo di Dante costituisce, come quasi ogni libro di questo autore, un prezioso scrigno ricco di inestimabili tesori. “Dante indica in modo esplicito che nella sua opera vi è un “senso nascosto”, propriamente dottrinale, di cui il senso esteriore e apparente è soltanto un velo, e che deve essere ricercato da coloro i quali sono capaci di penetrarlo”: prendendo spunto dall’indicazione dantesca circa i quattro livelli a cui può essere attinto il senso dell’opera, il metafisico francese (di cui cade quest’anno il cinquantennale della morte) si interessa proprio all’ultimo, che definisce esoterico. Non è del resto un caso che le maggiori divergenze della critica continuino a vertere su questo significato, per comprendere il quale è necessaria, oltre a una speciale predisposizione, una qualificazione di tipo “tradizionale”. A parte i fondamentali studi del Valli - di poco successivi al saggio di Guénon, che nella versione originale è del 1925 - in italiano ben poche letture sono state fatte in questa direzione così difficoltosa.

    Passo per passo, e con la frequente allusione a simboli appartenenti alle più varie tradizioni, Guénon ci conduce nell’universo spirituale da cui scaturì la mirabile creazione dantesca. La struttura cosmica, le divisioni temporali e spaziali, i regni animale, vegetale e minerale, i numeri simbolici e le loro proporzioni, tutto rientra in un grande affresco di simboli che allude a un’esperienza iniziatica. Sulla scienza dei numeri in Dante, in particolare, lo studioso francese mette in chiaro come esistano paralleli significativi con numerosi altri ambiti tradizionali, inclusa forse persino la Qabbalah ebraica, ma con ben maggiore certezza il Pitagorismo, che fondava la sua scienza sui rapporti e le proporzioni dei numeri, più che sul valore numerico di caratteri dell’alfabeto.

    Lo studioso francese è costretto ad accennare poi a numerose implicazioni storiche, dalla distruzione dell’Ordine del Tempio alla nascita del Rosicrucianesimo e della Massoneria: questi e altri episodi vengono letti “tra le righe”, cioè per quel che di sovratemporale e assoluto agì tramite essi. Una digressione assai interessante riguarda i Viaggi extraterrestri nelle differenti tradizioni (di questo infatti si tratta nel caso della Divina Commedia): con una serie di significativi paralleli, Guénon ci rammenta la sostanziale identità del viaggio dantesco con quelli descritti da Mohyiddin ibn Arabi, il più grande dei maestri spirituali dell’Islam: “Tali coincidenze, fin nei dettagli più minuti, non possono essere accidentali, e abbiamo più d’un motivo per credere che Dante si sia effettivamente ispirato, per una parte importante della sua opera, agli scritti di Mohyiddin”. Nelle opere di quest’ultimo si trovano poi numerose immagini proprie di tradizioni millenarie, o meglio sarebbe dire della Tradizione Una: per questa ragione i critici sono giunti persino a pensare a influenze indiane su Dante. Anche la struttura del cosmo che si articola in tre mondi è tipicamente tradizionale, e si manifesta tanto nell’immagine di un sovramondo, il mondo terreno e un mondo infero quanto in quella di un sovramondo, il mondo terreno e un mondo etereo che mette i due precedenti in comunicazione. Ma queste due varianti corrispondono, come ben spiega Guénon, a una medesima struttura cosmica, in cui l’intero universo pare fondarsi sull’equilibrio ternario.

    Un altro aspetto di indubbio interesse riguarda l’interpretazione del “ghibellinismo” dantesco. A tale proposito, Guénon sostiene che fare di Dante “un precursore del protestantesimo, o forse anche della Rivoluzione Francese, per il semplice fatto che fu un avversario del papato sul terreno politico, è misconoscere interamente il suo pensiero e non capir nulla dello spirito della sua epoca”. Dante non è un semplice uomo del suo tempo: è portatore di un messaggio universale, poiché parla il linguaggio della metafisica, ossia quello simbolico. Quelle correnti dell’esoterismo che affondano le loro radici sin nei tempi di Dante (Rosicrucianesimo, Massoneria, certo “post-templarismo”) e nel gruppo dei Fedeli d’Amore avrebbero invece subito un generale processo di involuzione e di rovesciamento, sino a divenire gli strumenti della controiniziazione e della sovversione: dunque ogni assimilazione è non solo arbitraria, ma del tutto errata.

    Insomma questo agile volumetto è un’autentica miniera di sapienza: e non si potrà affermare di conoscere l’opera di Dante, ignorando gli spunti intellettuali che qui vengono offerti.

    * * *


    Pubblicato su La Padania del 19.II.2002.

    René Guénon, L’esoterismo di Dante, Adelphi, Milano 2001, pp. 106, £14.000.

    I Capitoli del libro:
    · Cap. I - Senso apparente e senso nascosto
    · Cap. II - La Fede Santa
    · Cap. III - Avvicinamenti massonici ed ermetici
    · Cap. IV - Dante e il Rosicrucianesimo
    · Cap. V - Viaggi extra terrestri in differenti tradizioni
    · Cap. VI - I tre mondi
    · Cap. VII - I numeri simbolici
    · Cap. VIII - I cicli cosmici
    · Cap. IX - Errori delle interpretazioni sistematiche


    http://www.centrostudilaruna.it/esoterismodante.html

  3. #3
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    Senso apparente e senso nascosto - Da L'esoterismo di Dante (René Guénon)


    "0 voi che avete gl'intelletti sani,
    Mirate la dottrina che s'asconde
    Sotto il velame delli versi strani!"
    Con queste parole (1), Dante indica in modo molto esplicito che nella sua opera vi è un senso nascosto, propriamente dottrinale, di cui il senso esteriore e apparente è soltanto un velo, e che deve essere ricercato da coloro i quali sono capaci di penetrarlo. Altrove, il poeta va più lontano ancora, poiché dichiara che tutte le scritture, e.non soltanto quelle sacre: "si possono intendere e debbonsi sponere massimamente per quattro sensi" (2). è evidente, d'altronde, che questi diversi significati non possono in nessun caso distruggersi od opporsi, ma debbono invece completarsi ed armonizzarsi come le parti di uno stesso tutto, come gli elementi costitutivi di una sintesi unica.
    Così, che la Divina Commedia, nel sue insieme, possa interpretarsi in più sensi, è una cosa che non può essere messa in dubbio, poiché abbiamo a tal riguardo proprio la testimonianza del suo autore, sicuramente meglio qualificato di ogni altro per informarci delle sue intenzioni. La difficoltà comincia solamente quando si tratta di determinare questi diversi significati, soprattutto i più elevati o i più profondi, e anche a tal riguardo cominciano naturalmente le divergenze di vedute fra i commentatori. Questi si trovano generalmente d'accordo nel riconoscere, sotto il senso letterale del racconto poetico, un senso filosofico, o piuttosto filosofico-teologico, ed anche un senso politico e sociale; ma, con il senso letterale stesso, non si arriva così che a tre sensi, e Dante ci avverte di cercarne quattro; quale è dunque il quarto? Per noi, non può essere che un senso propriamente iniziatico, metafisico nella sua essenza. ed al quale si riattaccano molteplici dati, i quali senza essere tutti d'ordine puramente metafisico, presentano un carattere ugualmente esoterico. è precisamente in ragione di questo carattere che un tal senso profondo è completamente sfuggito alla maggior parte dei commentatori; e tuttavia, se viene ignorato o misconosciuto, gli altri sensi stessi non possono essere afferrati che parzialmente, poiché esso è come il loro principio, nel quale la loro molteplicità si coordina e si unifica.
    Coloro stessi che hanno intravisto questo lato esoterico dell'opera di Dante si sono molto ingannati quanto alla sua vera natura, dato che, il più delle volte, non avevano la reale comprensione di queste cose, e dato che la loro interpretazione risentiva di pregiudizi che era loro impossibile evitare. Così Rossetti e Aroux, che furono fra i primi a segnalare l'esistenza di questo esoterismo, credettero poter concludere all'"eresia" di Dante, senza rendersi conto che così mischiavano delle considerazioni riferentisi a dominii del tutto differenti; la verità è che, pur sapendo certe cose, ve ne sono molte altre che essi ignoravano e noi cercheremo di indicarle, senza avere affatto la pretesa di dare un'esposizione completa di un soggetto che sembra veramente inesauribile.
    La questione per Aroux si è posta in questi termini: Dante fu cattolico o albigese? Per altri, essa sembra piuttosto porsi nel modo seguente: fu cristiano o pagano (3)? Da parte nostra, non pensiamo che questo sia il punto di vista da cui porsi, poiché il vero esoterismo è una cosa del tutto differente dalla religione esteriore, e, se ha qualche rapporto con questa, non può essere che in quanto trova nelle forme religiose un modo d'espressione simbolico; d'altronde, importa poco che queste forme siano quelle di tale o di tal'altra religione, poiché ciò di cui si tratta è l'unità dottrinale essenziale la quale si dissimula dietro la loro apparente diversità. Tale è la ragione per cui gli iniziati antichi partecipavano indistintamente a tutti i culti esteriori, secondo i costumi stabiliti nei diversi paesi dove si trovavano; ed è anche perché Dante vedeva questa unità fondamentale, e non per l'effetto di un "sincretismo" superficiale, che ha usato indifferentemente, secondo i casi, un linguaggio preso sia dal cristianesimo e sia dall'antichità greco-romana. La metafisica pura non è né pagana né cristiana, è universale; i misteri antichi non erano paganesimo, ma vi si sovrapponevano (4); e parimenti, nel medio-evo, vi furono organizzazioni il cui carattere era iniziatico e non religioso, ma che avevano la loro base nel cattolicesimo. Se Dante appartenne a qualcuna di queste organizzazioni, il che ci sembra incontestabile, non è dunque questa una ragione per dichiararlo "eretico"; coloro che pensano in tal modo hanno del medio evo una idea falsa o incompleta; non ne vedono per così dire che l'esteriore, poiché, per tutto il resto, non vi è più nulla nel mondo moderno che possa servir loro da termine di paragone.
    Se tale fu il carattere reale di tutte le organizzazioni iniziatiche, non vi furono che due casi per i quali l'accusa di "eresia" potette essere portata contro alcune di esse o contro qualcuno dei loro membri, e ciò per nascondere altre accuse molto meglio fondate o per lo meno più vere, ma che non potevano essere formulate apertamente. Il primo di questi due casi è quello per cui alcuni iniziati hanno potuto abbandonarsi a divulgazioni inopportune, a rischio di gettare disturbo negli spiriti non preparati alla conoscenza delle verità superiori, ed anche di provocare disordini dal punto di vista sociale; gli autori di simili divulgazioni avevano il torto di creare essi stessi una confusione fra i due ordini esoterico e exoterico, confusione che, insomma, giustificava sufficientemente il rimprovero, di "eresia"; e questo caso si è presentato diverse volte nell'Islam (5), dove tuttavia le scuole esoteriche non incontrano normalmente alcuna ostilità da parte delle autorità religiose e giuridiche rappresentanti l'exoterismo. In riguardo al secondo caso, è quello per cui la stessa accusa fu semplicemente presa a pretesto da un potere politico per rovinare degli avversari che esso stimava tanto più temibili quanto più erano difficili a raggiungere con i mezzi ordinarii; la distruzione dell'ordine del Tempio ne è l'esempio più celebre, e questo. avvenimento ha precisamente un rapporto diretto col soggetto del presente studio.
    Note
    (1) Inferno, IX, 61-63.

    (2) Convito, t. II, cap. 1°.

    (3) Cf. Arturo Reghini, L'Allegoria esoterica di Dante, nel "Nuovo Patto", settembre-novembre 1921, pp. 541-548.

    (4) Dobbiamo anche dire che preferiremmo un altro termine a quello di "paganesimo", imposto da un lungo uso, ma che all'origine fu soltanto un termine di disprezzo applicato alla religione greco-romana quando questa, all'ultimo grado della sua decadenza, si trovò ridotta allo stato di semplice "superstizione" popolare.

    (5) Facciamo specialmente allusione al celebre esempio di El-Hallâj, messo a morte a Baghdad nell'anno 309 dell'Egira (921 dell'era cristiana), e la cui memoria è venerata da coloro stessi che stimano che fu condannato giustamente per le sue imprudenti divulgazioni.


    Da: http://www.loggia-rene-guenon.it/Sito/Guenon/Bibliografia/Libri/Testi/EsoterismoDante/ Capitolo1.htm

  4. #4
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    Predefinito PIu che guenon

    mi entusiasmo' il saggio di Valli sui "Fedeli d'Amore"-
    Dante era certamente un Templare ed un Fedele d'Amore

  5. #5
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    L'ESOTERISMO DI DANTE

    di Francesco Lamendola
    per Edicolaweb



    Esoterico era l'insegnamento impartito ai discepoli di alcune scuole filosofiche (segnatamente, il Pitagorismo): si trattava di un sapere intimo e segreto che, per tale sua natura, non doveva essere reso pubblico.

    La tradizione, o la leggenda, vuole che un seguace della scuola pitagorica venisse ucciso per aver divulgato la scoperta dei numeri irrazionali, che sembrava incrinare il quadro di una matematica divinamente armoniosa, pervadente l'intero Universo. Questo, comunque, può dare un'idea del carattere cogente di segretezza che caratterizzava i saperi esoterici.
    Ancor più segreti, se possibile, erano i riti esoterici negli antichi Misteri, che erano quelli riservati ai soli iniziati. Il fatto che Gesù Cristo non ha, personalmente, messo per iscritto la propria dottrina ha favorito la nascita di un Cristianesimo esoterico, ossia degli iniziati, che ha storicamente assunto una posizione critica nei confronti dell'interpretazione canonica delle Sacre Scritture (e contestato l'esclusione dei Vangeli apocrifi).
    Tornando alla filosofia, si dice quindi "essoterica" una dottrina che può essere conosciuta anche dai profani; particolarmente, di quel settore dell'insegnamento, nelle antiche scuole filosofiche, a cui era ammesso un pubblico più largo. Essoterici erano detti i discepoli non iniziati, ammessi all'insegnamento essoterico.
    Per capire questo fenomeno, occorre rifarsi al diverso rapporto esistente in Occidente, nell'antichità (e in Oriente anche in seguito), fra il "corpus" di determinate dottrine e i suoi eventuali destinatari.
    A noi, figli dell'Illuminismo e delle Rivoluzioni democratico-borghesi, e quindi portati a una visione "democratica" e anti-aristocratica del fenomeno culturale, la cosa a tutta prima può risultare malagevole.
    La filosofia antica, come ha esemplarmente chiarito Aristotele nell'"Etica Nicomachea", non mirava a una semplice "saggezza" (phrónesis"), relativa alle cose mutevoli e contingenti, ma a una suprema "sapienza" ("sophía"), contemplazione delle cose eterne e, quindi, capace di rendere quasi divini coloro che la raggiungevano. Di conseguenza, non tutti possono accedere ai livelli superiori del sapere, perché non tutti potrebbero comprenderli a fondo e quindi farne un buon uso. Non da egoistico esclusivismo ma da autentica preoccupazione pedagogica e sociale deriva allora l'opportunità di trasmettere solo a discepoli scelti, e con estrema prudenza, il sapere ultimo del maestro. Da ciò la diffidenza nei confronti della parola scritta, del libro, che appunto non distingue fra coloro che hanno i requisiti per accedere alle verità superiori e coloro che non li possiedono.
    Il maestro, pertanto, per dirla con Omero , non deve "buttare le proprie parole"; esse devono cadere solo entro orecchi di persone capaci di assumersi le proprie responsabilità che il vero comporta.
    Platone, ad esempio, nella VII lettera (generalmente considerata autentica), così si esprime:

    "Ogni uomo serio deve con grande cura evitare di dare mai in pasto le cose serie, scrivendo su di esse, all'invidia e all'incapacità di capire degli uomini." E ancora: "Questo ho da dire su tutti quelli che hanno scritto o scriveranno, quanti sostengono di conoscere l'oggetto delle mie indagini, sia per averlo ascoltato da me sia da altri, sia per averlo scoperto da se stessi: non è possibile, a mio parere, che costoro abbiano capito niente dell'argomento. Certamente non esiste un mio scritto sul tema né mai esisterà. Infatti non può essere enunciato in nessun modo come gli altri insegnamenti; ma in seguito a una lunga frequentazione del suo oggetto, e dal conviverci, all'improvviso, come una luce che si accende da una scintilla di fuoco, compare nell'anima e si nutre ormai da se stesso. E so almeno che queste cose, se fossero scritte o dette da me, lo sarebbero nel modo migliore; e se fossero scritte male, ne soffrirei moltissimo. Se poi avessi ritenuto che fossero da scrivere in modo sufficiente per la massa e fossero comunicabili, quale compito più nobile avrei potuto affrontare nella vita, dello scrivere una cosa che è di grande utilità per gli uomini e del portare in piena luce per tutti quanti la natura? Ma non penso che il metter mano, come si dice, a questi argomenti sia un bene per gli uomini, se non per un numero limitato di persone capaci di arrivarci da se stesse attraverso una minima indicazione..."

    Trasmissione orale, quindi, e segreta del sapere da maestro a discepolo.
    Nel Medioevo l'esoterismo modifica solo di poco tale concezione. Il sapere esoterico può anche essere scritto, ma solo mediante una sorta di codice che faccia da filtro rispetto ai lettori: i veri destinatari riusciranno a decodificare il testo "con l'aiuto di una minima indicazione", come voleva Platone; tutti gli altri crederanno di aver capito e invece non capiranno - e ciò sarà un bene per loro e per la società intera.
    È questo il caso della magia, dell'alchimia, dell'astrologia, e non solo per quanto riguarda la comunicazione scritta, ma anche quella delle arti figurative: ad esempio, le sculture delle cattedrali gotiche. (3)
    Ed eccoci al punto.
    Nella XIII epistola, indirizzata a Cangrande della Scala, Dante Alighieri afferma che, a proposito della "Divina Commedia",

    «...è da sapersi che il senso di quest'opera non è unico, anzi può dirsi polisema, cioè di più sensi ("dici potest polisemas, hoc est plurium sensuum"). Infatti il primo senso è quello che si ha dalla lettera, l'altro è quello che si ha dal significato attraverso la lettera ("nam primus sensus est qui habetur per litteram, alius est qui habetur per significata per litteram"). E il primo si dice letterale, il secondo allegorico o morale o anagogico ("et primus dicitur litteralis, secundus vero allegoricus sive moralis sive anagogicus"). E si può esaminare questo modo di esporre, affinché appaia meglio, in questi versi: "All'uscita d'Israele dall'Egitto, della casa di Giacobbe di fra un popolo barbaro, la Giudea diventò il suo santuario, Israele il suo dominio." Infatti se guardiamo alla sola lettera, ci è significata l'uscita dei figli d'Israele dall'Egitto, al tempo di Mosè; se all'allegoria, ci è significata la nostra redenzione operata per mezzo del Cristo; se al senso morale, ci è significata la conversione dell'anima dal lutto e dalla miseria del peccato allo stato di grazia; se a quello anagogico, ci è significata l'uscita dell'anima santa dal servaggio di questa corruzione alla libertà della gloria eterna. E benché questi sensi mistici si appellino con vari nomi, si possono generalmente dir tutti allegorici, in quanto sono diversi da quello letterale o storico. Infatti si dice allegoria, dal greco "alleon", che in latino si dice "alienum" o "diversum". Visto ciò, è chiaro che occorre che duplice sia il soggetto, intorno al quale s'alternino i due sensi. E perciò si deve vedere riguardo al soggetto di quest'opera, secondo che si prende alla lettera; quindi, secondo che s'interpreta allegoricamente. Il soggetto di tutta l'opera dunque, presa solo letteralmente, è lo stato delle anime dopo la morte inteso genericamente; infatti su di esso e intorno a esso si svolge il procedimento di tutta l'opera. Se poi l'opera si prende allegoricamente, il soggetto è l'uomo, secondo che meritando o demeritando per la libertà d'arbitrio è soggetto alla giustizia del premio e del castigo.»

    E la stessa struttura polisensa è ravvisabile nelle opere minori di Dante, a cominciare da quella "Vita nova" che è tutta un succedersi di visioni, presagi, sogni e rivelazioni, dunque interamente pervasa di spirito allegorico. Già i primi commentatori ne ebbero l'intuizione e cominciarono col chiedersi chi sia Beatrice, questa figura misteriosa che attraversa luminosamente tutta l'opera e riappare poi nella "Commedia", per trionfare nei canti finali del "Purgatorio" e quindi nel "Paradiso", là dove Dante dice di lei "cosa che mai non fu detta d'alcuna". Donna reale o creatura simbolica?
    A partire dal Boccaccio si è andata consolidando l'interpretazione "realistica" di Beatrice, identificata nella figlia di Folco Portinari, che oggi persiste presso il vasto pubblico e nell'ambiente scolastico.
    Francesco Buti, nel suo commento alla "Commedia" del 1380, non solo nega che Beatrice sia la Portinari, ma che sia donna reale; e Pietro di Dante non fa il nome della Portinari nella prima redazione del suo commento, che è del 1340, ma solo nella terza, evidentemente riecheggiando il Boccaccio.
    Leonardo Bruni, nella sua "Vita di Dante" (1436), lamenta la parsimonia del Boccaccio nel narrare la vita pubblica e politica di Dante e ironizza sulla loquace facondia con cui si è soffermato sugli amori fanciulleschi della "Vita nova".
    Il Filelfo, sempre nel '400, come il Buti nega la fisicità di Beatrice e sembra piuttosto suggerire che sia un simbolo criptico, idea che sarà ripresa dal Rossetti. Tanto andava ricordato per evidenziare che non tutti i commentatori di Dante, e non subito, accettarono la storia di un amore di Dante per una donna ben precisa chiamata Beatrice, da lui vista la prima volta bimbo di nove anni e rivista, restandone per sempre folgorato, a diciotto.
    Nel 1723 il canonico Anton Maria Biscioni, nei suoi "Studi danteschi", torna a negare la fisicità di Beatrice e ne fa un simbolo di sapienza, paragonabile alla Sapienza di Salomone. Ma è Gabriele Rossetti, carbonaro e Rosacroce, (1783-1854), letterato e padre dei poeti in lingua inglese Dante Gabriele e Christina, che per primo imposta in termini complessivi le problematiche relative a Beatrice e a tutto il Dolce Stil Novo, interpretandole in chiave allegorica. I suoi studi danteschi sono raccolti nel "Commento analitico alla Divina Commedia" del 1826-27, e nei "Ragionamenti sulla Beatrice di Dante" del 1842 (4). In essi sostiene l'appartenenza di Dante a una setta segreta detta dei Fedeli d'Amore, il cui fine era una riforma radicale della Chiesa in senso ghibellino e antipapale. Ad essi si deve aggiungere "Il mistero dell'Amor platonico nel Medioevo" (5) e ancora "Sullo spirito antipapale che produsse la Riforma e sulla sua segreta influenza ch'esercitò nella letteratura d'Europa e specialmente d'Italia, come risulta da molti suoi classici, massime da Dante, Petrarca, Boccaccio" (1823).
    Rossetti vuol dimostrare che, al tempo di Dante, esisteva fra il popolo e fra le persone colte uno spirito antipapale largamente diffuso, e che non solo Dante, ma anche gli stilnovisti e, poi, Petrarca e Boccaccio condividevano in pieno tali sentimenti, sia pur in una prospettiva interna alla cristianità. Tuttavia la durezza con cui la Chiesa perseguitava i propri oppositori e ogni forma d'eresia, culminata nella crociata contro gli Albigesi del 1208-29 e negli eccidi condotti da Simone di Montfort, aveva indotto a una maggiore prudenza gli oppositori del papato.
    Di qui la necessità di un linguaggio criptico, allegorico e anagogico, che potesse venire inteso dagli affiliati ma il cui senso sfuggisse all'occhio vigile dell'Inquisizione.
    Insomma, Dante cercava, con la sua opera, di favorire un potente rinnovamento della chiesa cattolica ed era pertanto entrato a far parte di una setta, i "Fedeli d'Amore", i cui seguaci fingevano di sospirare per delle donne angelicate (la Beatrice di Dante, la Laura di Petrarca, la Fiammetta di Boccaccio), che simboleggiavano i loro ideali politico-religiosi.
    Servendosi di un lessico particolare, detto "della Gaia Scienza", e simulando l'amor platonico per altrettante donne, questi poeti (e i trovatori provenzali prima di loro), avevano fatto propria un'antichissima sapienza segreta, o meglio la tradizione di una sapienza occulta risalente agli antichi Egiziani e ai Greci e proseguita dai manichei, dai patarini e dai poeti siciliani della corte di Federico II.
    Rossetti identifica quindi Beatrice con la filosofia e sostiene che Dante, nel suo poema, sotto la forma della dottrina cattolica esprime una filosofia essenzialmente pitagorica; e accentua al massimo, per la natura stessa della sua interpretazione di Dante, il valore di un'esegesi imperniata sull'allegoria fin nei singoli versi, parole e sillabe, non solo della "Commedia" ma della "Vita nova" (6), esponendosi così alla critica di voler forzare il testo dantesco: e tuttavia supportando le proprie convinzioni con un bagaglio imponente di studi cui dedicò quasi l'intera sua vita.
    Le idee del Rossetti sembrano morire con lui, nel 1854, sprofondando rapidamente nell'oblio, mentre nella seconda metà dell'Ottocento si moltiplicano i commenti alla "Divina Commedia" in chiave rigorosamente ortodossa, con relative cattedre di dantologia.
    Nel 1865 esce però un libro di Francesco Paolo Perez (7), "Beatrice svelata", che riprende molte tesi care all'interpretazione esoterica di Dante e, in particolare, l'interpretazione di Beatrice con la Sapienza Santa del libro salomonico.
    Tale tentativo è ripreso, con sommo vigore, da Giovanni Pascoli, che pubblica nel 1898 "Minerva Oscura", nel 1900 "Sotto il velame" e nel 1902 "La mirabile visione", un vasto tentativo esegetico dell'opera di Dante dal quale il poeta romagnolo si aspettava riconoscimenti che non arrivarono e al quale aveva atteso con la massima serietà, ripromettendosene gloria imperitura.
    "Ti assicuro - scriveva a un amico giornalista - che il mio libro spiega i misteri della Divina Commedia, per la prima volta, dopo seicento anni!". Ma la cultura ufficiale non accolse bene il lavoro del Pascoli e, pur tributandogli larghi riconoscimenti per la sua poesia in lingua italiana e latina, lasciò cadere nel silenzio la sua esegesi dantesca.
    Un discepolo del Pascoli, Luigi Valli, volle ritentare l'ardua fatica. Nato a Roma nel 1878, morto a Terni nel 1931, professore di filosofia nei licei, Valli riprende la lettura esoterica dell'opera di Dante che era iniziata col Foscolo e culminata nel Rossetti, nel Perez e nel Pascoli, peraltro non più in chiave eterodossa, neopitagorica e ghibellina, come i suoi predecessori, ma anzi "supercattolica". Nelle sue ampie e minuziose opere (8), riprende la tesi dell'appartenenza di Dante alla setta dei Fedeli d'Amore; la natura puramente simbolica di Beatrice, rappresentante la Sapienza mistica del "Cantico dei Cantici"; la funzione salvifica concomitante della Croce (= Chiesa) e dell'Aquila (= Impero) nei due campi della vita attiva, presieduta dalla giustizia, e di quella spirituale e contemplativa, di cui è scopo appunto la sapienza santa.
    Duramente contrastate da un coro di critiche degli ambienti accademici e "ufficiali", e particolarmente da Natalino Sapegno, le tesi del Valli non ebbero miglior fortuna di quelle del suo maestro. Contribuì forse a ciò l'atmosfera mistico-irrazionalistica della visione filosofica generale del Valli, su cui si esprime con appena dissimulata antipatia il giudizio di Eugenio Garin, che lo accomuna al pensatore anarchico Max Stirner e al "fondatore" del nazionalismo italiano Enrico Corradini, in un terzetto stranamente assortito.
    Tuttavia al Valli si deve il merito di una più rigorosa collocazione storica di tutta la problematica relativa all'esoterismo di Dante. "La questione dei Fedeli d'Amore - afferma lo studioso romano - non s'inquadra nel suo spirito fra le cortesie feudali e i canti di calendimaggio. Si deve inquadrare fra la strage degli Albigesi e quella dei Templari." (9)
    Vedremo fra breve che l'interpretazione "templare" di Dante ha avuto poi, e conserva anco oggi, non poco interesse fra gli esegeti eterodossi del divino poema.
    Le tesi del Valli sono state, a loro volta, riprese con forza da Mario Alessandrini (10), convinto sostenitore dell'appartenenza di Dante alla setta segreta dei Fedeli d'Amore insieme a tutti gli altri stilnovisti e, poi, a Petrarca e Boccaccio (che avrebbe a bella posta volgarizzato l'identificazione di Beatrice con Bice Portinari, per meglio fuorviare l'Inquisizione).
    Fra gli studiosi stranieri del '900, bisogna a questo punto fare il nome di un grande esperto di filosofia orientale ed esoterica, quello del francese Réné Guénon (1886-1951), che accanto a opere fondamentali (11) ha dedicato alle questioni che qui ci interessano un sintetico ma efficacissimo saggio, "L'esoterismo di Dante", pubblicato per la prima volta nel 1925.
    Guénon accentua l'interpretazione allegorica e anagogica di Dante, mettendola in relazione con diverse tradizioni esoteriche e, in particolare, col templarismo. Egli ricorda che il Museo di Vienna (o piuttosto di Vienne, in Francia?) custodisce due medaglie: una raffigura Dante, l'altra il pittore Pietro da Pisa; sul rovescio di entrambe sono incise le lettere "F.S.K.I.P.F.T.", che egli interpreta come "Fidei Sanctae Kadosch, Imperialis Principatus, Frater Templarius". Dante, secondo lui, era probabilmente uno dei vertici della società segreta della Fede Santa (equivalente ai Fedeli d'Amore del Valli), un Ordine Terziario di affiliazione templare, i cui dignitari portavano l'appellativo di "Kadosch", parola ebraica che significa "santo" o "consacrato" (e conservata ancor oggi negli alti gradi della Massoneria). Non a caso, per Guénon, Dante prende, come guida finale nel "Paradiso", San Bernardo di Chiaravalle: colui che era stato l'ispiratore della Regola dei Templari.
    Pagine affascinanti scrive inoltre il Guénon a proposito della cronologia del viaggio ultraterreno di Dante, nel capitolo "I cicli cosmici", che non possiamo qui esporre in dettaglio per la loro estrema complessità astronomica e matematica. In esse egli sostiene che la data del viaggio descritto nella "Commedia", il 1300, si colloca nel "grande anno" (a metà di un ciclo completo della precessione degli equinozi), ossia il tempo che gli antichi consideravano come equidistante fra due successivi rinnovamenti del mondo. E prosegue: "Situarsi al centro del ciclo vuol dire dunque situarsi nel (...) luogo divino in cui - come dicono i musulmani - si conciliano i contrasti e le antinomie; è il centro della ruota delle cose, secondo l'espressione indù, o l'invariabile centro della tradizione estremo-orientale, il punto fisso intorno al quale si compie la rotazione delle sfere, la mutazione perpetua del mondo manifestato. Il viaggio di Dante si compie secondo l'asse spirituale del mondo; soltanto di là, in effetti, si possono vedere tutte le cose in modo permanente, in quanto siamo anche noi sottratti al cambiamento, e averne di conseguenza una visione sintetica e totale."
    Anche l'inglese Robert L. John, col suo "Dante templare" (1987), propone una nuova interpretazione della "Divina Commedia", sostenendo comunque l'ortodossia del poeta fiorentino, sia pure in chiave fieramente antipapale (cioè antitemporalista). Il John riprende la tesi del Rossetti e del Valli sulla setta dei "Fedeli d'Amore" e quella di Guénon sul templarismo di Dante, e compie il passo ulteriore, sintetizzando le due linee interpretative: per lui i "Fedeli d'Amore" altri non erano che i Templari perseguitati e costretti, dopo i sanguinosi processi del 1307-12 voluti dal re di Francia Filippo il Bello, a raddoppiare di prudenza nelle loro parole e nei loro scritti, ricorrendo a un simbolismo sempre più spinto.
    Fortemente guénoniana è invece l'impostazione di Franco Galletti nella sua monografia "La Philosophia perennis nel pensiero di Dante" (12), con frequenti richiami alla tradizione esoterica e particolarmente al filone greco-romano: illuminanti, in proposito, le considerazioni sul "veglio di Creta" del canto XIV dell'"Inferno".
    Ed eccoci arrivati ai nostri giorni e ai nostri luoghi.
    Lo scrittore trevigiano Gian Maria Ferretto ha pubblicato, su tali questioni, diversi volumi, tra cui "Prima lettura analitica comparata nei sensi letterale, allegorico, anagogico e morale della 'Comedia' di Dante Alighieri" (13) (1999); "Treviso e Bologna nella vita segreta di Dante Alighieri" (2001); "In vita e in morte di Dante Alighieri" (2001). Sintetizzando al massimo le sue tesi, egli sostiene che Dante appartenne al filone cristiano-gnostico dei Fedeli d'Amore, mentre Guido Cavalcanti rappresentava il filone cataro più intransigente (donde la loro rottura finale); precisamente, la compresenza delle due "anime" all'interno della setta segreta è testimoniata da Dante nel simbolismo delle due torri di Bologna, Garisenda e Asinelli, nell'VIII componimento delle "Rime".
    Come nella Roma antica, ove l'imperatore era sia "dux" che "sacerdos", per Dante bisognava che l'imperatore riprendesse anche la suprema potestà sacerdotale, spettandogli ciò per diritto di sangue, in quanto discendente di Davide e di Gesù Cristo. Tali convinzioni avrebbero portato Dante a una effettiva convergenza con le finalità segrete dei Templari, e in tale cornice va collocato l'incontro di Dante con la città di Treviso, avvenuto nel biennio 1304-06. Treviso, che per Ferretto era (dopo la devastazione della Provenza catara e trobadorica) l'ultima "corte d'Amore" dell'intero Occidente, sotto il governo del "buon Gherardo" da Camino aveva realizzato, mediante la capillare presenza templare nel suo territorio, la felice riunificazione tra le due "anime" dei Fedeli d'Amore.
    Questa riunificazione è simboleggiata dall'espressione "dove Sile e Cagnan s'accompagna" (Paradiso, IX,49) che, a suo parere, non può essere una semplice indicazione geografica: fuori di Treviso stessa, ben pochi conoscono il fiume Sile, e assolutamente nessuno il modesto Cagnan (7 km. di corso), oltretutto meglio noto col nome di Botteniga. No: se Dante adopera quella espressione, lo fa per una ragione occulta: celebrare la ritrovata unità dei Fedeli d'Amore, le cui due correnti corrispondono ai due fiumi che si riuniscono in un unico corso. Dante medesimo, del resto, fu unto "Kadosch" di Fede Santa nell'antica chiesa di San Giovanni del Tempio (14), che sorgeva appunto a brevissima distanza dall'attuale ponte Dante, di fronte all'antica porta del Sile, ove il Cagnan-Botteniga confluisce nel Sile.
    Moltissime sono le congetture avanzate da Ferretto e supportate da indubbio acume speculativo; una delle più notevoli è quella che il "Detto d'Amore", peraltro di discussa paternità dantesca, alluda a una giovanile esperienza mistica del poeta, tale da separare per sempre il suo itinerario speculativo da quello dell'amico-maestro Guido Cavalcanti. (15)
    Molte altre cose ci sarebbero da dire, molti altri nomi da ricordare in questo rapido "excursus" attraverso la storia degli studi sull'esoterismo di Dante; ma dobbiamo avviarci a concludere.
    Un ultimo nome importante vogliamo fare, quello di Paolo Vinassa de Regny, geografo illustre, docente presso l'Università di Pavia e autore di opere scientifiche fondamentali per la cultura italiana, come la monografia "La Terra", del 1933. Cultore di Dante a livello privato, nel 1955 diede alle stampe un testo originalissimo, "Dante e il simbolismo pitagorico" (16), frutto di lunghe e appassionate ricerche e tutto incentrato sul significato esoterico del numero all'interno della "Divina Commedia".
    Possiamo tentare di trarre una conclusione da quanto abbiamo sin qui esposto?
    Forse; e potrebbe essere questa. L'esegesi di Dante ha assunto, nella cultura italiana, il significato di un vero e proprio "paradigma", nel senso che il filosofo Thomas Kuhn (1922-96) dà alla parola: soluzione esemplare di un problema, che viene appresa da chi entra nella comunità scientifica come elemento essenziale della sua formazione e come modello cui adattarsi incondizionatamente.
    Ora, la "scienza normale" è contrassegnata dalla prevalenza di un certo paradigma, e in essa gli scienziati si applicano solo a ipotesi di lavoro che trovino i loro eventuali sbocchi all'interno del paradigma medesimo.
    A fasi ricorrenti, la scienza s'imbatte in anomalie che mettono in crisi il modello prevalente: gli scienziati, allora, cercano di ridimensionare il fenomeno anomalo, oppure di adattare il paradigma stesso mediante limitati aggiustamenti. (17) La scoperta di nuove anomalie obbliga la comunità scientifica a moltiplicare le varianti teoriche per salvare il vecchio paradigma: ma infine esso viene abbandonato da parti crescenti della comunità scientifica, che fondano un nuovo paradigma e che rifiutano ogni comunicazione con gli attardati sostenitori del "vecchio".
    La storia della scienza procede, così, "a salti", e in essa i nuovi paradigmi si pongono come incommensurabili rispetto ai precedenti, non solo sul piano dei contenuti concettuali, ma anche su quello del linguaggio, dei criteri di convalida, ecc..
    Qualcosa di simile potrebbe ricondursi alla storia del "paradigma" dantesco: e non è un caso che molti sostenitori di un nuovo paradigma non siano studiosi di letteratura in senso stretto (così come Darwin, ad esempio, l'iniziatore del nuovo paradigma evoluzionistico, non era un biologo in senso stretto, né possedeva una formazione scientifica approfondita: aveva studiato, invece, per diventare teologo). Abbiamo visto, infatti, che Perez era un uomo politico, Pascoli un poeta (un grande poeta), Valli un filosofo, Guénon un cultore di simbologia esoterica, Vinassa de Regny addirittura un geografo.
    Gli studiosi che si muovono ai margini di un paradigma sono più facilmente disposti a metterlo totalmente in discussione, a differenza di coloro che vivono al suo interno e al suo interno trovano una collocazione sociale istituzionalizzata (che comporta una sicurezza economica oltre che psicologica).
    L'interpretazione di Dante, finora, è stata soprattutto nelle mani degli studiosi di letteratura (a dispetto del fatto che Dante sia stato prima un filosofo e poi un letterato), e questo spiega la lunghissima durata del paradigma "ufficiale".
    A quando la rivoluzione del paradigma dantesco?
    Una cosa è certa: il pensiero di Dante, come quello di altri grandi, una volta "istituzionalizzato" ha subito un progressivo processo di "normalizzazione", mediante la rimozione di quegli aspetti che possono fare maggiormente scandalo o mettere in crisi nel profondo alcune nostre certezze, a cominciare da quella di averlo capito (si ricordi il prezioso ammonimento di Platone a coloro che ritenevano di essersi "impossessati" una volta per tutte del suo pensiero filosofico).
    Dante, già in vita - non dimentichiamolo mai - fu un personaggio estremamente scomodo, quasi imbarazzante. E non certo solamente perché volle scrivere il suo capolavoro nella lingua italiana volgare, ma proprio al livello del suo pensiero politico e religioso. Si tentò d'implicarlo, tanto per dirne una, in un clamoroso caso giudiziario: un processo per magia nera che lo vedeva, si direbbe oggi, "persona informata sui fatti" a proposito del tentativo di assassinio del papa Giovanni XXII (il francese Jacques Duèse o D'Euse) da parte di Matteo e Galeazzo Visconti, nel 1319-20.
    E non basta. Pochissimi anni dopo la morte del poeta, il cardinale francese Bertrando del Poggetto (nipote del papa) fece bruciare in una pubblica cerimonia il libro di Dante "De Monarchia"; e avrebbe volto far disseppellire la salma del suo autore per mandare anch'essa sul rogo. Ciò che sarebbe puntualmente avvenuto se a Bologna, ove si trovava il del Poggetto, non fossero prontamente accorsi il nuovo signore di Ravenna, Ostasio da Polenta (successo a Guido Novello, l'amico e protettore di Dante negli ultimi anni dell'esilio) ed il cavaliere fiorentino Guido della Tosa. Sicché Dante, che aveva potuto evitare, da vivo, il rogo per miracolo (fortuna che non ebbero altri intellettuali suoi contemporanei, come Cecco d'Ascoli), per un capello non subì tale destino "post mortem".
    A questo proposito vogliamo accennare a un'ipotesi del tutto personale: potrebbe essere stato, l'invito di Giovanni del Virgilio a Dante perché questi lasciasse la sicura Ravenna per recarsi a Bologna a ricevere "onori degni di lui" (18), verso la fine del 1319, la classica esca per farlo cadere in un tranello?
    Se così fu, il poeta dovette aver mangiato la foglia, vista la prudenza diplomatica con cui declinò l'offerta (19); l'episodio appare comunque sospetto, dal momento che Bologna rientrava nella sfera d'azione della Curia pontificia e che appunto nel 1319 Bertrando del Poggetto giunse in Italia da Avignone, inviato da Giovanni XXII per ricostruire la potenza dello Stato della Chiesa. E Dante fu, "tecnicamente" oltre che, forse, ideologicamente, un eretico, se non altro perché rifiutava di riconoscere i deliberati del Concilio di Vienne del 1311, con il quale Clemente V aveva formalizzato l'abolizione (l'abolizione, si badi, non la condanna, che non vi fu mai, almeno in sede ecclesiastica) dell'ordine del Tempio.
    Inoltre Dante, con la teoria "dei due Soli" (Papato e Impero), ugualmente necessari al genere umano e autonomi l'uno dall'altro perché derivanti direttamente da Dio, aggrediva frontalmente il contenuto della bolla di Bonifacio VIII "Unam Sanctam" del 1302, che stabiliva dogmaticamente l'assoluta preminenza del Papato su ogni potestà terrena. Giova infatti ricordare che il "De Monarchia", condannato sotto Giovanni XXII, fu tolto dall'"Index librorum prohibitorum" solo nel 1881. Nel frattempo aveva rischiato di andare perduto, perché molte copie erano state sequestrate e date alle fiamme, mentre altre erano state trascritte anonime o dissimulate tra testi di genere diverso, così da divenire di fatto introvabili (conosciamo attualmente solo una ventina di codici).
    Tutto questo non ha impedito che si pubblicassero, anche in anni recenti, libri finalizzati a "dimostrare", in tutto e per tutto, l'assoluta ortodossia di Dante e la sua incondizionata adesione all'insegnamento della Chiesa cattolica...
    Che altro dire?
    Una buona definizione di cosa s'intende per "testo classico" è: un testo che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Che si presta a sempre nuove chiavi di lettura, sorprendenti ma non arbitrarie; che non cessa mai di stupirci, d'interrogarci, di metterci in discussione. E questo è proprio il caso di Dante, fiorentino di nascita ma non di costumi, come lui stesso volle definirsi: la voce culturale più alta del suo tempo, e della storia d'Italia tutta.

    Note:
    1. La parola italiana "esoterico", in greco "esoterikós", viene da "esóteros" che significa "interiore, intimo" e deriva da "éso" = dentro. Vale dunque per "interno, riservato, segreto". La parola italiana "essoterico", attraverso il latino "exotericu(m), proviene dal greco "exoterikós", da "éxo" = di fuori, esterno. Indica pertanto "ciò che è esterno, palese, pubblico".
    2. "Iliade", II, 361.
    3. Fulcanelli nelle sue celebri opere "Le dimore filosofali" e "Il segreto delle cattedrali" sostiene che "arte gotica" non deriva affatto, come pure si ripete ancor oggi, dall'antico popolo dei Goti (e perché, poi, nella Francia del XII sec.?), bensì da "argot", linguaggio segreto riservato ai soli iniziati.
    4. Ch'egli pubblicò a Londra ove era esulato da Napoli in seguito alla repressione dei moti del 1821.
    5. 5 voll., 1840.
    6. L'espressione "Fedeli d'Amore" ricorre più volte in quest'ultima, a partire dal sonetto "A ciascun'alma", III, 10-12.
    7. Oltre che letterato, il Perez è stato deputato, senatore, ministro del Regno d'Italia; pure, nemmeno la sua autorevole figura di studioso riesce ad aprire una breccia negli ambienti dantisti tradizionali.
    8. "L'allegoria di Dante secondo Giovanni Pascoli" (1922), "Il segreto della Croce e dell'Aquila nella Divina Commedia" (1922), "La chiave della Divina Commedia"(1925), "Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d'Amore" (2 voll., 1928-30), "La struttura morale dell'universo dantesco" (1935, postuma).
    9. "Il linguaggio segreto ecc.", p.147.
    10. L'Alessandrini ha esposto le conclusioni della sua ricerca in due opere significative ma, anch'esse, passate sotto silenzio dalla critica accademica: "Cecco d'Ascoli" del 1955 e "Dante fedele d'Amore" del 1960, in cui ricapitola efficacemente l'intera questione.
    11. "Il Re del Mondo", "La Grande Triade" e "Simboli della Scienza sacra".
    12. Pubblicata nei numeri 2 e 3 di "Perennia Verba" del 1997.
    13. 4 volumi.
    14. Ora di San Gaetano.
    15. In un'altra dubbia opera dantesca, il "Fiore", XCII, si allude alla tragica morte del filosofo Sigieri di Brabante, altro personaggio "scomodo" e in odore di eresia, ricordato anche in "Paradiso", X,136 segg.
    16. Ristampato nel 1988.
    17. Vedi, nel caso del paradigma astronomico tolemaico, la teoria degli epicicli per armonizzarlo con i dati di fatto acquisiti mediante l'osservazione.
    18. cfr. Egloghe, I.
    19. Vedi la II Egloga.

    Bibliografia:
    - Valli, Luigi, "Il Segreto della Croce e dell'Aquila nella Divina Commedia" - Bologna, ed. Zanichelli, 1922;
    - Valli, Luigi, "La Chiave della Divina Commedia" - Bologna, Zanichelli ed., 1926;
    - Valli, Luigi, "Il linguaggio segreto di Dante e dei 'Fedeli d'Amore'" - 2 voll. Roma, Optima ed.,1928;
    - Landogna, Francesco, "Saggi di Critica Dantesca" - Livorno, Raffaello Giusti ed., 1928;
    - Guénon, René, "L'esoterismo di Dante" - Milano, Adelphi ed., 2001;
    - Vinassa de Regny, Paolo, "Dante e il simbolismo pitagorico" -, La Spezia, Fratelli Melita ed.,1988;
    - Terenzoni, Angelo, "L'ideale teocratico dantesco" - Genova, Alkaest ed., 1979;
    - John, Robert L., "Dante templare. Una nuova interpretazione della Commedia" - Milano, Hoepli ed., 1987;
    - Schwarz, Willy, "Studi su Dante e spunti di storia del Cristianesimo" - Milano, Antroposofica ed.,1982;
    - Ferretto, Gian Maria, "Prima lettura analitica comparata nei sensi letterale, allegorico, anagogico e morale della Comedìa di Dante Alighieri" - 4 voll., Treviso, G.M.F. ed., 1999;
    - Ferretto, Gian Maria, "Treviso e Bologna nella vita segreta di Dante Alighieri" - Treviso, G.M.F. ed., 2001;
    - Ferretto, Gian Maria, "In vita e in morte di Dante Alighieri, 1265-2000" - Treviso, G.M.F. ed., 2001;
    - Filipponi, Osvaldo, "Le profezie di Dante e del Vangelo Eterno" - Padova, M.E.B. ed., 1983;
    - Ambesi, Alberto Cesare, "I Rosacroce" - Milano, Armenia ed., 1982.

    francescolamendola@yahoo.it

    http://www.edicolaweb.net/dimen02a.htm

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    Il purgatorio esoterico di Dante

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    mi entusiasmo' il saggio di Valli sui "Fedeli d'Amore"-
    Dante era certamente un Templare ed un Fedele d'Amore
    Fedeli d'Amore celavano in sembianze di donna il principio della propria anima. Essi vivevano per amore della vergine «Sophia», la santa Sapienza.

    Dante e i Fedeli d’Amore

    di Athos A. Altomonte
    © copyright by Esonet.it

    Molti anni fa, facendo un giro di conferenze sul tema: Ebraismo e Simbologia massonica, un Rabbino mi chiese quando fosse nata la Massoneria.
    Risposi che a mio giudizio, non è possibile sapere con esattezza la nascita dell’Istituzione iniziatica che giace velata nelle rappresentazioni simboliche della Massoneria, ma si può senz’altro sapere quando questa ri-velazione (velata due volte) dei Misteri fosse avvenuta.
    La Massoneria si è liberata ufficialmente nel 1717 dalle influenze del misticismo rosacrociano che le dette il 3°grado che equivale alla Maestranza iniziatica. Il Maestro massone (3° grado azzurro) nella sua rappresentazione cerimoniale è l’allegoria della resurrezione «in terra» dello spirito iniziatico universale chiamato simbolicamente: il Maestro Hiram.
    L’abbandono della via iniziatico-spirituale coincise con l’impegno che il massonismo profuse nelle battaglie per i Diritti umani, liberali e democratici che erano soffocati dagli interessi delle sovranità monarchiche e teocratiche.
    In questi frangenti la Massoneria assunse, sempre più, il volto d’una Istituzione iniziatica exoterica. Un potere associativo politico e morale che difendeva il Bene comune fisico ed esteriore. Cioè, si occupava più del benessere sociale e del suo Diritto, che della sostanza interiore degli uomini. E non vi è spirito critico in quest’affermazione perché, come diceva un saggio: “è difficile pensare a Dio con la pancia completamente vuota”.
    Se questo interesse “profano” fu per un certo verso un bene sociale, come ad esempio quello della rivoluzione francese ed americana, col passare del tempo e delle emergenze, la forte spinta alla “esteriorizzazione” ha provocato nella Massoneria una degenerazione «epicurea», per cui i massoni hanno finito per trasferire sempre più l’attenzione dai Diritti sociali ai “propri interessi”.
    Oggi è auspicabile un’azione di rigenerazione intellettuale e speculativa. Un “buon ritiro” dalle cose mondane, per rammentare di nuovo le vere origini ed i veri moventi dell’Istituzione iniziatica che da Associazione di uomini dovrebbe tornare ad essere una Scuola iniziatica. Ma per questo i massoni dovrebbero riconoscere il loro primo peccato fondamentale. Quello d’essere caduti in una formale vanagloria iniziatica ch’è solo l’ombra dell’antica “Realtà iniziatica” che va sommata alle onde impetuose d’una vana dialettica tanto vana quanto dispersiva.

    Ma a proposito di Dante...
    Dante faceva parte dei “Fedeli d’Amore” ch’erano poeti congiurati (cit. Nardini: Dante ed i Fedeli d’Amore).
    Dante condannò il pontefice della Chiesa di Roma all’inferno: il “pastor senza legge” che compì “la laid’opra” di vendere i Templari per le loro ricchezze al re di Francia Filippo il bello, e schierò nell’immenso anfiteatro celeste la dispersa “Milizia di Cristo”:
    “Qual’è colui che tace e dicer vole,
    Mi trasse Beatrice e disse. Mira
    Quanto è il convento delle bianche stole! ...”
    (Par. x x x 127-129)
    I Fedeli d’Amore celavano in sembianze di donna il principio della propria anima.
    Si diceva di loro: “tutti ghibellini questi poeti d’amore, tutti innamorati di donne che si somigliavano tanto da far pensare a una sola donna e tutte paludate dal medesimo simbolismo.”
    Al tempo di Dante (i Fedeli d’Amore esistono tutt’oggi) partecipavano: Guido Guinizzelli, capo della scuola letteraria e Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Francesco da Barberino e Cecco d’Ascoli (finito al rogo come eretico), Guido Orlandi e Gianni Alfani. Tutti “congiuravano” contro una Chiesa corrotta che chiamavano: la lupa feroce di Roma.
    Essi vivevano per amore della vergine «Sophia», la santa Sapienza, che conduceva l’uomo dalla terra al cielo e dalla morte alla vita.
    Gli inizati avevano identificato nella «rosa» la Sapienza spirituale, ossia la Madre Sophia (filo-sophia, teo-sophia, ecc).
    “Cantare la bellezza della rosa significava per quei poeti esaltare le virtù della segreta saggezza che conduceva a Dio”.
    I Templari furono latori del messaggio: “Roman de la Rosa” a cui si ricollegò la “candida rosa” di Dante che concluse il suo viaggio iniziatico nei tre regni oltre-mortem.
    La donna, per i Fedeli d’Amore era l’equivalente della rosa mistica dei Sufi e simbolo della Dottrina segreta.
    Si chiamasse monna Lisa o monna Teresa od altro, il nome era solo un modo per esaltare i valori della sapienza segreta senza incorrere nelle ire del potere papale: che di saggezza o di percorso interiore proprio non voleva sentir parlare.
    Altrimenti, “se ognuno avesse imparato a parlare da sé con Dio” sarebbe decaduto il concetto d’indispensabilità dei suoi religiosi e sarebbe cessata l’utilità della sua Chiesa, che aveva occupato il posto della Sophia celeste come intermediaria tra l’uomo ed il cielo.


    http://www.esonet.it/News-file-article-sid-213.html

  8. #8
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    L'inferno esoterico di Dante


    di Malvani Angela - Malvani Giulio


    Dettagli del Libro: Autori: Malvani Angela Malvani Giulio
    Editore: Penne & Papiri
    Genere: fenomeni e tecniche paranormali
    Argomento: esoterismo
    Collana: Media aetas
    Pagine: 216
    ISBN: 8889336269
    Data pubblicazione: 2005

  9. #9
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    tutto il testo di Guenon...purtroppo è in spagnolo.

    http://www.asesoria-legal-ya.com/xam...de%20dante.pdf

  10. #10
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