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    Predefinito Berlusconi e le sue tasche

    Sono sicuro che il premier non conosce il problema nei suoi risvolti, alcuni dei quali celano insidie.
    Quindi, facendo ricorso al mio spirito da buon samaritano, gli vorrei dare una mano a non finire triturato da nuove polemiche.

    Tra qualche giorno il Parlamento discuterà e forse approverà - ripeto, forse - il taglio ai contributi per l’editoria.
    Il provvedimento, dice il governo, è indispensabile perché i soldi in cassa sono pochi e non bastano più.
    Insomma, sono stati imposti sacrifici a chiunque e sarebbe assurdo non fossero imposti anche a quotidiani e periodici. Il ragionamento fila liscio.

    Risultato pratico.
    Un settore atipico e già in difficoltà come il nostro (vendite in calo, pubblicità in crisi simmetrica a quella economica, costi elevati), dal prossimo anno avrà l’acqua alla gola.
    Pazienza. Chi avrà le forze per galleggiare sopravviverà, gli altri moriranno.
    È crudele, ma non c’è nulla da fare: noi non siamo banchieri e dobbiamo attenerci alle leggi di mercato. Non abbiamo mai protestato e non lo faremo nemmeno ora; oltretutto non sarebbe il momento, con i problemi che affliggono gli italiani.

    Ma c’è un ma.
    E su questo punto Berlusconi deve aprire bene le orecchie e ascoltarci.
    I suoi collaboratori, nel preparare il testo riguardante i tagli, vuoi per distrazione vuoi per compiacere al grande capo, si sono dimenticati di includere nell’elenco delle imprese destinate a soffrire quella del grande capo medesimo, cioè la Mondadori.
    Sissignori. Guarda un po’ quando si dice la coincidenza.
    Di sicuro l’amato Cavaliere senza paura e senza macchia ignora questo odioso particolare che potrebbe arrecargli un sacco di noie, per esempio l’accusa, nella circostanza documentata, di conflitto d’interessi.
    Infatti un presidente del Consiglio autore con i suoi esperti di una legge che riduce i finanziamenti ai giornali, eccetto le proprie riviste, non si limita a fare una figura di merda, ma si espone agli strali della opposizione finora rimasta inerte per mancanza di motivazioni.

    C’è di peggio. Le norme in procinto di passare al vaglio di Camera e Senato contengono altre vistose iniquità di cui è lecito sospettare la volontarietà. Oltre alla Mondadori, sono stati esclusi dal giro di vite il Sole 24 ore e l’Avvenire, rispettivamente organi ufficiali della Confindustria e della Cei (Conferenza episcopale italiana).

    Sembra uno scherzo da prete. Si tolgono i viveri a qualsiasi pubblicazione nazionale tranne a tre colossi espressioni di altrettanti poteri illimitati più che forti: Berlusconi, gli industriali e la Chiesa. Le leggi sono rispettabili quando sono uguali per tutti. Invece quella di cui stiamo parlando vale per quasi tutti. Perché?

    Se fossi di sinistra non avrei dubbi: perché Silvio è favorevole a ogni taglio lontano dalle sue tasche; perché gli industriali è meglio tenerseli buoni sennò ti si scatenano contro; perché i preti te li raccomando: se gli porti via il grano magari si vendicano, e si salvi chi può.

    Dato che, viceversa, di sinistra non sono dico al Cavaliere di non prestare il fianco a simili critiche e di modificare regole tanto ingiuste quanto idiote. Siccome egli probabilmente non ha dimestichezza con la materia di cui si discetta, gli fornisco informazioni utili a schivare le trappole.
    Occorre sapere che i contributi alla editoria (attinti al medesimo fondo) sono di due tipi: diretti e indiretti. Ebbene, quelli diretti sono oggetto di revisione. Quelli indiretti (dei quali si giova Mondadori, industriali e vescovi) non si toccano; neppure presi in esame.

    In cosa consistono i contributi indiretti?
    Glielo spiego subito, illustre Presidente.
    Allora, le aziende menzionate (ed altre), anziché sulla diffusione tramite edicole, puntano sugli abbonamenti postali che costano un tot. Ecco, questo tot alla fine dell’anno viene pagato dallo Stato (che preleva dal fondo editoria) nella misura del cinquanta per cento.

    Poiché la Mondadori, il Sole 24 ore e l’Avvenire spediscono ogni settimana (oppure ogni mattina) centinaia di migliaia di “pezzi”, l’ammontare complessivo delle provvidenze a esse garantite è colossale. Va da sé che le tre imprese in questione, se non avessero più il sostegno del pubblico denaro, forse non andrebbero completamente in malora, ma rischierebbero di andarci, esattamente come i giornali cui il suo governo - lei - ha segato i contributi diretti.

    Confidando nella sua onestà, esimio Presidente, la prego di accogliere il mio suggerimento ispirato al senso di giustizia. Bisogna tagliare? Tagli tutti i contributi ai giornali, compresi i suoi e quelli dei ricconi potenti. Oppure non tagli un bel niente. Dividere noi della stampa in figli e figliastri è una operazione indegna.

    Per concludere, una domanda: la legge prevede 120 milioni l’anno da spartire tra televisioni locali. Sono contento. Ma sarebbe opportuno lei confessasse perché non ha osato limare questa somma.

    Vittorio Feltri su www.libero-new.it 15 10 08

    saluti

  2. #2
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    Predefinito TV, sorrisi e Veltroni

    Uno legge: Veltroni si fa la sua tv. E potrebbe pensare: un’altra?
    In fin dei conti, l’eskimo in redazione non è roba della preistoria. Già altri però meglio di me si sono esercitati su questo campo.

    La questione che a me interessa è un’altra: a che gli serve? Dopo la presentazione in pompa magna di Youdem.tv, cioè la nuova televisione del Partito democratico in internet e sul satellite, sono andato a buttarci un occhio. Non mi sembra un granché, ma forse l’idea è talmente avanti che io non tengo il passo.

    Una cosa ho chiara in testa: non credo che si tratti di un progetto destinato a cambiare gli equilibri televisivi del Paese.
    Né oggi, né tra cent’anni.
    Ben prima della tv di Veltroni, mi sembra che altri network siano più avanti nella competizione contro i big della televisione generalista. Tra l’altro con investimenti più cospicui, il che non guasta. Tirando le somme, Berlusconi non perderà un’ora di sonno per colpa di questa scatoletta mediatica.

    Cosa c’è di errato nell’iniziativa di Veltroni? Aver seguito la scia di una società formato tv, voler parlare all’homo videns, per usare una espressione felice di Giovanni Sartori. In parole povere, nell’aver clonato un qualcosa che Berlusconi aveva già fatto, per scommessa imprenditoriale.
    Tra l’altro stravinta.


    Più passa il tempo e più non riesco a comprendere quale dovrebbe essere la nuova cifra del Partito democratico. Ricorderete che, all’inizio della campagna elettorale, plaudimmo alla scelta di Veltroni di correre da solo. Ci sembrò un bell’inizio. Dopo quello scatto, più nulla. La confusione del sito formato tv si sovrappone alla stessa confusione presente nel partito: difetta di identità, manca la rotta. Non ci sono idee se non quella di un mega contenitore dove raccogliere i filmati della gente comune o le denunce alla Striscia la Notizia. Solo che Striscia già esiste, va a gonfie vele e fu una autentica rivoluzione.

    La tv democratica potrà anche mandare in onda qualche sacchetto di immondizia tuttora presente a Napoli, ma quelle immagini lì non avranno mai la stessa potenza di quelle altre che invece scioccarono l’Italia e che fecero il giro del mondo. Pertanto, se una immagine non produce effetto che senso ha?

    Così com’è strano che firme importanti del panorama culturale vicino alla sinistra si siano prestate ad una sperimentazione priva di sperimento. Così sorge il dubbio che si tratti di una marchetta.

    Un partito politico, specie se raccoglie una tradizione di sinistra, dovrebbe essere attento alla parola più che all’immagine; alla tesi più che alla sintesi. A maggior ragione se dall’altra parte c’è un partito fondato da colui che un tempo la sinistra definiva spregevolmente Sua Emittenza. Il Pd di oggi replica lo schema della prima Forza Italia. Con la differenza che al primo manca il terreno sotto i piedi.

    Il programma politico del Pd si riduce a un palinsesto televisivo. Anche quando scende in piazza. Sì, anche la manifestazione del 25 ottobre rischia di essere virtuale: chi può credere che nel mezzo della crisi dei mercati qualcuno abbia seriamente in testa di scendere in piazza per protestare?
    E poi per protestare contro chi? Contro un governo che decide e per questo vola nei sondaggi?

    Per carità, tutto è possibile, ma l’alternativa politica quale sarebbe? Nessuno ha chiaro quali siano le proposte del Partito democratico, quale idea alternativa di Paese abbiano in mente. L’ho cercata dentro la tv, nel sito e nelle interviste dei leader senza però trovare nulla se non l’evanescenza di una dimensione che è appunto televisiva. Virtuale.

    Il Pd – ricordo – fece una campagna elettorale dove il tema del lavoro oscillava tra gli operai della Thyssen e gli operatori dei call center, tra Calearo e Colaninno, senza una tesi precisa. Ora che sul tavolo del ministro Sacconi c’è la riforma della contrattazione collettiva: non sarebbe male conoscere le posizioni di Veltroni. Sono le stesse di Epifani, per il quale si dice essere pronta una poltrona al parlamento europeo? Beh, è davvero difficile pensare al leader della Cgil come un campione del riformismo.

    Speravamo che il Pd non fosse soltanto un arsenale di “no”, altrimenti non valeva la pena consumare lo sforzo di superare l’Ulivo. Dal Pd ci si aspettava uno scatto in avanti sulle riforme strutturali del Paese, invece Veltroni si limita a palleggiare coi lanci di agenzia. Certo che se la strada è questa, allora ci sta bene una tv e un giornale dove si scambiano lucciole per lanterne.

    A Veltroni mi permetto di ricordare una frase scappata di bocca a uno dei suoi sindaci: «Ma quanti voti dobbiamo ancora perdere prima di capire i bisogni reali della gente?».
    Quel sindaco, sono certo, non guarderà mai un solo minuto di Youdem.tv.

    G.L.Paragone www.libero-newsi.it 15 10 08

    saluti

 

 

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