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  1. #21
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    Citazione Originariamente Scritto da oggettivista Visualizza Messaggio
    E quante volte bisogna invitarti a leggere ciò che il tuo interlocutore scrive ?. Come si legge nel messaggio da me postato la Civiltà Cattolica si è espressa a favore della legislazione razzista promulgata dal fascismo.
    appena riparo lo scanner, ti posterò un articolo di Messori che spiega molto bene la questione!

  2. #22
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    Citazione Originariamente Scritto da codino Visualizza Messaggio
    come al solito confondi "razzismo" in senso biologico (da condannare) con l'antigiudaismo teologico (da promuovere)...

    quante volte bisogna ripeterlo?
    Sì, ma la Chiesa non può pensare di andare d'accordo con ebrei e Stato d'Israele (come pare che ci tenga a fare) "promuovendo" il (seppur tradizionale) antigiudaismo teologico.

  3. #23
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    La questione del (parziale) avallo al Fascismo - che alcuni imputano indebitamente (e ideologicamente) alla Chiesa come una mossa addirittura 'anticristiana' - può essere delucidata da uno stralcio di uno scritto del compianto Pietro Scoppola (un inedito posseduto da Emma Fattorini) pubblicato oggi sul Sole 24 Ore, testata non certo indulgente verso il Cattolicesimo e la Chiesa.
    Che la Chiesa vedesse nel giovane esperimento politico mussoliniano uno strumento 'provvidenziale' per rimediare alla secolarizzazione spinta operata dal Risorgimento, non è una novità. La novità sta nell'analisi comparata tra l'atteggiamento verso il Fascismo e quello verso l'Action française, e che riporto a dimostrazione del fatto che la Chiesa fu sempre cosciente di ciò che faceva, e che le sue scelte erano sempre dettate da salvaguardia della dottrina e della fede. Certo, giocò d'azzardo, ma non ha fatto forse lo stesso nel dopoguerra, con altri soggetti? E, come altrimenti può agire, se non vuole mettersi sullo stesso piano della politica ma far fruttare ciò che offre la provvidenza in questa o quell'altra determinata contingenza storica?

    Riporto lo stralcio, con sottolineature mie:

    ---------------------------------------------------


    L’esperienza dell’Action française pone al centro il tema della religione come elemento di identità collettiva, culturale e politica, e quindi dell’uso politico della religione a prescindere dall’adesione alla fede cattolica come fatto di coscienza personale. La formula, affermatasi a livello giornalistico, degli “atei devoti” esprime una realtà che riecheggia le posizioni di Maurras.
    Ma le sue posizioni rimandano non solo al rapporto del cattolicesimo con il mondo moderno, ma all’essenza stessa del cattolicesimo e al legame di identità fra cattolicesimo e cristianesimo.
    Insomma il cattolicesimo di Maurras è antisemita e anticristiano e ha ricuperato l’armonia della concezione pagana; è contrario a ogni universalismo, è un cattolicesimo paganizzato, una religione secolare.
    Il rifiuto dei principi dell’89, il richiamo alle enunciazioni del Sillabo come punto di riferimento ideale, la lotta contro la Repubblica laica che ha spogliato la Chiesa dei suoi diritti, il ritorno alla monarchia cattolica come premessa di una ricostruzione morale e religiosa della Francia. Maurras giunge perfino ad opporsi alla difesa dei diritti della Chiesa in nome dei principi di libertà, perché inopcare quei principi è già un riconoscerli, ed esalta una Chiesa illiberale e autoritaria, plaude alla Pascendi, stringe rapporti con la Sapinière di Benigni.
    La polemica che si apre intorno all’Action française è lacerante e senza esclusione di colpi, coinvolge preti vescovi e cardinali, raggiunge Roma e coinvolge il papa. La condanna pronunciata da Pio XI nel 1926 dell’Action française è rimasta a lungo sospesa tra due interpretazioni opposte, nate a ridosso degli eventi ma poi trasferite e consolidate nella storiografia. Da un lato la lettura proposta dagli esponenti del movimento : la condanna come scelta politica voluta dalla Santa Sede ai fini di un riavvicinamento alla Francia di Aristide Briand, dopo la fase anticlericale di Herriot, per un secondo ralliement. Dall’altro invece la lettura religiosa della condanna voluta con fermezza da Pio XI in difesa di una purezza dottrinale che le idee di Maurras andavano progressivamente scalzando specie nella gioventù francese. A me sembra che un sia pure rapido primo sondaggio sulle carte vaticane ora disponibile confermi la lettura di tipo religioso : proprio l’asprezza e la profondità della lacerazione che si è aperta nella Chiesa francese a seguito della condanna pone in risalto, per contrasto, l’intento religioso di Pio XI e la sua ferrea volontà di stroncare un modo di intendere il cattolicesimo e la Chiesa alternativo alla dottrina e alla disciplina di Roma.
    In un articolo in «Review of Reviews» del maggio-giugno 1927 dal titolo “Il caso dell’Action française”, Sturzo pone chiaramente e distintamente in luce i due aspetti religioso e politico della condanna e andando oltre l’aspetto disciplinare osserva : “il fenomeno dell’Action française non può essere circoscritto all’attuale vertenza ecclesiastica, che è un lato interessante, ma non lo definisce né lo caratterizza completamente : esso si estende al di là di una eresia o di una indisciplina religioso-cattolica, e prende il carattere di un movimento politico mistico di più larga estensione”. In sostanza Sturzo intuisce che nel fenomeno dell’Action française vi sono già gli elementi di una religione secolare che non nasce in antitesi al cattolicesimo ma da una sua distorsione in senso mondano e che segna perciò necessariamente il suo distacco dal ceppo cristiano.
    In definitiva si fa strada l’intuizione che una visione cattolica della laicità della politica e dello Stato non può fondarsi soltanto sulla classica distinzione dei piani fra lo spirituale e il temporale ma coinvolge la concezione stessa della Chiesa e, in essa, del ruolo del laicato.
    L’Action française si poneva come fenomeno interno al cattolicesimo capace di minarlo nella sua intima essenza, addirittura recidendone le radici cristiane, mentre il fascismo come fenomeno esterno alla Chiesa poteva essere più liberamente e diciamo pure più spregiudicatamente utilizzato nella speranza, dimostratasi presto illusoria, di servirsene per una restaurazione cristiana della società italiana. Dunque, l’atteggiamento del papa Pio XI rimane intimamente ispirato da forti motivazioni religiose in entrambi i casi anche se condizionato da una visione culturale che ha una unica radice ma che agisce in maniera diversa, anzi opposta nei due casi.
    [Pietro Scoppola]

  4. #24
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    Ulteriori risposte alle accuse rivolte alla Chiesa in questo thread, potranno leggersi nel saggetto di cui riporto l'ultimo paragrafo [http://web.infinito.it/utenti/i/inte...indromeO.html] e che contiene anche il link a Messori cui accennava Codino :


    [...]
    Le ragioni profonde del sospetto antisemita

    La questione ebraica, continuamente rilanciata, costituisce un disagio per molti credenti, soprattutto per quelli che reputano che la storia passata sia intrisa di errori e pertanto sostanzialmente irrecuperabile. Ebbene, chiunque abbia il coraggio di confrontarsi con le fonti storiche, deve arrivare ad una conclusione sconcertante: in Italia, alla fine degli anni Trenta, i provvedimenti presi dal fascismo nei confronti degli ebrei coincidevano in parte con le aspettative e le richieste portate avanti sin dalla prima metà dell'Ottocento anche da ambienti cattolici ufficiali. In quegli anni molti sono andati alla ricerca di un rifiuto, di un gesto sdegnato dei credenti, per le misure discriminatorie antiebraiche che invece - salvo lodevoli eccezioni - non si imposero all'attenzione generale.

    Coloro che, nella Chiesa, non approvarono esplicitamente le decisioni fasciste tacquero o ritennero giusto protestare, almeno per quel poco che il regime dittatoriale consentiva. Ci fu invece - va mai dimenticato la decisa condanna cattolica di quei provvedimenti discriminazione sfocianti nel razzismo. rinnovata senza esitazione dell'antisemitismo come si sottolineò è figlio della modernità atea e del cristianesimo. ogni violenza, l'esortazione ad astenersi da brutalità, ma una ripulsa al programma fascista verso gli ebrei Benito Mussolini sintetizzò con lo slogan: «Separare, non perseguitare». Da notare che la cautela della Santa Sede rispetto alle leggi razziali italiane venne rilevata anche dallo storico Renzo De Felice nella sua Storia degli Ebrei italiani sotto il Fascismo (cfr. DE FELICE R., Storia degli Ebrei italiani sotto il Fascismo, Einaudi, Torino 1993, 477-478).

    Ecco il problema dunque: rifiutare una volta per tutte le rimozioni ipocrite e accettare, anche se scomoda, la verità di una contrarietà anche cattolica verso il mondo ebraico. Prima ancora però occorre capire come e perché parte della Chiesa, inclusi alcuni ambienti ufficiali, aveva accolto una simile prospettiva. È significativo per molti versi un articolo comparso su La Civiltà Cattolica del 1890 a firma del gesuita p. Raffaele Ballerini. Nell'introduzione egli scrisse: «Stoltamente si vuol far passare che, per il cristiano, la questione giudaica nasca da odio di religione o di stirpe». Allo stesso tempo egli rifiuta il termine "antisemitismo", non a caso forgiato in quel XIX secolo nato negli ambienti darwiniani e foriero di razzismo, che chiunque segua il Vangelo non può far altro che denunciare e combattere. Allo stesso modo egli rifiutò gli stereotipi morali ed etici tradizionalmente affibbiati agli ebrei. Niente confische dunque o, peggio, la morte, ma nemmeno deportazioni o espulsioni, per ragioni di umanità, cose tutte che sarebbero difformi dal modo di sentire e di operare della Chiesa.

    Cosí continua, dunque, p. Ballerini:

    «L'unico e piú solido partito per liberare la cristianità dall'oppressione del giudaismo è nel tornare indietro e rifare la strada che si è sbagliata. Se non si rimettono gli ebrei al posto loro, con leggi umane e cristiane sí, ma di eccezione, che tolgan loro l'eguaglianza civile a cui non hanno diritto, che anzi è perniciosa non meno ad essi che ai cristiani, non si farà nulla o si farà ben poco. Data la loro presenza nei vari Paesi, e data la incommutabile lor natura di stranieri in ogni Paese, di nemici della gente di ogni Paese che li sopporta e di società separata sempre dalle società con le quali convive; data la morale del Talmud che seguono e dato il domma fondamentale della lor religione che li sprona ad impadronirsi, con qualsiasi mezzo, del bene di tutti i popoli, perché alla razza loro conferisce il possesso e l'imperio del mondo; dato che l'esperimento di molti secoli e quelli che facciamo ora han dimostrato e dimostrano che la parità dei diritti coi cristiani, concessa loro dagli Stati, ha per effetto o l'oppressione dei cristiani per mano loro o i loro eccidii per parte dei cristiani. Dato tutto questo, ne scende di conseguenza che il solo modo di accordare il soggiorno degli ebrei col diritto dei cristiani, è quello di regolarlo con leggi tali che al tempo stesso impediscano agli ebrei di offendere il bene dei cristiani ed ai cristiani di offendere quello degli ebrei».

    Una sorta di legislazione di "legittima difesa", dunque, quella proposta da p. Ballerini, che non perseguiti ma separi, formula ripresa - come già rilevato - nel 1938 dallo stesso Mussolini. Si tratta di tesi indubbiamente sconcertanti per l'odierna mentalità, tuttavia, prima di abbandonarsi a facili commenti e senza gratuiti intenti polemici, sarà utile confrontarsi con l'odierna legislazione israeliana circa i diritti civili di un non ebreo in terra d'Israele. Ciò premesso, il p. Ballerini continua esponendo quello che era allora il pensiero cattolico preminente non smentito, quando non approvato, dalla Santa Sede stessa:

    «...è questo ciò che, in guise piú o meno perfette, si fece pel passato e questo è ciò che gli ebrei da cent'anni in qua si sono studiati di disfare. Ma questo è ciò che, tosto o tardi, per amore o per forza, si avrà da rifare. E forse gli ebrei medesimi saran costretti di supplicare che si rifaccia».

    Cosí il p. Ballerini giunge ad una predizione che non può non impressionare lo storico odierno:

    «Perocchè, la strapotenza alla quale il diritto rivoluzionario li ha oggi sollevati, viene scavando loro sotto i piedi un abisso, pari nella profondità all'altezza cui sono assurti. Ed al primo scoppiare del turbine che essi, con questa loro strapotenza, vengono provocando, traboccheranno in un tale precipizio che sarà senz'esempio nelle istorie loro, com'è senza esempio la moderna audacia colla quale conculcano le nazioni che follemente li hanno esaltati [...] Questo secolo decimonono si chiuderà nell'Europa, lasciandola fra le strette di una questione tristissima, della quale nel successivo secolo ventesimo risentirà forse conseguenze sí calamitose che la indurranno a porvi un termine, con una risoluzione definitiva: alludiamo alla mai detta questione semitica, che piú rettamente va denominata giudaica».

    Sono parole, queste della Civiltà Cattolica, che si rileggono con disagio e sconcerto, tanto si è rovesciata in questi pochi decenni la prospettiva sociale ed ecclesiale. Sono parole che - se la storia non ne avesse dimostrato la tragica veridicità - verrebbe spontaneo rifiutare; la storia tuttavia può essere dimenticata o rimossa - a proprio rischio e pericolo - ma mai rifiutata: dal momento che essa è s'impone. Cosa c'era, insomma, alla base della diffidenza nei confronti degli ebrei? Da parte della Chiesa dinanzi al nazismo, per esempio, ci fu una severa condanna ufficiale, un deciso rifiuto del razzismo in senso biologico, insieme all'orrore per ogni violenza e ingiustizia; ci fu invece una certa comprensione per il fascismo e le sue leggi che furono presentate dal regime come una misura di "legittima difesa". Il motto "non perseguitare ma separare" fu sostenuto per decenni dall'ufficiosa Civiltà Cattolica tanto che, quando nel 1938 quelle leggi furono promulgate sui giornali, si sottolinearono la preveggenza e la fermezza dei gesuiti e, con loro, della gerarchia cattolica. In particolare, Il Regime Fascista di Roberto Farinacci pubblicò, il 30 agosto 1938, un articolo in cui si giustificava la legislazione razziale italiana servendosi degli articoli pubblicati dal p. Raffaele Ballerini sulla Civiltà Cattolica del 22 settembre, 4 novembre e 9 dicembre 1890 (cfr. DE ROSA G., La Civiltà Cattolica. 150 anni al servizio della Chiesa, 1850-1999, Edizioni La Civiltà Cattolica, Roma 1999, 93-95). Ciò che conforta è che all'atto pratico gran parte della comunità cattolica si mobilitò per salvare la vita agli ebrei quando furono minacciati di deportazione e di morte da parte dei tedeschi.

    Di un certo interesse per la questione ebraica appare un severo articolo di Vittorio Messori comparso nella rivista "Il Timone" nel febbraio 2004 e intitolato: Cattolici: perché quella paura degli ebrei? Messori si rifà in particolare ai tre articoli sulla "questione giudaica" pubblicati nel 1890 dal padre Raffaele Ballerini e alle raccolte della Civiltà Cattolica dopo i provvedimenti fascisti del 1938, quando la rivista ammise qualche "acerbità di linguaggio" del loro estensore, ma confermò la sostanza dei suoi argomenti. Non si possono non rilevare poi anche le tesi del p. Martina S. J. redatte però in uno stile piú moderato (cfr. MARTINA G., «La Civiltà Cattolica» e la questione ebraica, in CivCatt, 151/II (2000), 263-268). In realtà quella del p. Martina è una recensione ad un libro di sicuro interesse per la questione ebraica (TARADEL R. - RAGGI B., La segregazione amichevole. «La Civiltà Cattolica» e la questione ebraica (1850-1945), Roma, Ed. Riuniti, 2000). Cosí scrive il Martina, traendone le conclusioni:

    «Certo, il tono duramente negativo di Oreglia e di Ballerini nei confronti degli ebrei, il complesso delle loro accuse, la proposta di una segregazione razziale abbastanza estesa, oggi vanno risolutamente condannate, e il primo a insegnarcelo è proprio Giovanni Paolo II. Si deve però riconoscere che la posizione della rivista, prima e specialmente dopo il Concilio, ha avuto una larga e graduale evoluzione, analoga a quella della Chiesa in genere. Già Enrico Rosa nel 1934 criticava l'antisemitismo tipico del nazismo. Ben piú forte fu il cambiamento sotto Giovanni XXIII, con articoli pieni di rispetto di Agostino Bea. Ci sembra perciò un po' eccessivo il tono dell'introduzione, che parla di un'immagine attuale edulcorata di buonismo, che vede nella Chiesa un'immagine, sí, con forti ombre, rispetto però a una linea sostanzialmente buona. Il tono generale del documento da noi già pubblicato della Commissione teologica internazionale è diverso: "Lungo tutto il pellegrinaggio terreno, il grano buono resta sempre inestricabilmente mescolato con la zizzania, la santità si affianca all'infedeltà e al peccato". "[La Chiesa] condivide con i suoi contemporanei il rifiuto di ciò che la coscienza morale attuale riprova, senza proporsi come l'unica colpevole e responsabile dei mali del passato, ricercando [...] il dialogo nella reciproca comprensione"».

    Molto piú interessante e puntuale si rivela invece il lavoro di p. Giovanni Sale nell'articolo Antisemitismo cattolico o antigiudaismo? Le accuse contro la Chiesa e la "Civiltà Cattolica", in CivCatt., 3647/II (2002), 419-431. Egli distingue anzitutto fra antigiudaismo religioso e antigiudaismo politico-sociale:

    «Per comprendere l'atteggiamento della Gerarchia ecclesiastica e della Civiltà Cattolica sul problema ebraico è necessario premettere alcune considerazioni storiche. Da questo punto di vista va distinto un antigiudaismo religioso o dottrinale da un antigiudaismo per lo piú dettato da considerazioni di ordine socio-politico. Il primo era dovuto a motivazioni teologico-dottrinali: esso considerava l'ebreo, uomo senza patria, come un «dannato da Dio» a motivo del suo accecamento per non aver riconosciuto il Messia, e la sua condizione di esule era intesa e spiegata secondo particolari categorie religiose. In questo rientravano le gravi accuse di deicidio e di omicidio rituale. Alla divulgazione di tali idee contribuí in epoca moderna anche La Civiltà Cattolica con gli articoli del p. Giuseppe Oreglia di Santo Stefano e successivamente, sebbene in forma piú critica e moderata, dei pp. Raffaele Ballerini e Francesco Rondina. Tale mentalità antigiudaica, diffusa in ampi settori dell'opinione pubblica europea e non soltanto tra i cattolici, condannava l'ebreo a una condizione di emarginazione sociale. Frutto di tale atteggiamento furono in epoca passata i ghetti, che avevano lo scopo di tenere sotto controllo gli ebrei, sottoposti a una legislazione sociale apertamente discriminatoria (emanata si diceva piú per «cautela preventiva che per provvidenza punitiva»), ma anche quello di proteggerli contro possibili pogrom popolari. In ogni caso l'ebreo, pure accolto per motivi di carità cristiana, era tuttavia considerato parte estranea della società. L'antigiudaismo moderno nasce invece con la Rivoluzione francese e in particolare con l'emancipazione sociale e politica degli ebrei, sancita dai Governi liberali. Tale legislazione liberale, scriveva la nostra rivista, ha reso gli ebrei «baldanzosi e potenti, facendo loro sotto pretesto di uguaglianza una condizione sempre piú preponderante di prestigio, massime economico, nella società moderna» [ROSA E., Il pericolo giudaico e gli "Amici d'Israele", in Civ. Catt., II (1928), 341]. Altro motivo che spinse a lottare contro l'influsso che gli ebrei andavano acquistando a livello sociale, oltre alla loro preponderanza in campo economico e finanziario, fu il ruolo primario che molti di essi ebbero nella massoneria internazionale fortemente anticattolica e nei moderni movimenti rivoluzionari e non solo nella Russia di Lenin, ma anche negli Stati dell'Europa Occidentale. Tale modo di pensare era alimentato dal fatto che molti capi dei partiti comunisti europei erano ebrei: la gran parte dei membri del Consiglio dei commissari del popolo, per esempio, istituito da Lenin dopo la Rivoluzione russa del 1917 - cioè il Governo rivoluzionario del Paese - era costituito da ebrei [Cfr. Civ. Catt., IV (1922), 112-121]. Cosí la figura dell'ebreo, nell'immaginario collettivo cattolico, e non soltanto in esso, fu assimilata, da una parte, al capitalista che sfruttava la popolazione cristiana, dall'altra al rivoluzionario, che lottava per minare le basi della vita associata. All'ebreo inoltre, in un'epoca di nazionalismo esasperato, si rimproverava di non nutrire «amor patrio», sentendosi egli, si diceva, non cittadino dello Stato che lo accoglieva, ma semplicemente membro virtuale della «nazione ebraica», che non aveva a quel tempo nessuna terra da difendere. Molti esponenti della cultura cattolica accettavano per motivi sia religiosi, cioè di difesa dell'identità cristiana, sia patriottici e di tutela dell'ordine costituito queste idee, e La Civiltà Cattolica ebbe un ruolo non secondario nella loro divulgazione».

    Sull'antisemitismo razziale p. Sale afferma:

    «...si sviluppò nei primi decenni del Novecento, anche se le sue radici ideologiche sono ottocentesche e in ogni caso, come è risaputo, non cristiane: esso trovò nelle dottrine razziste professate dal nazismo prima e dal fascismo poi (sebbene in forma piú attenuata) il suo culmine, nonché una ferma volontà di traduzione pratica da parte dei due regimi dittatoriali. Contrariamente a quanto viene affermato da alcuni studiosi contemporanei, il Magistero della Chiesa (e con esso La Civiltà Cattolica) non professarono mai l'antisemitismo razziale (...). Tra antisemitismo e antigiudaismo esiste in ogni caso una differenza sostanziale che non va sottovalutata. L'antigiudaismo rispondeva a un'esigenza di tutela dell'antica societas christiana - che di fatto da tempo non esisteva piú in Europa, ma che nella mente di molti uomini di Chiesa continuava ad essere ancora valida -, per cui erano considerate legittime legislazioni civili, approvate da Stati a maggioranza cattolica, che, facendo salvi i doveri di moderazione e di carità cristiana verso tutti, trattassero in modo differente cristiani ed ebrei. Questo è il senso di alcuni articoli scritti dalla Civiltà Cattolica negli anni Trenta in difesa di una legislazione statale che limitava in qualche modo i diritti civili degli ebrei, commisurandone il godimento ad alcune condizioni: ad esempio, fissando il numero chiuso per l'accesso ad alcune professioni liberali, ritenute vitali per la società».

    Alle tesi del Kertzer circa l'antisemitismo di Papa Ratti (KERTZER D. I., I Papi contro gli ebrei. Il ruolo del Vaticano nell'ascesa dell'antisemitismo moderno, Milano, Rizzoli, 2002) il p. Sale replica richiamando l'importanza dell'enciclica Mit brennender Sorge (Lettera enciclica di S. S. Pio XI sulle condizioni della Chiesa cattolica nel Reich germanico, 14 marzo 1937, in AAS 29 (1937), 145-147) diretta ai vescovi tedeschi - redatta nella parte dottrinale dal card. Faulhaber, arcivescovo di Monaco, e in quella concernente le denunce sulle violazioni del Concordato dal card. Pacelli, a quel tempo Segretario di Stato - dove Pio XI condannò il nazionalismo esasperato e il culto della razza, nonché le aberrazioni del nazismo e le dottrine anticristiane da esso sostenute. Il Papa, inoltre, durante un'udienza concessa agli operatori belgi delle radio cattoliche, nel settembre 1938, con le lacrime agli occhi per l'emozione, pronunciò, in modo informale, alla fine del suo discorso la celebre frase: «L'antisemitismo è inammissibile. Noi siamo tutti spiritualmente semiti».

    «In conclusione, [afferma p. Sale] va detto chiaramente che la Chiesa non intende nascondersi dietro definizioni di comodo o strumentali, quale sarebbe, secondo alcuni studiosi, la distinzione tra antigiudaismo e antisemitismo, per non riconoscere le proprie responsabilità nei confronti degli ebrei. Al contrario, essa non ha difficoltà ad affermare che l'antigiudaismo professato da molti cattolici durante i secoli ha fortemente contribuito alla discriminazione delle comunità ebraiche della diaspora - condannandole a una forma spesso disumana di segregazione e di aperta discriminazione sociale - e quindi a chiedere perdono per gli errori commessi dai suoi figli contro i loro «fratelli maggiori», come del resto Giovanni Paolo II ha già fatto a Gerusalemme davanti al Muro del Pianto. Ma gli storici non possono addossare alla Chiesa responsabilità di fatti (come l'antisemitismo razziale) che non ha commesso e che anzi ha combattuto e condannato».





    Conclusione

    Dopo questa sintesi storica e dottrinale molte domande restano comunque aperte. La Chiesa, in questa come in altre controversie, ha subito continuamente attacchi di ogni genere, talvolta a ragione ma spesso sulla base di argomentazioni del tutto gratuite e di parte. Cosa dire, per esempio, degli odierni e numerosi pamphlet anticristiani e della polemica iniqua su Pio XII e il nazismo? Si tratta spesso di posizioni ideologiche che rendono ardui sia un dialogo, sia una riflessione pacata. L'ebraismo deve interrogarsi a fondo sulla sua lunga storia e porsi il problema della riconciliazione e della pace sociale. È essenziale, ad esempio, che sappia rendere ragione su quelle che sono state le sue dinamiche di integrazione e di inserimento sociale. Quali poi le linee di azione assunte nelle politiche nazionali e internazionali? Quali i rapporti con le altre religioni? Mantenendo intangibile il discorso sui diritti umani, che il popolo ebraico condivide egualmente con tutti gli altri popoli, resta aperta la problematica dell'inserimento sociale e culturale che l'ebraismo condivide in parte con l'Islam. Se l'Islam lungi dall'essere un fenomeno puramente religioso è "religione e Stato" (al-Islâm dîn wa-dawla) anche l'ebraismo in certo qual modo lo è. In ultima analisi è proprio da questa inestricabile commistione fra religione, politica ed etnia che sorgono tutte le ben note problematiche storiche.

    L'ebreo moderno ha indubbiamente assimilato in modo cospicuo la cultura occidentale e le sue distinzioni filosofiche e giuridiche e ciò lo ha reso in certo qual modo parte integrante delle nostre società, sarebbe un errore tuttavia dimenticare la sua innegabile peculiarità. L'ebreo - lungi dal fargliene una connotazione negativa - è costituzionalmente "diverso fra i diversi". Tralasciando per un momento le valutazioni teologiche che rendono ragione della sua specificità, l'ebraismo deve porsi dinanzi al mondo manifestando ultimamente ciò che intende essere ed operare. Si potrebbe obiettare che ciò è vero anche per il cristianesimo - ed è senz'altro vero - sennonché il fenomeno cristiano non è legato ad alcuna patria e ad alcuna etnia ed è ciò che lo rende appunto "cattolico", ossia universale, ciò che l'ebraismo non è, né potrà mai essere. Questa è la densità della problematica insita nella quaestio iudaica. Se l'ebraismo non saprà dare una risposta a questa "grande domanda" sarà sempre esposto al rischio dell'incomprensione e la sua storia resterà sempre "sospesa" a questo grande interrogativo dagli esiti incerti. Il ruolo del cristianesimo in questa vicenda è sicuramente quello dell'attesa; non certo di un'attesa fatta di passività, ma di pre-comprensione, di considerazione per quel Mistero di salvezza che è all'opera in tutti i popoli e che può rendere pienamente e concretamente ragione della storia del popolo ebraico. Non si tratta di un'utopia, infatti, ma dell'unico principio che offra una strada percorribile, soprattutto se si riflette sul fatto che il problema ebraico non è mai stato risolto né dal diritto, né dalla politica e oggi, anzi, è piú aperto che mai. La Chiesa ha dunque il dovere dell'annuncio e della profezia; la sua missione primaria, oggi piú che mai, è quella di annunciare il Vangelo anzitutto all'ebraismo. Sarebbe davvero ben poca cosa limitarsi a compiangerne la Shoah ponendosi acriticamente nei confronti della sua storia passata e odierna. Nessuno piú della Chiesa può ricordare ad Israele che egli non può bastare a se stesso, né può rendere ragione da sé della propria storia ma può e deve camminare insieme con e per gli altri popoli: «Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore» (Is 2,5). «Ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,8).

  5. #25
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    Ed ecco, infine, l'articolo di Messori. Con il che auguro buona lettura, e un ridimensionamento dei pregiudizi anti-ecclesiastici espressi con così tanta disinvoltura.




    ----------------------------


    CATTOLICI: PERCHÉ QUELLA PAURA DEGLI EBREI?


    di Vittorio Messori











    Riprendo il discorso iniziato il mese scorso: davanti al nazismo ci fu, da parte della Chiesa cattolica, almeno a livello ufficiale, condanna severa dell'antisemitismo (parola per indicare un'ideologia anticristiana, non a caso sconosciuta al vocabolario sino al XIX secolo), ci fu un deciso rifiuto del razzismo in senso biologico, ci fu l'orrore per ogni violenza e ingiustizia.

    Se, dunque, la condanna per Hitler fu senz'appello, ci fu invece comprensione clericale per Mussolini e le sue leggi che, piú che come razziali, furono presentate dai fascisti come discriminatorie, come misura di "legittima difesa". Il motto "non perseguitare ma separare" fu a tal punto sostenuto, per decenni, dall'ufficiosa Civiltà Cattolica che, quando nel 1938 quelle leggi furono promulgate, sui giornali del Regime fu tutto un fiorire di lodi per "la preveggenza e la fermezza" dei gesuiti e, con loro, della Gerarchia. È un fatto oggettivo che la comunità cattolica si mobilitò - checché ne dicano i coriacei diffamatori - per salvare la vita agli ebrei quando furono minacciati di deportazione e, dunque, di morte, da parte dei tedeschi. Ma non protestò fino a quando ebbero vigore le leggi italiane di discriminazione che - escluso, non lo si ripeterà mai abbastanza, ogni sospetto di razzismo e di violenza - almeno in parte rispondevano alle sue attese.

    Rimando, comunque, per completezza, all'articolo del mese precedente. Qui, come da promessa, cercheremo di capire le ragioni della prospettiva assunta da quei nostri predecessori nella fede: prima di scandalizzarsi, occorre esaminare in che modo giudicassero e decidessero, secondo esperienza e prudenza. Come dicevo, mi baserò in particolare (come sintesi significativa) sui tre articoli sulla "questione giudaica" pubblicati nel 1890 dal padre Raffaele Ballerini e sulle raccolte della Civiltà Cattolica dopo i provvedimenti fascisti del 1938, quando il giornale ammise qualche "acerbità di linguaggio" del confratello del XIX secolo, ma confermò la sostanza del suo argomentare.

    Innanzitutto, il padre Ballerini constata che «il giudaismo da secoli ha voltato le spalle alle legge mosaica, surrogandovi il Talmud, quinta essenza di quel fariseismo che in tante guise venne fulminato dalla riprovazione di Gesú il Cristo». In effetti questa è una questione reale: anche oggi, sarebbe bene far chiarezza, a vantaggio di quel dialogo ecumenico dove spesso i cattolici si confrontano con un interlocutore che è diverso da quello che immaginano. Nella catastrofe del 70, con la distruzione del Tempio e la diaspora dei sopravvissuti, scomparvero praticamente tutti i gruppi e le sette del giudaismo. Il quale, da allora, fu contrassegnato quasi solo dal fariseismo. Furono i rabbini di quella corrente a creare i due smisurati, complessi, labirintici commenti, discussioni, raccolte di episodi e di aneddoti che formano i due Talmud, quello di Gerusalemme e quello di Babilonia.

    Comunque, quando il padre Ballerini scriveva (e, in parte, ancora oggi) il mondo israelitico era composto per una parte da ebrei ormai secolarizzati quanto a credenze religiose, anche se spesso legati alle loro radici da una fedeltà alle antiche tradizioni, vissute in modo "laico". Molti tra costoro facevano parte della massoneria o, se non partecipi delle Logge, ne condividevano la prospettiva di filantropia laica e, soprattutto nei Paesi latini, di militante anticattolicesimo. Quanto alla parte dell'ebraismo che aveva conservato una prospettiva religiosa: per molti, se non per la maggioranza, la Torah, la Legge e i Profeti, erano in secondo piano rispetto al Talmud. Per cui il loro, piuttosto che ebraismo biblico, era piuttosto rabbinismo talmudico. Non si dimentichi che alcuni Maestri erano giunti a dire che la Scrittura era "acqua" mentre il Talmud era "vino". E, dunque, era superiore.

    Ma era proprio questa situazione che preoccupava i cattolici. In effetti, il Talmud ha, per un non ebreo, aspetti inquietanti, affermando la superiorità di Israele su ogni altro popolo e annunciando - per un futuro indefinito ma certo - il trionfo mondiale dei figli circoncisi di Abramo, cui tutti gli altri finiranno per versare tributo e prestare omaggio. In quelle due enormi raccolte (che, a quanto ci risulta, non sono mai state tradotte, almeno interamente, in una lingua occidentale: e anche questo ha alimentato molti sospetti, come se ci fossero lí cose da nascondere ai "gentili") ci sono anche espressioni molto dure contro Gesú, l'impostore, il falso messia, e contro i suoi seguaci, i "galilei". Non solo il padre Ballerini ma moltissimi altri cristiani (e non solo cattolici: non va dimenticato che la diffidenza per il giudaismo e il desiderio di "difendersene" univa cattolici, protestanti, ortodossi) riportano una serie impressionante di citazioni talmudiche, secondo le quali comportamenti immorali non solo sono permessi ma sono meritori se danneggiano i popoli, soprattutto cristiani, tra i quali gli ebrei sono ospiti. È vero, ad esempio, che mentre l'usura è vietata tra israeliti, non solo è permessa ma è raccomandata se è praticata a spese dei "gentili". Ed è vero anche che la prospettiva talmudica molto insiste sulla pretesa ebraica di costituire una razza superiore, eletta, destinata a sottomettere le altre, a utilizzarle, se necessario a umiliarle.

    Da qui, la paura, se non l'angoscia, cristiana di essere minacciati da una "quinta colonna" di nemici che, seppure in minoranza, agivano con lucidità implacabile e con arti spesso ingannevoli se non truffaldine per diventare padroni. Da qui, per dirla con la Civiltà Cattolica, la necessità di distinguere tra "tolleranza" (esplicitamente raccomandata anche dai cattolici e, in sostanza da loro praticata - seppur tra alti e bassi - nei secoli) e "stato civile", cioè concessione della cittadinanza piena che, a partire dalla Rivoluzione Francese e poi con il liberalismo ottocentesco, aveva fatto degli ebrei cittadini alla pari di ogni altro. Ma in realtà, si osservava, non è cosí, non può essere cosí perché proprio gli ebrei non vogliono essere alla pari degli altri. «Non sono una setta ma un popolo, disperso ma non disciolto. Sono una nazione senza terra e senza organizzazione politica propria che, tra le altre nazioni, non cerca una patria ma un rifugio, sfruttando e cercando di spogliare (in attesa di opprimere) i popoli che le concedono ospitale soggiorno. E questo sfruttamento, questa ricerca di potere economico, culturale, politico a spese dei non circoncisi sono tanto piú pericolosi in quanto sono considerati un cardine della loro morale, sono raccomandati dal talmudismo che seguono».





    ***



    Questa era la diagnosi dei non ebrei. Ad appoggio e conferma di simili timori, tutta una serie di pubblicazioni, di giornali, di leghe, di interventi parlamentari - in Europa come nelle Americhe - portava dati e cifre che colpivano l'opinione pubblica e la rendevano inquieta. Era un fatto, ad esempio che nell'Impero Austro-Ungarico, dov'erano particolarmente numerosi (un milione e mezzo, sui 40 milioni di abitanti della Duplice Monarchia) i senatori ebrei, eletti per censo, rappresentavano oltre un terzo dell'assemblea, in grado di dominarla grazie alla loro compattezza "di stirpe". Una percentuale sorprendente; ma ancor piú lo era quella della Francia dove, verso le fine dell'Ottocento, gli ebrei erano ancora pochi, circa 80.000, ed erano quasi tutti di immigrazione recente, provenendo dalla Germania, dalla Russia, dalla Polonia. I re di Francia, in effetti, piú volte li avevano banditi, a differenza del papa che, ad Avignone, non li aveva mai cacciati. Ma l'immigrazione cresceva di giorno in giorno e avrebbe portato presto gli israeliti a raggiungere, in Francia, il mezzo milione.

    Comunque, quando ancora erano 80.000, tra senatori e deputati superavano i 20. Da qui il commento della Civiltà Cattolica: «Se i cristiani vi fossero rappresentati con simile percentuale, il Parlamento francese dovrebbe contare non meno di 40.000 membri. L'Italia, che conta 30 milioni di abitanti, invece di mezzo ebreo a rappresentare, in proporzione, i nostri 50.000 giudei ne conta al Parlamento oltre una dozzina e una regione come il Veneto è rappresentata da deputati e senatori tutti israeliti, tranne uno». Era in corso poi la scalata per il controllo e l'indirizzo dell'alta cultura, attraverso le cattedre universitarie. Un dato sorprendente è che nell'Italia del 1885, sullo scarno complesso della popolazione universitaria, ben un quarto degli iscritti agli atenei era costituito da figli di ebrei.

    Ma al di là della scalata politica, in grado di condizionare l'attività dei governi, preoccupava ed indignava la ricchezza, ogni giorno crescente. Si portavano, anche qui, molte cifre: metà dei banchieri di Parigi, piazza finanziaria allora decisiva per l'economia europea, era ebraica e ancor piú avveniva a Londra, ad Amsterdam, a New York. Anche la proprietà immobiliare vedeva una preminenza che in alcuni Paesi diveniva schiacciante: un quarto del territorio ungherese e addirittura l'ottanta per cento di quello della Galizia apparteneva ad israeliti. Cifre di questo tipo erano quasi infinite ed erano motivo non solo di paura ma anche si sdegno in quanto sia l'elite che il popolo erano convinti che tanta ricchezza, ogni giorno crescente, non fosse dovuta ad una capacità "pulita" ma all'abilità di chi era maestro in truffe, in raggiri e, soprattutto, in usura che strangolava i cristiani. I quali non dimenticavano che, appena la Rivoluzione aveva permesso loro di muoversi con libertà, gli ebrei avevano messo insieme di colpo grandi ricchezze comprando a prezzo spesso vile i beni sequestrati alla Chiesa. A proposito dei quali il padre Ballerini faceva un confronto. Ricordava, cioè, che quando, a partire dal 1789, quei beni furono "nazionalizzati" senza alcun indennizzo e venduti, il loro valore fu stimato in quattro miliardi di franchi.

    Poiché i preti e i religiosi erano allora, in Francia, 130.000, a ciascuno di quegli ecclesiastici toccava un capitale di 30.000 franchi, cioè una rendita annuale di 1500 franchi. Rendita modesta, soprattutto se si teneva conto che su quei beni non vivevano soltanto i religiosi ma anche una gran folla di laici e che la Chiesa con essi faceva grandi elemosine, manteneva una serie imponente di opere sociali, dalle scuole agli ospedali, aveva costruito, costruiva e curava la maggior parte del patrimonio artistico della Nazione. Eppure, quella ricchezza fu giudicata inaccettabile, scandalosa e fu venduta ai migliori offerenti: tra i quali, appunto, molti israeliti. Ebbene, cent'anni dopo la Grande Révolution - seguiamo sempre la Civiltà Cattolica - lo Stato stesso, repubblicano e filosemita, calcolava che la sola famiglia dei banchieri Rotschild possedesse 4 miliardi, cioè l'equivalente di tutta la ricchezza della Chiesa dell'Ancien Régime e che agli 80.000 ebrei, in maggioranza di origine straniera, facessero capo ben 90 miliardi, non certo frutto di libere elemosine bensí accumulati (l'opinione pubblica ne era sicura) con mezzi disonesti, come sembravano dimostrare anche gli scandali finanziari, tra cui quello del canale di Panama - in Italia, quello della Banca Romana e della speculazione edilizia a Roma - che avevano rovinato i risparmiatori.





    ***





    Va detto che i non pochi ebrei passati al cristianesimo e che spesso, nel cattolicesimo, erano divenuti sacerdoti assai attivi e stimati (i fratelli Ratisbonne e i fratelli Lémann in Francia, Edgardo Mortara in Italia, e tanti altri) confermavano ciò di cui i battezzati erano convinti. Confermavano, cioè, che - approfittando della eguaglianza concessa dal liberalismo e poggiando sulla solidarietà che li univa in tutto il mondo - i loro ex-correligionari erano protesi alla conquista del mondo ed erano animati da un desiderio di rivalsa contro il cristianesimo. Confermavano, poi, che c'erano stretti legami tra massoneria e comunità israelitiche: queste, anzi, non fornivano solo la "truppa" ma, soprattutto, le menti direttive, spesso celate e in ogni caso potentissime, del movimento di quei Liberi Muratori che erano allora impegnati in una lotta mortale contro la Chiesa cattolica. Ernesto Nathan (ebreo inglese e, secondo la voce comune, figlio naturale di Mazzini) era in Italia il Gran Maestro della Massoneria e quando, all'inizio del ventesimo secolo, fu per sei anni sindaco di Roma fece davvero una politica provocatoria nei confronti dei cattolici, confermandoli nel legame strettissimo tra Loggia e Sinagoga. Impressionava, poi, la presenza ebraica in un altro nemico implacabile della fede, il socialismo. Ed è noto come la presenza ebraica sarà rilevante anche nella Nomenklatura che portò Lenin al potere nel 1917.

    Insomma, è in questo clima che i cattolici rifiutavano per gli israeliti (lo abbiamo visto il mese scorso), la confisca dei beni o l'espulsione ma chiedevano - parole testuali di padre Ballerini - di «accordare il soggiorno degli ebrei col diritto dei cristiani, regolandolo con leggi tali che al tempo stesso impediscano agli ebrei di offendere il bene dei cristiani ed ai cristiani di offendere quello degli ebrei». E ricordavano che «le leggi di separazione di un tempo erano non meno a difesa dei giudei che a tutela dei cristiani, impedendo ogni mutua offesa o violazione di diritto da una parte e dall'altra».

    Non, dunque, cittadini a pieno titolo bensí ospiti verso i quali esercitare con scrupolo la carità e la giustizia cristiane (su questo la Civiltà Cattolica insiste a ogni passo) ma al contempo il realismo, dunque la prudenza, di chi è consapevole che quegli ospiti vorrebbero, e potrebbero, trasformarsi in padroni. Se questo non fosse avvenuto, abbiamo visto quali terribili conseguenze erano preannunciate per il XX secolo: e va detto che, purtroppo, quei vecchi cattolici furono buoni profeti perché il «terribile abisso» preconizzato si spalancò davvero e andò al di là perfino dei loro timori.









    Cfr. MESSORI V., Cattolici: perché quella paura degli ebrei? in "Il Timone", febbraio 2004.

  6. #26
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    Ormiaruga (potevi sceglierti un nick meno complicato ) la mia sensazione è che ve la cantiate e suoniate come vi pare. I fatti però restano contro ogni tentativo di dissimularli. Restano gli articoli della Civiltà Cattolica dove ci si esprime apertamente a favore delle leggi razziali ed è di questo che la chiesa dovrebbe darci conto.
    Negare l'evidenza significa contribuire ulteriormente a screditarsi agli occhi di chi, come il sottoscritto, ha smesso di appartenere al gregge cattolico ed anche, per dirla con qualcun'altro, ad apparire ciechi e lobotomizzati.

  7. #27
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    Chi cerca scuse per allontanarsi dalla fede, e dare addosso all'istituzione guida, le troverà sempre.
    Una volta che cessi quell'insano impulso, si comincieranno a comprendere le cose in maniera oggettiva e non faziosa.

  8. #28
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    Citazione Originariamente Scritto da oggettivista Visualizza Messaggio
    Ormiaruga (potevi sceglierti un nick meno complicato ) la mia sensazione è che ve la cantiate e suoniate come vi pare. I fatti però restano contro ogni tentativo di dissimularli. Restano gli articoli della Civiltà Cattolica dove ci si esprime apertamente a favore delle leggi razziali ed è di questo che la chiesa dovrebbe darci conto.
    Negare l'evidenza significa contribuire ulteriormente a screditarsi agli occhi di chi, come il sottoscritto, ha smesso di appartenere al gregge cattolico ed anche, per dirla con qualcun'altro, ad apparire ciechi e lobotomizzati.
    Hai mai visto questo documento? Sta su Wikipedia:

    COMUNICATO EMESSO DALLA SEGRETERIA POLITICA DEL PARTITO NAZIONALE FASCISTA DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL MANIFESTO DEI DIECI SCIENZIATI ITALIANI, DAL TITOLO "IL FASCISMO E IL PROBLEMA DELLA RAZZA"

    25 Luglio 1938


    Il ministro e Segretario del Partito, Achille Starace, ha ricevuto un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle Università italiane, che sotto l'egida del Ministero della Cultura Popolare, hanno redatto o aderito alle proposizioni che fissano la base del razzismo fascista.

    Erano presenti i fascisti:

    * dott. Lino Businco, assistente di Patologia Generale all'Università di Roma,
    * prof. Lidio Cipriani, incaricato di Antropologia all'Università di Firenze e direttore del Museo Nazionale di Antropologia ed Etnologia di Firenze,
    * prof. Arturo Donaggio, direttore della Clinica Neuropsichiatrica dell'Università di Bologna, presidente della Società Italiana di Psichiatria,
    * dott. Leone Franzi, assistente nella Clinica Pediatrica dell'Università di Milano,
    * prof. Guido Landra, assistente di Antropologia all'Università di Roma,
    * sen. Nicola Pende, direttore dell'Istituto di Patologia Speciale Medica dell'Università di Roma,
    * dott. Marcello Ricci, assistente di Zoologia all'Università di Roma,
    * prof. Franco Savorgnan, ordinario di Demografia nell'Università di Roma e presidente dell'Istituto Centrale di Statistica,
    * on. prof. Sabato Visco, direttore dell'Istituto di Fisiologia Generale dell'Università di Roma e direttore dell'Istituto Nazionale di Biologia presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche,
    * prof. Edoardo Zavattari, direttore dell'Istituto di Zoologia dell'Università di Roma.

    Alla riunione ha partecipato il ministro della Cultura Popolare, Dino Alfieri.

    Il Segretario del Partito, Achille Starace, mentre ha elogiato la precisione e la concisione delle tesi ha ricordato che il Fascismo attua da sedici anni una politica razzista che consiste nel realizzare, attraverso l'azione delle istituzioni del Regime, un continuo miglioramento quantitativo e qualitativo della razza. Il Segretario del Partito ha soggiunto che il Duce parecchie volte, nei suoi scritti e discorsi, ha accennato alla razza italiana quale appartenente al gruppo cosiddetto degli indo-europei.

    Anche in questo campo il Regime ha seguito il suo indirizzo fondamentale: prima l'azione, poi la formulazione dottrinaria, la quale non deve essere considerata accademica cioè fine a se stessa, ma come determinante un'ulteriore precisazione politica. Con la creazione dell'Impero la razza italiana è venuta in contatto con altre razze, deve quindi guardarsi da ogni ibridismo e contaminazione. Leggi «razziste» in tale senso sono già state elaborate e applicate con fascistica energia nei territori dell'Impero.

    Quanto agli ebrei, essi si considerano da millenni, dovunque e anche in Italia, come una «razza» diversa e superiore alle altre, ed è notorio che nonostante la politica tollerante del Regime gli ebrei hanno, in ogni Nazione, costituito - coi loro uomini e coi loro mezzi - lo stato maggiore dell'antifascismo.

    Il Segretario del Partito Starace ha infine annunciato che l'attività principale degli Istituti di cultura fascista nel prossimo anno XVII sarà l'elaborazione e diffusione dei princìpi fascisti in tema di razza, princìpi che hanno già sollevato tanto interesse in Italia e nel mondo.

    Roma, 25 luglio 1938

    Ora mi aspetto che tu coerentemente vada anche nelle università e nei laboratori a chiedere conto di questa....uhm.....come vogliamo chiamarla? "silenzio" direi che non va bene....."tiepida reazione" nemmeno.....diciamo "complicità in cambio di soldi e incarichi"?.... al razzista regime fascista. E che tu concluda che perciò la scienza è screditata, ha mostrato il suo volto di serva del potere e ha tradito il suo compito. O no?

  9. #29
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    Citazione Originariamente Scritto da Ormriauga Visualizza Messaggio
    Chi cerca scuse per allontanarsi dalla fede, e dare addosso all'istituzione guida, le troverà sempre.
    Una volta che cessi quell'insano impulso, si comincieranno a comprendere le cose in maniera oggettiva e non faziosa.


    Citazione Originariamente Scritto da marbelt Visualizza Messaggio
    gli articoli di Messori non cancellano quelli di civilta' cattolica sulle leggi razziali, non ne sminuiscono la portata e la gravita'.

  10. #30
    anarchico
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    Predefinito Perdonate l'ot

    Citazione Originariamente Scritto da Ormriauga Visualizza Messaggio
    Chi cerca scuse per allontanarsi dalla fede, e dare addosso all'istituzione guida, le troverà sempre.
    Una volta che cessi quell'insano impulso, si comincieranno a comprendere le cose in maniera oggettiva e non faziosa.
    Mi preme ribadire che la mia presa di distanza dalla chiesa cattolica è avvenuta soprattutto per motivi dottrinali. Uno di questi, al quale prima non mi sono richiamato, è quello relativo al culto "idolatra" mariano e dei santi. Condivido la visione cristiano-ortodossa che vede nei cattolici i nuovi colliridiani e nei protestanti i nuovi antidicomarianiti.
    Condivido la critica rivolta dall'Islam e dal cristianesimo protestante al culto, da loro definito idolatra, dei santi che accomunano il cattolicesimo all'induismo e non solo rendendo il cattolicesimo un falso monoteismo (è interessante il concetto islamico del tawheed o unicità di Dio).
    Quindi...altro che scuse per allontanarsi dalla vera fede ed insani impulsi responsabili di faziosità (le interpreto come accuse che mi hai rivolto in quanto a corto di argomenti ed incapace, per mancanza di coraggio o altro, di prendere posizione contro gli articoli razzisti de "La Civiltà Cattolica").

 

 
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