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Discussione: Antiproibizionisti

  1. #1
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    Predefinito Antiproibizionisti

    Milano: Droga, Federico, i Sert continuino a svolgere il loro compito aiutando chi non sceglie la comunità

    http://www.radicali.it/view.php?id=131050
    Il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, vorrebbe chiudere i servizi tossicodipendenze (Sert) “perché oggi sono più un focolaio di spaccio che un luogo di cura”. Gli risponde Valerio Federico

    Milano, 22 ottobre 2008
    • Dichiarazione di Valerio Federico, segretario di Radicali Milano




    I Sert continuino a fare il loro mestiere aiutando chi non sceglie la comunità, non diventino un volano per l'economia di San Patrignano. I percorsi di recupero sono molti e diversi, Maroni non faccia lo sponsor degli amici come già fa la Moratti

  2. #2
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    Milano: droghe, Manfredi e Pisano, da Maroni e De Corato proposte irresponsabili. Il comune vuole dare il monopolio delle politiche sulle tossicodipendenze a San Patrignano?
    I partiti di sinistra riprendano l’iniziativa, a partire dalla petizione per il ripristino degli scambiasiringhe.

    Milano, 22 ottobre 2008
    • Dichiarazione di Giulio Manfredi della Giunta di Segreteria Radicali Italiani e di Nathalie Pisano del Comitato Nazionale Radicali Italiani

    Apprendiamo dalla stampa che il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, vorrebbe chiudere i servizi tossicodipendenze (Sert) “perché oggi sono più un focolaio di spaccio che un luogo di cura”. Già solo per una dichiarazione del genere, De Corato dovrebbe dimettersi. Chiudere i Sert milanesi significa ributtare migliaia di cittadini tossicodipendenti nella braccia degli spacciatori, senza metadone, senza sostegno psicologico, senza possibilità di recupero. A meno che il proposito del duo Moratti/De Corato sia di dare in monopolio le politiche sulle tossicodipendenze a San Patrignano …

    Nella stessa occasione, il ministro degli Interni Roberto Maroni ha proposto di togliere la patente (e di non darla più a chi è minorenne) ai condannati per reati legati agli stupefacenti. Ciò significherebbe rendere ancora più difficoltoso al cittadino tossicodipendente - che ha compiuto in passato reati per procurarsi la dose - sganciarsi dal giro criminale, trovarsi un lavoro altrove, rifarsi una vita. Maroni lo vuole chiuso in casa, alla mercè dello spacciatore di quartiere. Complimenti, signor ministro!

    Il centrodestra può permettersi di dire impunemente simili castronerie perché l’opposizione di sinistra a Milano è silenziosa, gioca sempre di rimessa, pare abbia paura di prendere l’iniziativa. Eppure le cose da fare ci sono; per esempio, c’è la nostra petizione per il ripristino degli scambiasiringhe. I partiti di sinistra sono disponibili a partecipare alla raccolta firme o si limiteranno, il 1° dicembre, a piangere lacrime di coccodrillo sulla diffusione dell’AIDS?.

  3. #3
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    Torino: narcosale, per la prima volta in Italia, radicali e comitati spontanei uniti: “Chiamparino, istituisci le narcosale”
    Sintesi conferenza stampa.

    Torino, 22 ottobre 2008

    Oggi, nella sede radicale di Torino, l’Associazione Radicale Adelaide Aglietta e il Coordinamento dei Comitati Spontanei Torinesi hanno illustrato i contenuti di una petizione, depositata ieri in Municipio, rivolta al Sindaco Sergio Chiamparino e contenente le seguenti richieste: istituire immediatamente un tavolo di lavoro attorno al quale, oltre al Prefetto ed ai responsabili delle forze dell'ordine, siedano anche i responsabili dei servizi socio-sanitari operanti sul territorio ed i responsabili del C.C.S.T. (Coordinamento Comitati Spontanei Torinesi), e di altri Comitati e/o di associazioni in rappresentanza dei cittadini, per definire ed attuare una strategia di intervento capace di governare efficacemente il fenomeno “tossicodipendenze” a Torino; affidare a tale tavolo la definizione di un programma operativo per la sperimentazione a Torino di sale del consumo; riattivare l'Agenzia comunale per le tossicodipendenze.

    Giulio Manfredi (giunta di segreteria Radicali Italiani) e Domenico Massano (giunta di segreteria Associazione Radicale Adelaide Aglietta):
    “Nel campo delle tossicodipendenze, come in altri, ciascuna associazione opera senza tener conto del lavoro delle altre, anzi, spesso, guardandosi in cagnesco e boicottandosi a vicenda. Questa volta, radicali e comitati hanno deciso di saldare i rispettivi piani d’azione su alcune precise proposte; sul resto, ognuno mantiene le proprie diversità. Da cinque anni noi radicali ripetiamo, in questa città e altrove, che la difesa della salute dei cittadini tossicodipendenti deve andare di pari passo con la garanzia della sicurezza per gli altri cittadini. La narcosala è lo strumento che può garantire le due esigenze; lo dimostra l’esperienza accumulata in questi anni nelle 70 narcosale europee; nessuna di loro è stata chiusa. A chi ci dice (vedi Partito Democratico) “Bisogna approfondire!” rispondiamo che l’unica cosa che si approfondisce è il distacco fra il Palazzo e i cittadini, fra i garantiti e i non garantiti, siano quest’ultimi i cittadini tossicodipendenti siano gli abitanti dei quartieri che sperimentano ogni giorno i danni e i rischi del sistema proibizionista”.

    Carlo Verra (presidente Coordinamento Comitati Spontanei Torinesi) e Bernardo Moscariello (presidente Comitato Spontaneo Parco Stura, tristemente noto come “Tossic Park”):
    “Mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi non serve a nulla. I cittadini ci chiedono di fare qualcosa di nuovo perché sono stanchi di subire ogni giorno le conseguenze dello spaccio di droga. Abbiamo battuto a tante porte, tutte chiuse; ringraziamo i radicali perché ci hanno aperto e hanno condiviso una parte delle nostre proposte. Noi non siamo un partito politico, non abbiamo accesso alla stanza dei bottoni; possiamo solamente continuare a chiedere a chi amministra questa città di mettere in campo iniziative adeguate; la narcosala può essere una di queste, per togliere dalla strada i tossicodipendenti aumentando così la sicurezza dei cittadini e impedendo che al danno della droga si aggiunga anche il danno derivante dal consumo di droghe sotto i ponti o fra i rifiuti.”.

    Hanno poi preso la parola vari altri presidenti dei Comitati Spontanei Torinesi (San Salvario, Porta Palazzo, Principe Oddone).

    Il testo della petizione è stato inviato al Prefetto di Torino, all’Assessore Regionale alla Sanità, all’Assessore Comunale alle politiche sociali, agli Assessori e Consiglieri comunali.

    Segue il testo della petizione.

    Signor Sindaco,

    è ormai chiaro come l'assenza di una strategia efficace e condivisa del fenomeno “droghe” a Torino stia alimentando e rendendo sempre più evidenti sia le problematiche relative alle persone tossicodipendenti sia il disagio crescente della cittadinanza.
    L'idea che si potesse fronteggiare il fenomeno esclusivamente con l'intervento dell’esercito (che, a parere del CCST, per molti versi è stato tuttavia utile e improcrastinabile), sta dimostrando tutti i suoi limiti, riuscendo, per ora, solamente a disperdere su tutta la città un fenomeno prima localizzato prevalentemente in un solo luogo. Questo rende il fenomeno stesso meno controllabile, accrescendo i rischi e i danni sia per le persone tossicodipendenti sia per l’intero tessuto urbano, che deve confrontarsi con una situazione inaspettata e altamente problematica.
    Nel corso di un incontro con l'Assessore Borgione, svoltosi il 6 agosto 2008, insieme ad operatori dei servizi pubblici e privati avevamo prefigurato tale situazione, ribadendo la necessità di attivare un tavolo di concertazione degli interventi, per rispondere in modo articolato e efficace, nel rispetto dei bisogni e dei diritti di tutti, alla situazione che si era creata a Parco Stura, senza correre il rischio di spostare semplicemente il problema nel tempo e in altre zone della città, aggravando le già precarie condizioni di vita di molte persone tossicodipendenti ed il disagio della cittadinanza.
    L'assessore Borgione si era impegnato a sollecitare nell'immediato il coordinamento tra gli interventi delle forze dell'ordine e quelli dei servizi sanitari ed a istituire al più presto un tavolo di coordinamento, perché i responsabili dei diversi servizi di ordine pubblico, di riqualifica, sanitari, sociali ed i rappresentanti della cittadinanza potessero confrontarsi e definire strategie condivise ed efficaci di intervento. Ad oggi non ci pare sia stato fatto ancora nulla e la situazione continua a peggiorare.
    Occorre avviare al più presto questo tavolo di confronto e coordinamento, per definire, senza preclusioni ideologiche nei confronti di alcun servizio o interlocutore, una strategia di intervento articolata ed efficace, declinabile in interventi innovativi e praticabili, capaci di mediare tra i bisogni delle persone tossicodipendenti e le esigenze della cittadinanza residente in determinati contesti, per rendere Torino una città più sicura, libera e vivibile per tutti.
    In questa prospettiva riteniamo sia fondamentale istituire servizi innovativi, come le sale del consumo o narcosale (in IV commissione Sanità è ancora depositata la petizione popolare che ne chiede l'istuzione), “… un tipo di servizio che si è dimostrato efficace nei paesi in cui è attivo da oltre 20 anni. Si tratta non di “bengodi della droga”, come superficialmente viene lasciato intendere da alcuni, ma di paesi seri come la Germania, la Svizzera, l’Olanda, la Spagna, la Norvegia, il Lussemburgo, l’Australia ed il Canada. Tutti paesi che hanno una legislazione simile alla nostra. I più recenti studi australiani, canadesi e tedeschi segnalano che questi dispositivi non hanno determinato nessun aumento né del consumo né della criminalità correlata, ma, anzi, fenomeni di segno assolutamente contrario. Diminuiscono le infezioni gravi e le morti. In modo inequivocabile. E aumentano sicurezza e tranquillità per la cittadinanza tutta, tant’è che nessuno di questi servizi (oramai sono quasi un centinaio di cui oltre settanta solo in Europa) è stato chiuso. Fatto ancor più sorprendente – dimostrato in particolare a Vancouver - aumentano i tossicodipendenti che, frequentando questo servizio, decidono di intraprendere un vero percorso di cura...” (Dalla lettera inviatale un anno fa dal Dr. Paolo Jarre, coordinatore nazionale delle nove principali Società Scientifiche ed Associazioni professionali italiane, componente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio droghe al Ministero della Solidarietà sociale, 30 anni di esperienza e studio sulle tossicodipendenze).
    L’attivazione del servizio socio-sanitario della “sala del consumo” è attuabile con la legge vigente. L’art. 79 del DPR 309/90 non vieta l’attivazione di una “sala del consumo”, servizio socio-sanitario di riduzione del danno, parte integrante di quella che comunemente viene definita come la politica dei quattro pilastri per il contrasto alle dipendenze (lotta al narcotraffico, prevenzione, cura e riabilitazione, riduzione del danno). Ciò che è sanzionato è il favoreggiamento di consumo e spaccio in locali pubblici e circoli privati cui tutti i cittadini possono accedere; appare chiaro che questa definizione non può essere attribuita alla sede di un servizio sanitario, preposto alla tutela della salute, frequentato solo da consumatori già attivi di sostanze, che vengono presi in carico da personale socio-sanitario. Crediamo che almeno su questo aspetto ci voglia un'assunzione di responsabilità istituzionale, per non incrementare i già notevoli ed evidenti danni dell'attuale normativa che non è in grado (e forse non vuole) affrontare globalmente il fenomeno ed alla prova dei fatti sta dimostrando tutta l'inconsistenza del suo impianto ipocrita e demagogico (vedi, come ribadiscono gli esperti del CCST, l’aver definito dei limiti “tabellari” relativi alle sostanze stupefacenti senza previsioni di forme legali di distribuzione delle stesse, rischiando di favorire, così, lo spaccio illegale).
    Signor Sindaco noi, in conclusione, le chiediamo di:
    l istituire immediatamente un tavolo di lavoro attorno al quale, oltre al Prefetto ed ai responsabili delle forze dell'ordine, siedano anche i responsabili dei servizi socio-sanitari operanti sul territorio ed i responsabili del C.C.S.T. (Coordinamento Comitati Spontanei Torinesi), e di altri Comitati e/o di associazioni in rappresentanza dei cittadini, per definire ed attuare una strategia di intervento capace di governare efficacemente il fenomeno “tossicodipendenze” a Torino;
    l affidare a tale tavolo la definizione di un programma operativo per la sperimentazione a Torino di sale del consumo;
    l riattivare l'Agenzia comunale per le tossicodipendenze (quanti cittadini torinesi sono al corrente della sua esistenza e delle sue attività?), che deve diventare motore e volano delle politiche sulle tossicodipendenze in città.
    Saremmo lieti se Lei ci potesse incontrare per poter approfondire le questioni esposte.

    In attesa di una Sua risposta, Le rivolgiamo distinti saluti.



    Domenico Massano Carlo Verra

    Associazione Radicale Adelaide Aglietta Coordinamento Comitati Spontanei Torinesi
    www.associazioneaglietta.itwww.ccst.it



    http://www.associazioneaglietta.it/narcosala.htmlhttp://www.ccst.it

  4. #4
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    Lecco: 24 ottobre, "Una birra per la libertà", iniziativa nonviolenta di disobbedienza civile contro le delibere comunali proibizioniste


    Lecco, 23 ottobre 2008

    ASSOCIAZIONE LA PARTE LIBERALE e ASSOCIAZIONE RADICALI LECCO
    organizzano
    UNA BIRRA PER LA LIBERTA'
    VENERDI' 24 OTTOBRE - ORE 18.30
    PIAZZA DIAZ, LECCO

    Iniziativa nonviolenta di disobbedienza civile contro le delibere comunali proibizioniste che vietano di fare l'elemosina e bere birra all'esterno dei locali pubblici. Partecipa per berti insieme a noi una birretta in libertà. Le birre saranno distribuite all'inizio della manifestazione.


    aderisci e/o preannuncia la tua partecipazione scrivendo a info@radicalilecco.org


    Hanno già aderito e preannunciato la loro partecipazione:

    Giorgio Redaelli - esponente del Partito Democratico
    Silvia Galbiati - già Assessore al Comune di Lecco
    Antonio Pasquini - Consigliere comunale, Capogruppo di AN
    Marilisa Rotasperti - Consigliere di zona, PS
    Mauro Pirovano - Presidente dell'Associazione Renzo & Lucio
    Luca Maggioni - Presidente GayLib Lombardia
    Sergio Brambilla - Vice-Presidente dell'Associazione Renzo & Lucio
    Alessandro Litta Modignani - Direzione Nazionale di Radicali Italiani
    Paolo Trezzi - Centro Khorakhané Lecco
    Azione Giovani Lecco

    Il comunicato stampa

    Peccato che l'edificio che ospita il Comune di Lecco non sia un turrito castello medievale: gli editti promulgati dal Sindaco sarebbero sembrati meno fuori luogo.

    In effetti le folle di indecorosi debosciati che circolano per le strade di Lecco a torso nudo, i numerosi epigoni di Anita Ekberg che si bagnano fellinianamente nelle fontane, tutti quei mendicanti che rendono il centro così sciatto, e soprattutto i pericolosi bevitori di birra che si aggirano nottetempo dando alle "scene apocalittiche" così ben descritte dai cittadini modello intervistati da un'emittente locale, andavano in qualche modo arginati. E cosa meglio di un ricco decalogo di divieti?

    In completo dispregio del libero arbitrio e della libertà l'amministrazione sceglie di mostrare i velleitari muscoli e vieta, vieta, vieta!

    Del resto si sa che il proibizionismo ha sempre ottenuto ottimi risultati, dall'alcool alla droga. Quindi puniamo anche i clienti delle prostitute! Ci auguriamo che nessuno si illuda sinceramente di eliminare il fenomeno, perché allora abdichiamo alla civile possibilità di legalizzare una professione, permettendo di esercitarla in luoghi che non siano la strada e tassandone i guadagni?

    Perché nessuno si accorge del paradosso di una giunta sostenuta da partiti del Popolo delle Libertà che ci sembra più propensa ad affossare le libertà, piuttosto che ad affermarle? E dove sono (a questo punto verrebbe da chiedersi SE ci sono) i liberali di Forza Italia? Forse c'è un problema semantico, come detto da Philippe Daverio sul Corriere della Sera di martedì scorso. Problema per altro comune anche ad amministrazioni di centro-sinistra (Firenze che vieta di chiedere l'elemosina stando seduti sui marciapiedi, mendicare in piedi ha invece un'eleganza molto più in tono con le città d'arte).

    Per quanto ci riguarda vogliamo far vedere che i liberali ci sono e abbiamo deciso di rispondere alla politica proibizionista del Sindaco Faggi con una pubblica manifestazione che si terrà domani, venerdì 24 a partire dalle ore 18.30 in Piazza Diaz. Nel corso della stessa, che abbiamo chiamato "Una birra per la Libertà", berremo noi stessi e offriremo ai cittadini che la gradissero una.. birretta per la Libertà.

    Anticipiamo pubblicamente questa iniziativa per invitare alla partecipazione tutte le forze politiche cittadine e per allertare la Polizia Municipale, che potrà così comodamente organizzare il dispiego di forze necessario per emettere i provvedimenti amministrativi a nostro carico previsti dalla normativa.

    A posteriori esprimeremo le nostre considerazioni politiche sulla base delle adesioni che riceveremo e che NON riceveremo al nostro invito, che lo ripetiamo è rivolto a tutti. Nessuno si senta escluso.

    Luca Cesana - portavoce de "La parte liberale" Lecco
    Elena Scolari - direttivo de "La parte liberale" Lecco
    Luca Perego - segretario Associazione Radicali Lecco
    Vanda Panzeri - tesoriere Associazione Radicali Lecco

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    MILTON FRIEDMAN: «LEGALIZZALA
    Fonte: Forbes.com
    Uno dei padri fondatori della Rivoluzione Reaganiana mette la sua bella firma su un rapporto a favore della legalizzazione.

    Traduzione a cura di Marcella Casu

    San Francisco (CA), 2 giugno 2005
    - Milton Friedman guida una lista di più di 500 economisti statunitensi che oggi sosterranno pubblicamente il rapporto di un economista della Harvard University sui costi del proibizionismo sulla marijuana e le potenziali entrate del governo U.S.A. nel caso si decidesse per la legalizzazione e la tassazione della vendita. La fine dell'imposizione proibizionista farebbe risparmiare 7,7 miliardi di dollari tra spese federali e dei singoli stati, sostiene il rapporto, mentre la tassazione renderebbe sino a 6,2 miliardi all'anno.

    Il rapporto "The Budgetary Implications of Marijuana Prohibition," (reperibile sul sito ProhibitionCosts.org) è stato redatto da Jeffrey A. Miron, professore di Harvard profumatamente remunerato per questo dal Marijuana Policy Project (MPP), un gruppo di Washington, D.C. che sostiene la causa della revisione e della liberalizzazione delle leggi sulla marijuana.

    In alcuni punti il rapporto utilizza assunti opinabili. Ad esempio, Miron considera un'unica cifra in relazione a ogni tipo di arresto, mentre il 'potbust' è con ogni probabilità meno dispendioso dell'arresto di un assassino o di un sospetto rapitore. Friedman e altri economisti comunque sostengono che il lavoro sia complessivamente uno dei migliori mai realizzati sui costi della guerra alla marijuana.

    A 92 anni, Friedman è venerato come uno dei grandi difensori del capitalismo del libero mercato negli anni della rivalità U.S.A. con il comunismo. Promuove appassionatamente anche la necessità di legalizzare la marijuana oltre alle altre droghe,per ragioni sia economiche sia morali.

    "Il proibizionismo sulla marijuana non ha fondamento logico" afferma l'economista, "7,7 miliardi di dollari sono un sacco di soldi, ma questo è uno dei mali minori. Il nostro fallimento nell'applicazione di queste leggi è responsabile della morte di migliaia di persone in Colombia. Senza considerare il danno arrecato ai giovani: è assolutamente vergognoso pensare di portare dentro un ventiduenne perché si fa una canna. E il rifiuto dell'uso terapeutico della marijuana è ancora più vergognoso".

    Garantirsi la firma di Friedman, insieme a quella di economisti delle università di Cornell, Stanford e Yale, tra gli altri, è stata una mossa brillante per il MPP, il cui interesse consiste principalmente nell'ampliare e amplificare il dibattito sull'utilità delle leggi contro la marijuana.


    [...]Il rapporto verosimilmente non soddisferà tutti. Lo "White House Office of Drug Control Policy" ha di recente pubblicato un'analisi sull'incarcerazione per marijuana che afferma che "la maggior parte delle persone in carcere per marijuana sono violenti criminali, trasgressori recidivi, trafficanti o tutto quanto insieme". L'Ufficio ha evitato di commentare lo studio economico sulla marijuana prima di analizzarne la metodologia.

    L'appoggio di Friedman al problema è limitato - il nonagenario in questi giorni preferisce scrivere sulla necessità della scelta scolastica, definendo i livelli di alfabetizzazione U.S.A. "del tutto criminali... tenuti in piedi unicamente grazie al potere dei sindacati degli insegnanti". Eppure la sua opinione sulla legalizzazione delle droghe risale a ben prima di qualsiasi dibattito del MPP e non si limita al tipo di liberalizzazione sostenuta dai più.

    "Sono da tempo a favore della legalizzazione di tutte le droghe" dice, ma non per le classiche ragioni dei libertari sulla libertà personale. "Guardate le conseguenze pratiche: il danno fatto e la corruzione creata da queste leggi... i costi sono uno dei mali minori".

    Non che un uomo della sua età si aspetti che la ragione trionfi. Ogni guadagno aggiuntivo derivato dalla tassazione della marijuana legale sarebbe quasi certamente speso da questo come da qualsiasi altro Congresso.

    "I deficit sono l'unica cosa che impedisca a questo Congresso di spendere oltre" dice Friedman. "I repubblicani non sono diversi dai democratici. Spendere è il modo più semplice di comprare voti". Un giudizio sobrio, non c'è che dire.


    Quentin Hardy
    [DATA: 02/06/2005]

  6. #6
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    CAMERA DEI DEPUTATI---- XIV LEGISLATURA ----PROPOSTA DI LEGGEelaborata dalla Associazione per la Cannabis Terapeutica----


    Norme per agevolare l'utilizzo a fini terapeutici
    di farmaci contenenti derivati naturali e sintetici
    della pianta Cannabis Indica
    ----


    Onorevoli Deputati.

    I derivati della Cannabis sono stati utilizzati, sin dall’antichità, quale rimedio naturale per diverse malattie: li troviamo citati per la prima volta per il trattamento di “disordini femminili, gotta, reumatismo, malaria, stipsi e debolezza mentale”, nel Pen Ts’ao, un testo di medicina cinese che ci è giunto in una copia del I secolo dopo Cristo e che è tradizionalmente attribuito all’imperatore Shen Nung (III millennio a.C.).

    Citati in testi europei fin dal 1600 (Robert Burton, The Anatomy of Melancholy, 1621), i preparati a base di Cannabis furono ufficialmente adottati dalla medicina occidentale nel corso del XIX secolo (W.B. O’Shaughnessy, 1839) per le loro proprietà antiemetiche, analgesiche e anticonvulsivanti.
    Preparati a base di Cannabis si trovavano sugli scaffali della gran parte delle farmacie, in Europa come negli USA, sino alla seconda guerra mondiale e oltre. Tuttavia, a seguito della proibizione negli USA (1937), questa pianta, ricca di principi farmacologicamente attivi ed etichettata ormai come “droga”, cadde in pochi anni in disuso anche a fini medici; e – a seguito, tra l’altro, del tumultuoso sviluppo di nuovi farmaci di sintesi, che in un certo senso bloccò la ricerca scientifica sui farmaci tradizionali di origine vegetale – scomparve dalle farmacopee dei maggiori paesi occidentali.

    A partire dagli anni ottanta si è assistito a un ritorno di interesse scientifico per queste sostanze, legato soprattutto alla scoperta del cosiddetto sistema cannabinoide endogeno Sono stati dapprima (1990) scoperti, nel nostro organismo, recettori capaci di legarsi con il tetraidrocannabinolo (THC), il fondamentale principio attivo della Cannabis, e si è arrivati successivamente (1992) a isolare il primo "cannabinoide endogeno" capace di legarsi ai suddetti recettori, un derivato dell'acido arachidonico, a cui fu dato il nome di anandamide. Queste scoperte hanno dato vita a una notevole attività di ricerca scientifica, che ha portato a una rivalutazione del potenziale ruolo terapeutico dei cannabinoidi.
    Allo stato attuale, le ricerche scientifiche sugli effetti terapeutici dei derivati della Cannabis indica sono tutt’altro che concluse e i loro risultati sono tutt’altro che definitivi. È auspicabile, pertanto, che le ricerche continuino e che si sviluppino anche nel nostro paese: ma i risultati finora acquisiti sono già assai significativi.

    Uno dei maggiori campi di utilizzo è il trattamento della profonda nausea e del vomito incontrollabile conseguenti alla chemioterapia antitumorale: sono stati effettuati numerosi studi clinici controllati (in doppio cieco, contro placebo), che hanno documentato la maggiore efficacia del THC rispetto alle terapie tradizionali.
    Altro campo di utilizzo in cui vi è una provata efficacia, documentata da numerosi studi clinici controllati, è quello della stimolazione dell’appetito nei pazienti con sindrome da deperimento causata dall’AIDS.
    A seguito di tali evidenze scientifiche in parecchi paesi, tra i quali gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Germania, l’Olanda e Israele, si è arrivati all’inserimento nel prontuario farmaceutico di cannabinoidi sintetici (dronabinol e nabilone), liberamente prescrivibili per il trattamento delle suddette patologie.

    Vi sono, poi, numerose altre patologie per le quali convincenti evidenze preliminari hanno portato alla progettazione di studi clinici controllati, molti dei quali in corso.
    È il caso della sclerosi multipla, patologia nella quale i cannabinoidi sembrerebbero in grado di dominare gli spasmi muscolari. Risultati preliminari molto incoraggianti, pubblicati su prestigiose riviste scientifiche, hanno portato all’autorizzazione di studi clinici controllati, attualmente in corso in Gran Bretagna, in Germania e negli USA. Esistono anche segnalazioni di benefici effetti sugli spasmi muscolari secondari a lesioni traumatiche del midollo spinale.
    I cannabinoidi, in particolare il cannabidiolo, hanno evidenziato notevoli proprietà anti-infiammatorie, e sono in corso studi controllati sul loro utilizzo nell'artrite reumatoide, una grave malattia autoimmune che in molti casi diventa seriamente invalidante.

    Un altro campo molto promettente è quello della terapia del dolore, in cui la Cannabis o i suoi derivati potrebbero proporsi, in casi particolari, come alternativa agli analgesici oggi disponibili, compresi gli oppioidi. Le proprietà analgesiche, già note ai medici del XIX secolo, sono state recentemente analizzate dalla letteratura scientifica internazionale, portando alla realizzazione di studi clinici controllati anche in questo campo.

    Una grande attenzione è stata dedicata negli ultimi tempi alle proprietà neuroprotettive dei cannabinoidi. Come ha dimostrato un recente studio, cui hanno collaborato anche ricercatori italiani, essi agiscono come potenti agenti antiossidanti, in grado di neutralizzare le sostanze ossidanti nocive che si sviluppano, a livello cerebrale, in caso di trauma cranico o di ictus. Questi risultati, ottenuti in laboratorio, hanno avuto una prima conferma da uno studio clinico compiuto in Israele su pazienti con trauma cranico. Futuri campi d’impiego potrebbero essere le patologie neurodegenerative, tra cui il morbo di Alzheimer e il morbo di Parkinson, ma per queste applicazioni servono ulteriori verifiche cliniche.

    Nei malati di glaucoma, una patologia connotata, tra l’altro, da un aumento della pressione intraoculare che può condurre alla cecità, ci sono numerose evidenze aneddotiche che il delta–9–THC possa ridurre la pressione intraoculare. Tali evidenze hanno avuto il conforto di uno studio clinico in doppio cieco di piccole dimensioni.

    Le proprietà anticonvulsivanti dei derivati della Cannabis sono testimoniate da alcuni studi su animali nonché da esperienze aneddotiche di malati di epilessia, che testimoniano una riduzione delle crisi e del fabbisogno di farmaci. Mancano però, a tutt’oggi, studi clinici controllati di significative dimensioni.

    Il fatto che la Cannabis sia un efficace broncodilatatore è noto da tempo, ma il suo potenziale utilizzo terapeutico nei soggetti asmatici è stato sinora limitato dalla mancanza di una via di somministrazione adeguata. Lo sviluppo delle ricerche su derivati assumibili per aerosol potrebbe aprire la strada anche a questa utilizzazione.

    Interessanti informazioni sui potenziali effetti antipertensivi potrebbero venire da ricerche in corso presso la University of Nottingham Medical School (GB) sugli effetti degli endocannabinoidi sulla circolazione sanguigna. Partendo dalla constatazione che gli endocannabinoidi endogeni hanno mostrato di possedere effetti ipotensivi, i ricercatori britannici stanno valutando il possibile impiego terapeutico di tale acquisizione.

    La recente segnalazione, al Congresso della Società italiana per lo studio dell’arteriosclerosi, di un possibile effetto antiarteriosclerotico accentua ulteriormente l’interesse per un possibile impiego di queste sostanze in campo cardiovascolare.

    Un ulteriore potenziale campo di utilizzo potrebbe essere quello della terapia dei tumori. Alla recente dimostrazione dell’efficacia degli endocannabinoidi nell’inibire la proliferazione del tumore della mammella, opera di un gruppo di ricercatori italiani, si è aggiunta la segnalazione di alcuni ricercatori spagnoli, i quali hanno evidenziato come il delta-9-THC è in grado di produrre la morte delle cellule dei gliomi cerebrali, una varietà molto aggressiva di tumore cerebrale. In entrambi i casi si tratta, è il caso di sottolinearlo, di dati ottenuti “in vitro”, ma che aprono la strada a interessanti filoni di ricerca per possibili impieghi terapeutici nell’uomo.

    Infine, pur riconoscendosi la necessità di ulteriori ricerche tossicologiche, non è possibile trascurare il dato empirico della scarsissima tossicità acuta e cronica della Cannabis: non esistono, infatti, casi di morte documentati, anche a seguito di abuso; e gli studi finora effettuati su consumatori cronici non hanno evidenziato effetti tossici significativi a carico di alcun organo o apparato.

    L’insieme di queste evidenze ha portato autorevoli istituzioni scientifiche quali la British Medical Association, l’Institute of Medicine della National Academy of Science (USA) e il Committee on Science and Technology della Camera dei Lord britannica, a esprimersi favorevolmente rispetto all’uso terapeutico dei cannabinoidi, raccomandando una modifica in tal senso delle normative dei rispettivi paesi e promuovendo ulteriori ricerche in questo campo.

    PER IL TESTO COMPLETO:
    http://www.laleva.cc/cura/propostadilegge_cannabis.html

  7. #7
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    07-10-2008, ore 095:43

    Usa. La guerra alle droghe e' un fallimento per il 76% degli elettori

    Secondo una indagine condotta da Zogby, tre elettori su quattro ritengono che la guerra alla droga sia un fallimento. Opinione condivisa dall'86% dei democratici, l'81% degli Indipendenti ed il 61% dei Repubblicani.
    Alla domanda su quale sia il modo migliore per combattere i traffici internazionali, il 27% ha risposto proponendo la legalizzazione, di cui il 34% tra i sostenitori del candidato democratico alle presidenziali Barack Obama ed il 20% tra quelli del rivale repubblicano John McCain.
    Un elettore su quattro (25%) ritiene che impedire l'accesso nel Paese alle droghe sia il modo migliore per combatterle: il 39% dei sostenitori di McCain e solo il 12% tra quelli di Obama.
    Complessivamente, il 19% degli elettori ritiene che la domanda si riduca con la disintossicazione e l'educazione, e il 13% che sia importante prevenire la produzione nei paesi di origine.

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    Canapa solo ai malati? Non funziona

    Da Fuoriluogo - www.fuoriluogo.it

    In regime di proibizione il sistema di somministrazione medica sarebbe inefficiente e burocratizzato .

    Quali opzioni hanno a disposizione le migliaia e migliaia di pazienti americani per la cui salute la canapa è molto importante, quando non essenziale? Possono usare il Marinol (il tetraidrocannabinolo sintetico approvato dalla Food and Drug Administrationnel 1985), che molti tra loro trovano insoddisfacente; oppure possono usare la marijuana violando la legge. Perché il governo Usa li sta criminalizzando? Che problema ha con la marijuana medica? Il governo federale vede l’accettazione della marijuana medica come l’anticamera della catastrofe, come la fine del proibizionismo sulla canapa. Poiché giudica una iattura qualunque impiego della marijuana, è difficile immaginare come possa accettare una soluzione legale che ne consenta l’uso medico perseguendo con vigore, allo stesso tempo, una politica proibizionista per qualunque altro impiego. Eppure sono in molti a credere che una soluzione di questo tipo sia possibile e praticabile. Vediamo cosa comporterebbe creare e mantenere un simile assetto legale negli Usa. La prima condizione ritenuta necessaria in questo momento è l’approvazione da parte della Food and Drug Administration(Fda), ma si può obiettare che nel caso della canapa essa sarebbe superflua. Per essere approvati dalla Fda e poi immessi sul mercato, i farmaci devono essere sottoposti a test rigorosi e costosi, che richiedono molto tempo. Lo scopo è tutelare il consumatore accertando la loro sicurezza ed efficacia. Poiché nessuna medicina è completamente sicura, né sempre efficace, si presume che per essere approvata abbia soddisfatto un’analisi rischi-benefici. Il sistema è congegnato in modo da regolare la distribuzione commerciale dei prodotti farmaceutici e proteggere il pubblico da pretese false o fuorvianti sulla loro efficacia e sicurezza. La casa farmaceutica deve presentare alla Fda evidenze derivanti da studi controllati a doppio cieco, le quali dimostrino che la sostanza in esame è più efficace di un placebo. I casi già osservati, l’opinione degli esperti e l’esperienza clinica (dati aneddotici) non sono giudicati sufficienti. Da quando l’attuale sistema fu varato nel 1962 i criteri sono diventati più rigidi, e poche tra le medicine approvate all’inizio degli anni ’60 sarebbero nuovamente approvate oggi. Certamente abbiamo bisogno di maggiori ricerche cliniche e di laboratorio per migliorare la nostra conoscenza della canapa medica, sono però giunto a dubitare che le regole della Food and Drug Administrationdebbano applicarsi nel caso della canapa. La sicurezza di questa pianta non è in discussione. È una delle medicine più antiche dell’umanità, e le evidenze di effetti tossici significativi sono minime. Imporre alla canapa il protocollo moderno della Fda per stabilire una stima rischi-benefici non è necessario. Sarebbe come imporlo all’aspirina, che fu autorizzata oltre sessant’anni prima dell’avvento dello studio controllato a doppio cieco. Molti anni di esperienza ci hanno insegnato che l’aspirina si presta a molti usi e ha una tossicità limitata, eppure oggi essa non supererebbe il vaglio della Fda. Il brevetto è scaduto da molto tempo e, con esso, l’incentivo a sobbarcarsi il pesante costo finanziario di questo moderno sigillo di approvazione. Anche la canapa non è brevettabile, perciò le uniche fonti di finanziamento per un’eventuale approvazione sarebbero le organizzazioni non-profit o il governo, che, per usare un eufemismo, difficilmente sarebbe disposto a collaborare. Altre ragioni per dubitare che la marijuana possa essere ufficialmente approvata sono l’attuale clima di intolleranza nei confronti del fumo e, soprattutto, l’impiego diffuso di canapa per scopi disapprovati dal governo. Per individuare alcuni degli ostacoli insiti in questo approccio al problema, consideriamo che effetto avrebbe autorizzare la marijuana come medicina, proibendola per qualsiasi altro uso. In che modo sarebbero determinati gli usi “autorizzati”, e come sarebbero monitorati gli usi “non autorizzati”? Supponiamo che vengano effettuati degli studi ritenuti soddisfacenti dalla Fda; che questi affermino che la marijuana è sicura ed efficace per trattare la sindrome di deperimento da Aids e/o la neuropatia connessa all’Aids; e che in questi casi i medici abbiano la possibilità di prescriverla. La situazione presenterebbe problemi enormi. Generalmente, quando un farmaco è approvato per una indicazione medica, i medici sono liberi di fare prescrizioni “fuori etichetta”, ossia di prescriverla anche per altre patologie. Se la marijuana fosse approvata per uso medico, come giocherebbe la prescrizione fuori etichetta? Sicuramente i medici più aggiornati vorrebbero prescriverla ai loro pazienti sofferenti di sclerosi multipla, morbo di Crohn, emicrania, disturbi convulsivi, sintomi spastici, ed altri disturbi per i quali l’effetto positivo della canapa è testimoniato da una montagna di evidenze aneddotiche. Ma che dire della sindrome premestruale? Sicuramente le donne che soffrono di questo disturbo lo considerano un problema serio, e molte di loro trovano la canapa il trattamento più utile e meno tossico. Poi ci sono la perdita della capacità erettile nei paraplegici, e il singhiozzo non trattabile. E poi c’è la depressione: non il disturbo emotivo più grave, definito nel Dsm IV, ma la comune condizione disforica più lieve per cui i medici di base prescrivono spesso farmaci come il Prozac. E che dire infine del disturbo bipolare? Parlando in generale, più un farmaco è pericoloso, più grave o debilitante deve essere il sintomo o la malattia per cui esso è approvato. Di contro, più grave è il problema di salute, più il rischio è tollerato. Se il vantaggio è molto grande e il rischio molto piccolo, la medicina diventa un farmaco da banco. I farmaci da banco sono considerati talmente utili e sicuri che si consente ai pazienti di usare il proprio giudizio senza il permesso o il consiglio di un medico. Perciò oggi chiunque può acquistare e usare aspirina, per qualunque scopo. Ciò viene permesso perché l’aspirina è considerata sicura; costa “solo” da mille a duemila vite all’anno negli Usa. L’ibuprofene ed altri farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) possono essere acquistati senza ricetta perché considerati anch’essi molto sicuri: costano “solo” 10.000 morti all’anno. L’acetaminofene (Tylenol), un altro farmaco da banco, è responsabile di circa il 10% dei casi di insufficienza renale cronica. Al pubblico è anche permesso acquistare molti prodotti officinali i cui pericoli e la cui efficacia non sono stati determinati bene. Oggi nessuno può dubitare che, come ha detto il giudice amministrativo della Dea, Francis L. Young, la canapa sia “tra le sostanze terapeutiche più sicure che l’uomo conosca”. Se fosse nella farmacopea ufficiale, potrebbe seriamente aspirare al titolo di sostanza meno tossica di quel compendio. Nella sua lunga storia, essa non ha mai causato una sola morte per overdose. Infine, c’è la questione dell’approvvigionamento. Il governo federale attualmente fornisce la marijuana della sua coltivazione in Mississippi ai cinque pazienti che ancora rientrano nel “Compassionate Investigational New Drug Program”, un programma ormai interrotto. Ma sicuramente il governo non potrebbe o non vorrebbe produrre marijuana per le molte migliaia di pazienti cui verrebbe prescritta, non più di quanto faccia per altre medicine su prescrizione. Il prezzo della marijuana farmaceutica dovrebbe essere calmierato: non troppo alto, perché i pazienti non siano tentati di acquistarla sulla strada o coltivarla da sé; non troppo basso, perché le persone con problemi di salute marginali o fittizi ricoprano i loro medici di richieste di prescrizioni? Quando viene chiesto ai lavoratori di sottoporsi ai test delle urine, quali sarebbero i costi burocratici, e gli altri costi, per identificare coloro che usano la marijuana legalmente come medicina distinguendoli da coloro che la usano per altri scopi? Per realizzare le potenzialità della canapa medica nel contesto dell’attuale sistema proibizionista, dobbiamo risolvere tutti questi problemi, ed altri ancora. In un simile campo minato, il sistema di somministrazione sarebbe inefficiente e burocratizzato. Le commissioni, governative e mediche, incaricate di rilasciare le autorizzazioni pretenderebbero rigide restrizioni, mettendo in guardia i medici come se la canapa fosse una sostanza pericolosa ogni volta che fosse usata per qualunque nuovo paziente o scopo. Vi sarebbe un conflitto costante, con uno dei due esiti seguenti: i pazienti non avrebbero un beneficio pieno; oppure, pur di averlo, abbandonerebbero il sistema legalizzato per il mercato nero o per il proprio giardino o spazio privato.

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    Contro la follia del fondamentalismo

    Introduzione al Quaderno Viaggio nella Canapa. A Cura di Grazia Zuffa e Franco Corleone.





    Da quando il movimento per la marijuana medica ha assunto dimensioni internazionali, travalicando i confini degli Stati Uniti, Lester Grinspoon, il maggior esperto mondiale sulla canapa, non ha bisogno di presentazioni. Tuttavia, è affascinante ripercorrere la sua storia. Medico, psichiatra, è stato docente alla prestigiosa Medical School dell’Università di Harvard. Come spiega nel saggio iniziale di questo volume (Odissea della canapa), cominciò a studiare la canapa fin dagli anni Sessanta, quando si ripromise di scrivere un articolo scientificamente fondato a sostegno della tesi della pericolosità della canapa: erano gli anni della diffusione della marijuana nei campus studenteschi e Grinspoon pensava che un intervento su basi scientifiche avrebbe avuto un effetto dissuasivo più efficace dei richiami moralistici o della propaganda politica. Andò diversamente: più allargava e approfondiva la ricerca, più lo studioso americano si avvicinava alle conclusioni opposte: «Cominciai a pensare che le mie conoscenze erano largamente basate su miti, vecchi e nuovi - scrive Grinspoon nel saggio già citato - e che la mia formazione medica e scientifica ben poco mi aveva tutelato dalle informazioni distorte».
    Il suo primo scritto, uscito nel 1968, e poi il libro Marijuana Reconsidered riflettevano le sue scoperte: a confronto con altre sostanze psicoattive e anche con altri farmaci moderni considerati sicuri, quali l’aspirina, la canapa è una sostanza assai più sicura. Queste conclusioni fecero scalpore, naturalmente nell’America culla del proibizionismo: ma come, un docente di Harvard, un’autorità indiscussa in campo scientifico osava sostenere che la canapa era meno pericolosa dell’alcol e del tabacco?
    Se pensiamo che la stessa tesi, sostenuta trent’anni dopo dall’accademico di Francia Bernard Roques, ha di nuovo suscitato scandalo, meglio si capisce il coraggio politico e la statura umana, oltre che scientifica, di Lester Grinspoon.
    Non a caso, nella sua storia, l’impegno di ricerca si intreccia con la pratica clinica e la militanza politica. Grinspoon è sempre stato in prima linea nell’assistere i tanti pazienti che a lui si rivolgono per avere le informazioni sulla canapa, spesso rifiutate dai medici curanti. Il sapere proveniente dalle testimonianze dei malati è la base dell’altra famosa opera, Marijuana, the forbidden medicine. Grinspoon ha sempre difeso il valore delle evidenze aneddotiche a sostegno delle proprietà terapeutiche della canapa, anche in assenza di sperimentazioni cliniche controllate: è questa una delle sue argomentazioni preferite, ampiamente documentata in questo volume (cfr. Una ricchezza da sfruttare).
    Si farebbe torto a Lester Grinspoon a confinarlo al tema della canapa medica. La sua ricerca procede a tutto campo, così come a tutto campo è iniziata. Particolarmente interessante, a questo proposito, è la sua tesi circa la versatilità, com’egli la chiama, della marijuana, che non può essere circoscritta ai soli usi ludico e medico. C’è un terzo campo, di “potenziamento” delle facoltà umane (sensorie, di pensiero, dell’umore), che sta a cavallo fra i due, altrettanto fertile. Anche per questo, Grinspoon è scettico circa la possibilità, o l’opportunità, di scindere la battaglia per la legalizzazione degli usi terapeutici da quella per la decriminalizzazione della canapa. Così come non si è mai stancato di denunciare che i tentativi di creare farmaci derivati dalla canapa in alternativa alla marijuana, sono in realtà un «artefatto della proibizione». Da qui la polemica degli ultimi anni contro la «farmaceutizzazione» della canapa, com’egli la definisce; in particolare, contro la pretesa superiorità del Sativex (un farmaco creato dalla casa britannica G.W. Pharmaceuticals) sulla canapa inalata o fumata (cfr. Il fumo è la migliore medicina).
    La «medicalizzazione» o «farmaceutizzazione» della marijuana è un nodo politico cruciale, che vede opinioni differenti all’interno dello stesso movimento antiproibizionista; Fuoriluogo vi ha dedicato un dibattito con molti interventi, a partire dal 2001. Ma già due anni prima, Giancarlo Arnao aveva aperto il confronto con un articolo dal suggestivo titolo Liberare le droghe. Anche dal potere medico: commentando uno scritto di Thomas Szasz, egli individua i pericoli della «medicalizzazione» delle droghe, che rischia di sostituire una forma di controllo (quella poliziesca), con un’altra, più sottile ma anch’essa insidiosa (quella dei camici bianchi). Arnao rivendicava l’uso della cannabis non come espressione di un disagio, ma come un’esigenza connaturata all’essere umano. Questo problema abbraccia l’intera problematica droga, interessata a fondo dal ben conosciuto fenomeno di “patologizzazione della devianza”, e si riflette anche sul tema specifico degli usi medici della canapa: ha senso legittimare l’uso medico, mantenendo l’intolleranza, morale e penale, nei confronti degli usi non medici della canapa? E ancora: è possibile separare nettamente la funzione psicoattiva da quella terapeutica, privando il farmaco-canapa delle proprietà euforiche della marijuana?
    Come si è detto, Grinspoon non ha incertezze nel tenere insieme le due funzioni; così come nel legare i diversi aspetti della medesima battaglia (cfr. Anche lo high è terapeutico). Nell’intervista A carte truccate, di nuovo auspica la crescita di un movimento di pressione delle persone che usano la marijuana come terapia per rovesciare del tutto il proibizionismo. «La marijuana medica - sostiene - insegnerà alle persone che questa sostanza non è l’erba diabolica che il governo ci ha descritto per anni».
    Uno dei leit motiv dell’autore è la denuncia della persecuzione dei consumatori americani, una vera e propria caccia alle streghe responsabile fino ad oggi dell’arresto di 12 milioni di cittadini. La polemica attuale di Lester Grinspoon contro il fondamentalismo dei teocon di Bush è coerente con l’impegno di una vita per smascherare le menzogne che hanno imposto una «follia di massa» sulla canapa; e per denunciare l’asservimento al potere della scienza, o almeno di molti, troppi, sedicenti scienziati.
    La collaborazione di Lester Grinspoon con Fuoriluogo e con Forum Droghe ha avuto inizio grazie ai rapporti con il mondo americano di Giancarlo Arnao, nel 1998, con la pubblicazione del primo dei suoi fondamentali contributi sulla canapa, sulle sue applicazioni terapeutiche, sulle conseguenze della proibizione. Si tratta del drammatico processo contro un cittadino americano, arrestato in Malesia per possesso di marijuana, da lui utilizzata per curare il dolore cronico: Grinspoon racconta la sua testimonianza in tribunale in qualità di esperto internazionale di canapa medica, nel tentativo di salvare l’infelice che rischiava fino alla pena di morte. L’attività di consulente nei tribunali statunitensi fa parte della sua militanza politica: nonostante i pronunciamenti popolari che hanno imposto a molti stati americani di decriminalizzare la marijuana ad uso medico, il governo, appellandosi alla legge federale, ignora le leggi statali e continua a perseguitare i malati e i medici: così come attesta la testimonianza giurata nel caso Ashcroft versus Raich, anch’essa riportata in questo volume.
    Nel 1999, esattamente il 29 ottobre, Forum droghe organizzò a Bologna un incontro pubblico con Lester Grinspoon: fu un primo importante incontro fra lo studioso americano e l’intero movimento antiproibizionista italiano. Introduceva il seminario lo stesso Giancarlo Arnao, responsabile scientifico dell’associazione, un anno prima della sua scomparsa: a Giancarlo dobbiamo la spinta politica per dare avvio anche in Italia alla battaglia per la canapa medica.
    Da allora, il tema della medicina proibita è diventato centrale nella riflessione del giornale e strategico nell’azione politica di Forum Droghe: alla fine degli anni Novanta, fu pubblicato un quaderno di Fuoriluogo con la traduzione italiana del rapporto britannico della Camera dei Lord, che avallava autorevolmente le sperimentazioni con la canapa medica; nel 2000, durante la Terza conferenza nazionale sulle tossicodipendenze, fu presentato un altro quaderno speciale, il Libro Bianco sugli usi terapeutici della cannabis, preludio alla costituzione di un’associazione specifica. Negli anni successivi, altri gruppi e movimenti di pazienti sono scesi in campo, rivendicando il diritto alla cura.
    Sulle droghe, e sulla canapa in particolare, i cinque anni del governo Berlusconi, con l’approvazione in extremis del decreto Fini-Giovanardi, hanno riportato l’Italia indietro di decenni. La svolta impressa alla legislazione italiana pone il nostro paese alla retroguardia dei paesi europei. Il cardine attorno a cui ruota la nuova legge consiste nella codificazione dell’uguaglianza delle diverse sostanze psicoattive, all’insegna del principio ideologico «la droga è droga». È un approccio fondamentalista che non tollera distinzioni, interpretate come “eresie” al credo proibizionista. Anzi, la condanna più dura, prima morale e poi penale, è proprio rivolta alle droghe leggere, alla canapa, la pianta “corruttrice” delle menti e dello spirito. Nella relazione al decreto Fini-Giovanardi è indicato a chiare lettere l’obiettivo di impedire qualsiasi utilizzo della canapa, perfino dei farmaci derivati, a fine terapeutico: l’esclusione del principio attivo dalla tabella II (dove sono elencate le sostanze di valore medico) ha voluto - si dice - «eliminare il riferimento, foriero di equivoci, ad ipotetici prodotti farmaceutici a base di cannabis, non presenti nella Farmacopea ufficiale italiana» (sic!). Questa nuova norma di preclusione è stata varata nonostante le molte iniziative istituzionali trasversali prese fra il 2000 e il 2006: ricordiamo le mozioni di ben sei Consigli regionali (Basilicata, Friuli - Venezia Giulia, Lombardia, Sardegna, Toscana, Umbria) e di diversi Consigli provinciali e comunali, per sollecitare il Parlamento a discutere le proposte di legge nazionali per inserire nella Farmacopea i derivati della canapa (dronabinol e nabilone); per facilitare l’importazione di farmaci derivati disponibili in molti paesi europei; per promuovere sperimentazioni.
    Con la vittoria dell’Unione, si è aperta in Italia una fase nuova. Il 18 luglio 2006, la Ministra della Salute, Livia Turco, ha emanato un’ordinanza per autorizzare «l’importazione di medicinali a base di delta-9-tetraidrocannabinolo o trans-delta-9-tetraidrocannabinolo per la sommnistrazione, a scopo terapeutico, in mancanza di alternative terapeutiche, a pazienti che necessitano di tali medicinali»: è un primo passo per rimediare ai danni della Fini-Giovanardi, sulla scia di nuove iniziative regionali e locali.
    In Toscana, sta per iniziare la discussione di un progetto di legge che, tra l’altro, propone la sperimentazione della canapa terapeutica; in Liguria, il 18 agosto 2006, il Consiglio regionale ha dato il via libera alla sperimentazione del farmaco Bedrocan, contenente derivati naturali della cannabis. Il farmaco è commercializzato nelle farmacie olandesi già dal 2003. Il documento impegna la Giunta alla promozione di «una forte azione istituzionale» verso il Ministero della Salute con lo scopo di facilitare l’uso, nelle terapie del dolore, di farmaci contenenti derivati sintetici della cannabis, agevolando «le procedure previste per l’impiego»; all’approvazione di norme che consentano «la sperimentazione ad uso terapeutico dei derivati naturale» della canapa; ed infine all’invio di circolari e direttive ai medici di base, alle Asl e a tutte le strutture competenti «per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore».
    Anche il Consiglio regionale del Lazio, nel luglio 2006, ha approvato un ordine del giorno che impegna alla sperimentazione della canapa terapeutica. È stata anche depositata una proposta di legge, prima firmataria Anna Pizzo, che fissa le linee della sperimentazione.
    Infine, ma non meno importanti, le iniziative parlamentari: già all’inizio della legislatura, presso la Camera dei deputati, è stata depositata una proposta di legge con oltre trenta firme (Atto Camera n. 34, primi firmatari Marco Boato, Carlo Leoni, Ruggero Ruggeri, Graziella Mascia, Enrico Buemi) che prevede la depenalizzazione completa del consumo di tutte le sostanze, compresa la coltivazione domestica della canapa e la cessione gratuita, una efficace politica di riduzione del danno e alternative al carcere per i tossicodipendenti. È inoltre imminente una iniziativa legislativa del Ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, sulle identiche linee di intenti, con una indicazione esplicita di regolazione dell’uso terapeutico della canapa. Le scelte dell’Italia potrebbero favorire il ruolo dell’Europa per una strategia globale più tollerante e intelligente, lasciando alle spalle la fallimentare “guerra alla droga”, così come auspicato dalla Raccomandazione del Parlamento europeo approvata alla fine del 2004.
    La riforma della normativa italiana sulle droghe potrà finalmente dare una risposta al movimento, assicurando il diritto alla cura ai malati costretti alla clandestinità, offrendo nuove opportunità ai tanti pazienti che ancora oggi ignorano le potenzialità della canapa. Una sostanza che, come non si stanca di ripetere Lester Grinspoon, sarà prima o poi salutata come un farmaco eccezionale, al pari della penicillina. Non resta che augurarci che avvenga al più presto.
    Franco Corleone / Grazia Zuffa

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    GB: IL RAPPORTO, CANNABIS MENO DANNOSA DI ALCOL E SIGARETTE
    Fonte: Adnkronos
    'PROIBIZIONISMO HA FALLITO, MEGLIO LIBERALIZZAZIONE CONTROLLATA'

    Roma, 2 ottobre 2008 - La cannabis e' meno dannosa di alcolici e sigarette. Lo sostiene la Global Cannabis Commission della Ong Beckley Foundation, in un rapporto messo a punto in vista della revisione della politica delle Nazioni unite in materia di droga nel 2009. Nel documento, oltre a sottolineare il fallimento dell'attuale strategia proibizionista, si chiede un cambiamento di rotta. La proposta, destinata a sollevare non poche polemiche, e' di liberalizzare la marijuana all'interno di un "mercato controllato", soggetto a tasse, regole precise, obbligo di eta' minima per l'acquisto.

    Il rapporto, frutto del lavoro di un gruppo di scienziati, accademici ed esperti di droga e presentato oggi in una conferenza alla Camera dei Lord, parte da un dato piuttosto eloquente. Sono 160 milioni i consumatori di marijuana nel mondo. "Nonostante la cannabis abbia un impatto negativo sulla salute, inclusa quella mentale - si sottolinea nel testo - in termini relativi e' meno dannosa di alcol e tabacco".

    Un'affermazione ancora suffragata dai dati. "Storicamente - ricorda il rapporto - ci sono stati soltanto due morti al mondo attribuibili a questa sostanza, mentre alcol e fumo di sigarette sono responsabili di circa 150 mila decessi l'anno nella sola Gran Bretagna". La gran parte dei danni riconducibili al consumo di marijuana, e' la presa di posizione del documento, "e' il risultato del proibizionismo. Senza considerare che le politiche adottate nei confronti dell'uso di cannabis, draconiane o liberali che siano, sembrano non avere effetto sulla diffusione e sulla prevalenza dei consumi". L'alternativa di una "disponibilita' regolamentata", cioe' liberalizzare la sostanza con regole e controlli, limitando anche la quantita' di principio attivo negli spinelli, potrebbe "minimizzare i danni". Un suggerimento che difficilmente potra' essere raccolto dal Governo o dai Conservatori, entrambi contrari ad allentare le maglie della legislazione sul consumo di cannabis.

 

 
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