proprietari di tutto il mondo, unitevi!
di Matteo Scarpellini

Ci sono parole che hanno un significato abbastanza ampio al punto che, quando le sentiamo nominare, non è tanto il significato a venirci in mente, ma alcune immagini. Queste immagini sono talvolta così lontane da altre (ugualmente coerenti con il significato) che tendiamo ad escludere queste ultime: abbiamo cambiato il significato. Più spesso questo non avviene spontaneamente, ma attraverso la cultura. Faccio un esempio: la parola proprietario. Quando la nominiamo non ci vengono in mente auto utilitarie, appartamenti di qualche decina di metri quadri, delle edicole o dei bar. Eppure sono molto più numerosi i proprietari, che non i Proprietari, al sentir nominare i quali associamo auto lussuose, ville e fabbriche.


Non è casuale che la cultura abbia colonizzato il nostro immaginario con il mito di pochi Proprietari, facendoci dimenticare la moltitudine di proprietari. I primi ci evocano personaggi potenti, che la saggezza popolare vuole (di solito) al di sopra delle regole. Servendosi questa (fondata, ma ne parleremo dopo) convinzione si presenta il Proprietario come qualcuno verso cui siamo più o meno tutti in credito per la sua condotta, e per estensione la proprietà diventa il mezzo che gli permette i suoi misfatti. A questo punto la distinzione – che invece esiste e non è da poco – tra Proprietà e proprietà però svanisce.


Rimane l'idea negativa di proprietà: un male necessario che viene tollerato purché sia sottoposto agli obblighi di fare questo o quello. E soprattutto: un qualcosa rispetto a cui siamo tutti in credito, a vario titolo. La cultura ha così legittimato o aiutato a digerire uno dei bocconi da sempre più amari: le tasse. La realtà va però all'esatto contrario: in grande misura non è la Proprietà che contribuisce alle tasse, ma la proprietà. Che però è frutto di risparmio, e nessuno può generalmente vantarci dei crediti dovuti alla “concorrenza sleale”, al trattamento di favore di cui beneficiano i Proprietari.


Che nel frattempo le tasse le eludono totalmente, potendo pagare un commercialista a tempo pieno che costruisca loro complicati castelli legali. Sembrerebbe che lo stato, dopo avere usato l'immagine del Proprietario per mostrare come le sue pretese sui soldi altrui siano giuste, li ricompensi come si paga l'attore di una pubblicità. Perché sia chiaro che l'elusione è di legale, e i cosiddetti “paradisi fiscali” sono degli stati. La crisi ha bruciato miliardi di investimenti: negli investimenti esiste il rischio e questo può succedere. E' strano che qualcuno paghi per gli investimenti sfortunati di qualcun altro. E' ancora più strano se questo qualcuno proclama l'uguaglianza di tutti di fronte a lui. E' stupefacente se si guarda alla natura di questi investimenti e si vede quanto fossero azzardati. E' decisamente irritante vedere questo tizio che proclama l'uguaglianza usare soldi di alcuni per pagare gli investimenti azzardati fatti da altri. E' qualcosa che grida vendetta come lo stato sta “risolvendo la crisi”, ma è anche una perfetta dimostrazione di come la saggezza popolare veda giusto rispetto i Proprietari.


E' quindi vero che siamo in credito con loro, e se purtroppo possiamo vantarlo è “grazie” allo stato. Mentre la maggior parte delle persone è costretta ad onorare i propri debiti e non può creare denaro dal nulla (non è uno scherzo, consiste in questo la cosiddetta riserva frazionaria delle banche: 2% dei depositi in cassa e il resto prestato in giro), ai piani alti evidentemente lo si può fare, o nessuno si sarebbe mai azzardato a comprare tanti e tali mutui di pagatori pessimi (subprime) o a scommettere somme considerevoli sugli eventi più disparati (derivati) o perfino sulle scommesse delle scommesse. Viviamo in una società dove per le persone comuni vale il libero mercato, con tutti i suoi rischi, mentre tra i pezzi grossi vige il socialismo, con tutte le sue garanzie. In che altro modo definire la redistribuzione di soldi tolti ai proprietari e concessi ai Proprietari “per fare fronte ai bisogni di liquidità”?


Rientra in quella sorta di contratto pubblicitario di cui dicevamo prima la tipica affermazione: “Servono regole contro l'anarchia del libero mercato”. Si usano i Proprietari per giustificare la necessità di un intervento che non riguarderà loro, ma i proprietari. Lo dimostrano i dirigenti della AIG, che con i soldi del famoso piano sono andati per un paio di settimane in California, tra sole, drink e “massaggi”. Con circa 120 agenzie (solo negli USA) incaricate di controllare è anche difficile parlare di necessità di rafforzare i controlli. Il problema è tutto qui: esistono regole per cui chi sbaglia non paga, ecco perché una società che dovrebbe controllare non controlla e una che dovrebbe gestire in modo avveduto i risparmi li investe in modo altamente rischioso. Perché le regole le hanno messe fuori dai meccanismi del mercato, mentre invece le stesse regole non si interessano delle modiche perdite di borsa del proprietario. Quando l'incentivo alla prudenza contenuto nella massima legge del mercato (punisco chi sbaglia) viene meno, rimangono solo gli incentivi al massimo guadagno. Il rischio però non cessa di esistere ma, come abbiamo visto, viene trasferito sui contribuenti.


A questo punto una domanda è lecita: perché lo stato con le sue regole deve accanirsi sui proprietari? Perché, dopo aver posto le premesse di una grave crisi drogando la borsa con bassi tassi di interesse, dopo aver distrutto valori considerevoli attraverso l'inflazione, si sta preparando a trasferire i loro soldi nei buchi di bilancio dei Proprietari? Cosa hanno fatto di male delle persone inoffensive come i proprietari per meritare tutto questo?


Smettiamo di pensare allo stato come ad un irrealistico blocco monolitico. Lo stato è una macchina, mossa da individui. Questi individui si rapportano con gli altri e ci negoziano. Ora: se il mercato è la via più efficiente per scoprire chi siano i migliori negoziatori, è logico aspettarsi che questi dimostrino le stesse abilità di negoziazione non solo con gli individui operanti sul mercato, ma anche con quelli che operano nello stato. Esaurite le strategie competitive all'interno del mercato, cosa vieta alla concorrenza di proseguire nella struttura dello stato? Il controllo delle regole è una via efficacissima per ottenere vantaggi sui propri concorrenti.


Fino a quando lo stato produrrà regole esisteranno delle negoziazioni tra individui che le avranno per oggetto. Poiché questo insieme di negoziazioni è del tutto simile al mercato, ci si aspetta che, nei limiti in cui è simile al mercato, siano gli stessi operatori del mercato a prevalere. Dato che però il mercato è soggetto a queste stesse regole siamo di fronte ad un circolo, che non permette di sapere se davvero i Proprietari abbiano meritato la maiuscola o quanto essa sia frutto delle regole che hanno negoziato. Sicuramente quelle stesse regole servono a consolidarla. Altrettanto certamente i Proprietari sono più adatti a negoziare con lo stato dei proprietari.


E' ovvio che il proprietario ha due possibilità: competere politicamente con i Proprietari o battersi perché non esista più un mercato delle regole, che lo vede inevitabilmente perdente. Quando un uomo è inseguito da un alligatore non gli sfugge nuotando, accettando la sfida nel terreno dove il rettile gode di tutti i vantaggi, ma mettendosi a correre sulla terraferma, dove compete su un piano di discreta parità. Ecco perché la politica ha bisogno di continua esagerazione e drammatizzazione: sostanzialmente per non rendere evidente un'altra nozione nota alla saggezza popolare, ovvero la sua natura di teatro, che incanta gli spettatori, gli risparmia di pensare, fa pagare loro il biglietto e si spartisce gli incassi; così come fanno gli attori dietro le quinte, dopo essersi insultati e anche uccisi per tutto lo spettacolo. D'altra parte la dote principale degli attori è quella di fingere in modo convincente. Fosse chiaro come vanno le cose in politica, e fosse chiaro a chi davvero rispondono i politici, probabilmente il teatrino avrebbe già chiuso da un pezzo.


L'altro fondamentale motivo per cui lo stato non può fare a meno di aggredire la proprietà è dovuto alla sua stessa natura. Lo stato si basa sulla violenza: se gli individui facessero spontaneamente quello che impone non avrebbe senso di esistere. Viene da pensare, per assurdo, che finirebbe per imporre il contrario di quello che impone normalmente: per esempio, invece che vietare l'omicidio, potrebbe richiederlo tassativamente. Effettivamente è un esempio azzardato. E' incredibile. Però è vero: lo stato argentino, una dittatura militare che aveva ormai esasperato la popolazione, per trovare una ragione di essere impose l'obbligo di uccidere un certo numero di soldati inglesi, occupando le isole Falklands. Fallito miseramente questo obiettivo, la dittatura si dissolse come neve al sole.


Abbiamo visto che lo stato si occupa di violenza. Anche qui non pensiamo agli scontri di piazza, o ad uno stupratore: come per il termine proprietario, la cultura ci ha abituato ad associare a violenza solo alcune immagini, quelle più intollerabili, come l'omicidio o lo stupro. Ma la violenza è il semplice obbligo, fatto con la forza, di fare qualcosa. Messa in questi termini diventa ovvia una cosa: che lo stato è il principale somministratore di violenza. Nella vita avete incontrato più volte un rapinatore o un esattore delle tasse? E qualcuno ha mai minacciato di rapirvi se aveste costruito una casa sulla vostra terra, senza il suo permesso? E' chiaro che, mentre nella nostra testa galleggiano le immagini di poche eclatanti Violenze,la realtà ci vede in continuamente a che fare con centinaia di violenze. Ecco dunque che, come nel caso del proprietario, la cultura ci fa associare alcune immagini al termine violenza, alcuni gravi delitti che oscurano la moltitudine di piccole vessazioni. Si cerca di negare così l'ennesima realtà ben nota alla saggezza popolare: ovvero che lo stato esiste essenzialmente per comandarci, non per altri motivi.


Questo discorso serve a capire la profonda e intrinseca avversione dello stato verso la proprietà. Che cos'è la proprietà se non una sfera di azione, all'interno della quale siamo totalmente liberi? Sono principi che conosciamo in modo istintivo: con le nostre cose e in casa nostra facciamo quello che vogliamo. La proprietà diventa la nostra garanzia di libertà. Non a caso identifichiamo le persone povere come in “uno stato di necessità”, quando la necessità è noto che non abbia mai lasciato molti spazi di libertà a nessuno. E viceversa ecco perché la Proprietà grazie alle sue stesse dimensioni permette l'ampia libertà dei Proprietari. Se violenza è contrario di libertà, e la proprietà è garanzia di libertà, è ovvio perché lo stato non abbia in simpatia una proprietà diffusa, e schiere di proprietari liberi dalle necessità. Allo stato servono o grandi Proprietari, come complici. Oppure dei non-proprietari, ai quali possa elargire qualcosa stabilendo un legame di dipendenza.


Mentre gli estremi sono interessanti, come servi o come alleati, il proprietario non ha nulla da offrire. Non è così disperato da poter essere manovrato a piacimento, non è così forte da poter partecipare alla spartizione. Tutto quello che ha è la proprietà, e colpirla da un lato arricchisce lo stato, e gli permette di remunerare servi e alleati, dall'altro impoverisce il proprietario, rendendolo meno autonomo. Chi di noi dopo il prelievo fiscale ha ancora i soldi per pagarsi una clinica privata? O per far studiare i figli in collegio? Il proprietario viene costretto a mettersi nelle mani dello stato, che ha creato così i presupposti per essere indispensabile. Nel frattempo il Proprietario continua ad avere i soldi per curarsi in America e far studiare i figli in Svizzera. Non è la riedizione, in scala meno evidente ma più subdola, dei privilegi della nobiltà?


C'è una massima della saggezza popolare che sostiene lo stato faccia qualcosa solo per i molto poveri o per i molto ricchi. Per tutti quelli che stanno in mezzo rimangono da pagare le tasse e da rispettare le regole. Anche per gli altri. Abbiamo appena visto quanto sia fondata. E si tratta di una condizione inevitabile, se pensiamo alle diverse possibilità di negoziare di cui parlavamo prima. Eccomi arrivato all'ultima colonizzazione del nostro immaginario: l'anarchia non consiste in ragazzi incappucciati che bruciano automobili. L'anarchia è semplice assenza di un potere che imponga la violenza. E se ripensiamo a cosa sia realmente la violenza (non solo delle Violenze, ma tantissime violenze), ci rendiamo conto che l'anarchia è già la teoria politica del proprietario. Siete anarchici. Il proprietario aspira a godere della proprietà senza tutti quegli obblighi che vengono giustificati dalla mistificazione negativa di cui parlavamo all'inizio. La saggezza popolare di cui sono impastati la maggior parte dei proprietari ha sempre reclamato il diritto a farsi gli affari propri. Visto cosa significa anarchia, c'è qualche differenza? Non è un vostro desiderio essere lasciati in pace? Cosa c'è di diverso tra questo e il non volere qualcuno che imponga i suoi ordini con la violenza?


E' in corso una guerra contro la proprietà. Le tasse e i regolamenti ne sono la prova concreta. Si attacca la proprietà perché è molto più facile colpire lei che non la nostra libertà. Ci illudiamo che i nostri interessi verranno tutelati dai politici che votiamo, ma stiamo facendo una gara di nuoto contro degli squali. La nostra aspirazione è una vita tranquilla, senza subire gli ordini di nessuno. Vogliamo preservare quello che abbiamo guadagnato. Eppure viviamo condizionati da regole, che ci sembrano assurde. Paghiamo le tasse e ci sembra di non ricevere indietro quello per cui avremmo pagato. E allora perché dovremmo ostinarci a sostenere ad ogni costo questo sistema? E' vero che, al contrario dei non-proprietari che non hanno nulla da perdere, noi abbiamo la nostra cara vecchia proprietà. Il problema è che stanno lavorando per rendercela inutilizzabile, e quando ce l'avranno tolta non è affatto sicuro che avremo ancora la forza per combattere.


Se esistono le classi sociali, ce n'è una che nella storia ha dimostrato il suo scarso interesse per guerre e rivoluzioni ed è quella media. Non per questo va considerata come una incubatrice di mediocri. Ha prodotto la maggior parte degli uomini che, con il loro ingegno, hanno regalato qualcosa all'umanità. La rivoluzione industriale e il trionfo, un secolo fa, della libera intrapresa hanno prodotto un'era di prosperità, e le dobbiamo soprattutto alla moltitudine di proprietari che le hanno animate. Mentre i Proprietari e i non-proprietari (per motivi opposti) hanno sempre avuto una forte coscienza dei propri comuni interessi, i proprietari sembrano essere rimasti ai margini della storia, nonostante siano così numerosi. Questa è una delle prove dello spirito profondamente anarchico che anima il proprietario. L'anarchia è la dottrina politica della classe media, anche se la classe media non se ne rende conto, e di tutto è stato fatto purché non se ne possa capacitare.


Un secolo fa il Sudamerica era una terra di grandi opportunità, ci si andava per fare fortuna. Nel giro di due generazioni qualcosa ha spazzato via i proprietari. E tutti abbiamo bene in mente due immagini del Sudamerica: il dittatore e il latifondista. Lo stato e il Proprietario. Ecco perché dico che oggi è in corso questa guerra, e se rifiutiamo di combatterla, rimanendo plaudenti spettatori nel teatrino dei politici, come i sudamericani che hanno corso dietro ai loro famosi demagoghi, siamo destinati a perderla. E questa volta non sono in gioco invenzioni come i confini nazionali (che nessuno ha mai visto), ma la nostra concretissima proprietà. Possiamo illuderci che il problema non esista, ma c'è un intero continente che dimostra il contrario.


Così come nessuno ci ha regalato la proprietà, nessuno ci regalerà la libertà. E' ora che la maggioranza silenziosa, silenziosamente riprenda la libertà e rifiuti di essere comandata.
Per questo vi dico: proprietari di tutto il mondo, unitevi!

LINK