Dal punto di vista del governo, la
possibilità di un accordo separato
ventilata ieri da Emma Marcegaglia –
una riforma della contrattazione firmata
cioè da Confindustria, Cisl e Uil, senza
la Cgil – rappresenta una tentazione
quasi irresistibile.
In primo luogo, perché
spaccherebbe, forse irrimediabilmente,
il poco che resta di un possibile
blocco sociale delle opposizioni, consegnando
al centrodestra la rappresentanza
di una parte largamente maggioritaria
del paese, persino oltre il già lusinghiero
stato di cose registrato dalle
ultime elezioni.
In secondo luogo, perchédisinnescherebbe la manifestazione
del 25 ottobre convocata dal Pd e le
molte altre che certamente verranno, e
forse ne volgerebbe addirittura l’esito a
favore del governo, spingendo Cgil e Pd
a radicalizzare le proprie posizioni.
In terzo luogo, la divisione tra Cisl e Uil da
un lato e Cgil dall’altro sortirebbe quasi
certamente un effetto di lungo periodo
sul sistema politico: la spaccatura
del principale partito di opposizione.

Come si vede, si tratta di ragioni piuttosto
solide, che potrebbero facilmente
indurre il governo a ricercare un simile
esito. Ma se così facesse, a nostro avviso,
commetterebbe un errore. Perché
ricercare lo strappo – cioè non fare tutto
il possibile per evitarlo – è sempre
un errore, soprattutto quando si è in posizione
di forza. Ma anche perché, almeno
finora, Guglielmo Epifani si è
ben guardato dall’assumere posizioni
di aperta rottura, e non solo sulla contrattazione.
E’ di ieri, ad esempio, la sua richiesta al governo di aprire un tavolo
sulla crisi.
Si capisce che il governo esiti. Sulla sua immagine “decisionista” ha conquistato finora in tutti i campi – dall’economia ai rifiuti, dalla scuola alla
pubblica amministrazione – un consenso
tale da farlo sentire al riparo da
ogni insidia. E restio ad abbandonare
una strategia – che si basa sui risultati,
certamente, ma è anche una strategia
di comunicazione – rivelatasi sin qui
tanto proficua.
Non c’è bisogno di compulsare
sondaggi: si tratti del 67 per
cento degli italiani o del 65 o del 62, fa
poca differenza (basterebbe ricordare
la situazione del governo Prodi nella
stessa fase, per chiudere ogni discussione).

Ma occorre sempre guardarsi dalla tentazione di stravincere. E tanto
più oggi, sapendo che i prossimi anni
saranno difficili per tutti i governi dell’occidente.

Avendo l’occasione di passare dal 67 per cento al 75, dunque, perché buttarla via?

da www.ilfoglio.it