Roma. Fa bene, anzi benissimo, l’Italia a puntare i piedi sul pacchetto clima. Perché «quegli obiettivi sono irrealistici». E penalizzanti per noi. Il professore Alberto Clò, esperto di energia, è totalmente dalla parte del governo italiano nella partita che si sta giocando in Europa sull’ambiente. Lei ha fatto parte del team di esperti che ha calcolato i costi del pacchetto clima per il nostro Paese. Quelli che il commissario Ue all’Ambiente, Stavros Dimas, contesta. Non è che avete esagerato? «Il commissario non sa quel che dice, evidentemente non ha letto i suoi stessi documenti. Noi abbiamo individuato per l’Italia intorno ai 20 miliardi di euro l’anno il costo approssimativo del pacchetto clima, loro li hanno calcolati in 181 miliardi complessivi, ovvero 18 l’anno. Non mi pare che siamo molto lontani, per cui non capisco lo stupore». E sono davvero costi insostenibili? «Ma qualcuno si è mai chiesto quei 18 miliardi l’anno chi li paga? Finiranno nella bolletta elettrica, oppure nell’aumento dei prezzi dei prodotti. E le aziende che non potranno scaricarli e dovranno investire salvo multe salate, chiuderanno. Questo è il quadro. La gara a chi è più ambientalista in un momento come questo, con la crisi economica in atto, è senza senso; è come salire su un’auto e lanciarla a folle velocità contro un muro: è ovvio che ci si fa molto male. Non dimentichiamo che la formula ”3 per 20” fu individuata nel marzo del 2007. I prezzi del petrolio erano a 50-60 dollari al barile, l’economia cresceva anche se non moltissimo, non si aveva ancora una percezione del disastro finanziario a cui stavamo andando incontro. E già allora, la riduzione del 20% di Co2 entro il 2020, apparve un obiettivo di straordinaria ambizione». È una questione solo di tempi? «Non bisogna fare del 2020 una data quasi sacrale. Ma non è solo questo. Anche se l’Europa riuscisse a raggiungere con sforzi enormi gli obiettivi, a livello mondiale la riduzione delle emissioni sarà vicino allo zero, visto che gli Usa sono fuori dal trattato e così i paesi emergenti, Cina e India. I quali ogni anno aumentano le loro emissioni di Co2 di otto-nove volte la nostra riduzione. È dissennata una politica del genere». Ma mica si può rinunciare? Ne va del futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. «Guardi io sono un ambientalista convinto. Tant’è che dico: occorre fare un accordo globale. Aspettiamo di vedere come vanno le elezioni americane, non è la stessa cosa se vince Obama o MacCain. Nel 2009 l’Italia avrà la presidenza del G8, si può tentare di coinvolgere altri soggetti nella lotta a favore dell’ambiente. Io propongo una moratoria di sei mesi, tanto da qui a dicembre non cambia nulla». La crisi finanziaria ha colpito tutti, perché solo l’Italia, a parte i paesi dell’Est, sente l’esigenza di modificare gli accordi?
«Gli altri non hanno avuto lo tzunami Pecoraro Scanio. L’allora ministro dell’Ambiente ha preso impegni per l’Italia intera senza fare i calcoli costi-benefici. Per un furore ideologico noi dovevamo fare la parte della lepre: correre più degli altri. I quali ora pagano molto meno. A fronte dei nostri costi pari a 181 miliardi di euro, la Germania, che inquina più di noi, ne sosterrà 121, e la Francia 130, la Gran Bretagna 110.
Eppure già adesso l’Italia ha un’efficienza energetica superiore del 20% alla media europea. Ci sono delle contraddizioni che vanno affrontate con una redistribuzione più equa. Il punto sa qual è? Che dietro questo fanatismo ambientalista c’è una vocazione anti-industriale».