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  1. #1
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    Predefinito Il nuovo mondo multipolare

    LA FINE DEL SECOLO AMERICANO

    Il nuovo mondo multipolare



    di Angelo Panebianco




    Oggi, in tutto il mondo, come è giusto, le preoccupazioni si concentrano sulle conseguenze immediate della crisi finanziaria, sui risparmi, sulle imprese, sul tenore di vita delle persone. Ma la crisi avrà anche potenti riflessi politici, forse cambierà il volto della politica mondiale. Essendo troppi i fattori in gioco, è sempre impossibile prevedere il futuro ma è per lo meno plausibile immaginare che uno degli effetti della crisi sia quello di accelerare una tendenza già in atto: alla ridistribuzione del potere internazionale, al definitivo passaggio dall'unipolarismo (un mondo dominato da una sola superpotenza) al multipolarismo (un mondo spartito tra alcune grandi potenze).
    Il ridimensionamento degli Stati Uniti, e la conseguente nascita di un mondo multipolare, dovrebbero essere, in questa ipotesi, gli esiti di una doppia crisi. Innanzitutto, una crisi di risorse: gli Stati Uniti, plausibilmente, avranno difficoltà crescenti a reperire le risorse finanziarie necessarie per continuare a svolgere il ruolo di superpotenza globale (per ragioni che ha spiegato, tra gli altri, sul
    Corriere di martedì, Fareed Zakaria). In secondo luogo, una crisi di modello culturale, con la drastica perdita di appeal in giro per il mondo della «società aperta» (o libera) così come è stata fin qui incarnata dagli Stati Uniti.
    Chiunque sia il prossimo Presidente degli Stati Uniti, la sua «agenda» sembra già predisposta: oltre ad agire per il superamento della crisi, egli dovrà anche gestire il ripiegamento americano. Da buon patriota, lo farà tentando di rallentare il processo e di diluirne nel tempo le conseguenze. La speranza di un mondo multipolare, senza più gli «arroganti» americani a farla da padroni, accomuna da tempo molti europei e la gran parte del mondo extraoccidentale. Quella speranza sta probabilmente per diventare realtà.
    Quando la crisi finirà non sarà crollato il capitalismo ma sarà forse al tramonto il «secolo americano ». Gli Stati Uniti resteranno ancora per un certo tempo la più forte potenza militare ma il «gioco » sarà ormai multipolare e il divario con le altre grandi potenze tenderà a ridursi.
    Ma un mondo siffatto sarà anche più «pacifico» e più «libero»? Penso di no, penso che sarà un mondo più pericoloso ancora di quello che abbiamo conosciuto e nel quale, inoltre, le prospettive della libertà (per milioni di persone) si faranno ancor più precarie di oggi.
    La pace correrà rischi maggiori. L'esperienza storica suggerisce che un sistema multipolare sia più pericoloso tanto del sistema bipolare (1945-1989, l'età della guerra fredda) quanto di quello unipolare (dal 1989 ad oggi, l'età della superpotenza solitaria) che si sono succeduti dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Nel sistema bipolare le due superpotenze si controllavano a vicenda. Diedero così vita a uno stabile equilibrio (del terrore). La principale ragione della stabilità era che non esisteva una terza potenza così forte da poter alterare l'equilibrio alleandosi con l'una o l'altra delle due superpotenze.
    Nel sistema unipolare, a sua volta, la stabilità dipendeva da uno squilibrio di potenza così accentuato da rendere impossibile per qualunque Stato sfidare militarmente gli Stati Uniti (la sfida all'America venne infatti dal terrorismo, da un gruppo transnazionale, non da un grande Stato). Invece, nei sistemi multipolari, con quattro o cinque grandi potenze, la guerra fra di esse è resa più probabile a causa di quei repentini cambiamenti di alleanze (tipici dei sistemi multipolari) che alterano l'equilibrio delle forze mettendo di volta in volta l'una o l'altra grande potenza sotto scacco.
    Non è che nel multipolarismo prossimo venturo dovrà per forza scoppiare una guerra fra grandi potenze (grazie al Cielo non ne abbiamo più avuta una dalla Seconda guerra mondiale e speriamo di continuare così). È solo che le probabilità di tale guerra sono maggiori proprio in quel tipo di sistema internazionale. Si aggiunga il rischio protezionismo. Se, come è certo, usciremo dalla crisi attuale con più intervento statale nell'economia, ovunque nel mondo, non sarà poi tanto facile tenere a freno le spinte protezioniste (che l'intervento statale favorisce). Forse quelle spinte verranno contenute e forse no. Se non lo saranno, cresceranno i pericoli: il protezionismo, di solito, favorisce le guerre. Va notato inoltre che se il potere si distribuisce tra grandi potenze con regimi politici diversi è più difficile realizzare accordi di governance
    (tipo Bretton Woods) di quanto non lo sia se a distribuire le carte sono solo potenze democratiche.
    Al guaio di una pace più precaria va aggiunto quello di una libertà in ritirata. I cosiddetti «liberisti» si affannano a spiegare che la crisi finanziaria non è solo figlia del «fallimento del mercato» ma anche di un «fallimento dello Stato» (le leggi varate dall'Amministrazione Clinton). Ma non c'è niente da fare, il patatrac è senza rimedio. Ovunque nel mondo si levano attacchi contro il «liberismo selvaggio» (che è poi liberalismo tout court, come Piero Ostellino, su questo giornale, insiste giustamente a ricordare). Si assisterà ovunque a una perdita di credibilità del «sistema liberale» (capitalismo privato più democrazia liberale) e a una crescita di attrattiva dei sistemi autoritari e semi-autoritari (Cina, Russia). In fondo, non si sta dimostrando che capitalismo e crescita economica possono fare a meno della democrazia liberale? E non è forse questo un messaggio attraente per tanti tiranni in tanti luoghi? Dal '45 ad oggi (con un'accelerazione dopo la guerra fredda) abbiamo assistito a una impetuosa diffusione della democrazia nel mondo. Negare che ciò abbia avuto a che fare con il ruolo degli Stati Uniti significa negare l'evidenza. Con un'America in ripiegamento anche l'area di diffusione della democrazia potrebbe ridursi.
    E l'Europa? Forse la gravità della crisi finanziaria la spingerà a fare un salto verso l'unità politica (e militare). Ma è improbabile. Nel mondo multipolare l'Europa sarà, più plausibilmente, un vaso di coccio, pronta a venire a patti con chiunque, forse anche a scoprire le virtù (nascoste) delle potenze illiberali. Come certi giornali inglesi ai tempi di Monaco per i quali Hitler non aveva avuto torto a prendersi i Sudeti e, in fondo, non era poi quel diavolo che si diceva che fosse.

    10 ottobre 2008

    http://www.corriere.it/editoriali/08...4f02aabc.shtml

  2. #2
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    Io resto convinto che più del liberalismo è pericolosa l'ideologia messianica.
    La civiltà euro-americana deve restare in Europa (occidentale) e in America (dal Canada all'Argentina) altrimenti rischia di fare solo danni.
    Secondariamente, il liberalismo e il liberismo puro possono essere accettabili in momenti in cui non c'è bisogno di una mobilitazione totale per difendere a casa nostra la nostra civiltà.
    Se l'Europa non si è ancora unita sotto un profilo politico-militare (e mai si unirà, sostiene Panebianco) dobbiamo ringraziare, oltre che la miopia politica e diplomatica anglo-americana che scambiano un alleato e controparte forte per un nemico e noi stessi, che preferiamo l'ignavia alla sicurezza, anche certe oligarchie finanziarie e bieche.
    «Non ti fidar di me se il cuor ti manca».

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  3. #3
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    Defender, un'Europa forte e unita è non solo auspicata ma RICHIESTA a gran voce dagli Stati Uniti, in special modo dai conservatori statunitensi.
    E' ovvio però che negli USA si guardi con molta malfidenza a istituzioni europee che strizzano l'occhio a frange estremiste palestinesi, o che fanno da sponda ai giochi di Saddam e simili.
    O, ancora, a Washington penso sia difficile capire perché l'Europa investa miliardi di Euro in GALILEO, per poi piangere lacrime di coccodrillo in sede NATO (o simile) sull'impossibilità di contribuire a missioni militari a causa di ristrettezze di bilancio.

    Insomma, gli "angloamericani" non sono affatto nemici dell'Europa unita, quanto piuttosto nemici di un'Europa unita SOLO in funzione anti-statunitense.
    E mi pare sia pure comprensibile.

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da UgoDePayens Visualizza Messaggio
    Defender, un'Europa forte e unita è non solo auspicata ma RICHIESTA a gran voce dagli Stati Uniti, in special modo dai conservatori statunitensi.
    E' ovvio però che negli USA si guardi con molta malfidenza a istituzioni europee che strizzano l'occhio a frange estremiste palestinesi, o che fanno da sponda ai giochi di Saddam e simili.
    O, ancora, a Washington penso sia difficile capire perché l'Europa investa miliardi di Euro in GALILEO, per poi piangere lacrime di coccodrillo in sede NATO (o simile) sull'impossibilità di contribuire a missioni militari a causa di ristrettezze di bilancio.

    Insomma, gli "angloamericani" non sono affatto nemici dell'Europa unita, quanto piuttosto nemici di un'Europa unita SOLO in funzione anti-statunitense.
    E mi pare sia pure comprensibile.
    Quoto dalla prima all'ultima parola. Adesso vedremo i campioni del multipolarismo se reggeranno alla prova.

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da UgoDePayens Visualizza Messaggio
    Defender, un'Europa forte e unita è non solo auspicata ma RICHIESTA a gran voce dagli Stati Uniti, in special modo dai conservatori statunitensi.
    Ah, quindi la Turchia in Europa (sponsorizzata dagli esimi) è un modo per cementare, rafforzare e compattare l'UE e spingerla verso l'unità politica e militare?
    Delle due, o i conservatori statunitensi fuggivano dal dipartimento di Stato come comunisti da una croce o non è vero.
    E non conoscendo che minimanente la politica degli USA...

    P.S. Per il resto mi sembra che la decisione Sharoniana della Road Map (di eccezionale realismo politico) sia stata mandata a puttane e che il riconoscere la necessità di disinnescare gli anti-isrealiani tramite la creazione di un'entità statuale palestinese non sia antisemita e che Hussein sia stato una diga contro l'estremismo islamico (almeno fino al 1998), e che l'impossibilità di contribuire alle missioni militari sia più politica che tecnico-finanziaria.

    P.S. II Mi fa piacere comunque sapere che non contesti la parte finale della riflessione
    «Non ti fidar di me se il cuor ti manca».

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  6. #6
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    beh sull'ignavia degli europei sicuramente non si può non concordare....

 

 

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