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  1. #1
    UNIDADE INDIPENDENTISTA
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    Predefinito CUMPOSTU su "IL GIORNALE" parla di indipendentismo.

    INTERVISTA A BUSTIANU CUMPOSTU DA "IL GIORNALE"
    DI SARDIGNA NATZIONE INDIPENDENTZIA

    1) Quale è il fondamento storico e sociale della causa indipendentista sarda?

    E’ lo stesso fondamento che ha motivato tutte le lotte di liberazione nazionale dei popoli privati della loro sovranità. La Sardegna non è Italia, fa parte dello stato italiano per contingenze storiche determinate da fatti più o meno importanti che hanno fatto in modo che l’ultimo conquistatore fosse l’Italia invece che la Francia o la Spagna. Se una tempesta, nel 1793, non avesse distrutto la flotta francese la stessa domanda che oggi lei mi fa in italiano me l’avrebbe fatta un altra giornalista in francese.
    Sappia anche che i tentativi, dei Savoia, di liberarsi della Sardegna furono tanti, tra i quali:

    - Ad Utret (1713), Vittorio Amedeo II si batté per avere la Lombardia, avuto in un primo momento la Sicilia ebbe poi la Sardegna nella quale, non contento, non mise mai piede ne lui ne i suoi successori fino al 1799 anno in cui vi giunse in esilio Carlo Emanuele Ferdinando IV solo dopo che Napoleone lo ebbe spogliato di tutti gli altri possessi in terraferma.
    - Nel 1797 , fu lo stesso Carlo Emanuele IV, , sperando di poter regnare su Parma, Firenze e Genova ad offrire la Sardegna al Direttorio francese, che prima gli rispose che non era più il tempo in cui le popolazioni potevano essere scambiate come merci e subito dopo, nel 1799, ne decretò la conquista, che fallì.
    - Vittorio Emanuele I che successe a Carlo Emanuele IV, degno figlio di padre continuò nel tentativo di svendita dell’isola, senza riuscirvi.
    - Vittorio Amedeo III, che successe a Vittorio Emanuele I, tentò di cedere la Sardegna alla corte di Vienna in cambio di un qualunque pezzo della Lombardia
    - I tentativi di svendere la Sardegna culminarono con il Cavour che prima offrì la Sardegna a Napoleone III, per portare nell’Italia unita Nizza e Savoia e poi apri una contrattazione con gli inglesi ai quali voleva cederla per soldi. Siamo nel 1860 la Sardegna non era considerata Italia ed era meno importante di Nizza e Savoia.
    Se uno solo di questi tentativi fosse andato in porto lei non si metterebbe neanche il problema di farmi la domanda.
    La Sardegna ha percorso la storia avendo momenti di sovranità e di sottomissione, è stata, fenicia, punica, romana, bizantina, vandala, aragonese, pisana, spagnola, sabauda ed austriaca ed è oggi italiana. Negli scaffali della mia libreria per ognuna di queste fasi storiche c’è un volume, lei pensa davvero che quello sulla fase italiana sia l’ultimo volume della serie? Lei pensa davvero che il mio popolo che è sopravissuto a tutti questi usurpatori voglia oggi rinunciare alla propria lingua, alla propria civiltà (intera come modo di interrelarsi con il proprio territorio e il proprio habitat), per diventare italiano?
    Le ragioni dell’indipendentismo nascono dal voler essere se stessi, sovrani nel proprio territorio e del proprio destino, per aprirsi al mondo con le proprie radici. I sardi non sono ne migliori ne peggiori degli italiani sono solo altri, come altri erano gli italiani nei confronti degli austriaci quando hanno fatto le lotte per liberarsi ed essere se stessi.


    2) Perché per la Sardegna si è parlato fin dall’inizio d’indipendenza e non di autonomia o separatismo come è accaduto, dopo l’unità d’Italia, e in vari momenti storici, per altre regioni italiane?

    Si è parlato di indipendenza semplicemente perché l’Italia è stata vista, come è, come l’ultimo conquistatore di turno dal quale bisogna liberarsi.
    Di autonomia ne hanno parlato i partiti ed i sindacati italiani per combattere la forte carica indipendentista che stava maturando nel popolo sardo. Autonomia è stato il narcotico che ha inertizzato l’indipendentismo ed ha aperto le porte all’integrazione ed all’italianizzazione forzata.
    Il separatismo in Sardegna non aveva e non ha senso in quanto la nazione sarda non si deve separare da nessuno ma si deve piuttosto liberare. La Sardegna non è un pezzo dell’Italia è una sua colonia alla quale essa ha imposto il suo stato, la sua lingua, la sua economia e la sua nazione.


    3) Viste le premesse storiche su cui si fonda l’indipendentismo sardo, non pensa che rivendicazioni dello stesso genere potrebbero essere avanzate da tutte quelle regioni che hanno fatto parte del Regno delle due Sicilie? Dal suo punto di vista simili rivendicazioni potrebbe considerarsi legittime?

    Non è nostro compito dare patenti agli altri, se ci sono “regioni” che ritengono di avere ragioni per rivendicare la sovranità sul loro territorio, lo facciano pure.
    Aggiungo anche che oltre alle nazioni storiche l’indipendenza in alcuni casi è stata rivendicata anche da nazioni di volontà. Gli Stati Uniti d’America sono il caso più evidente ma le stesse rivendicazioni della Padania possono configurarsi nelle ragioni di una nazione che ha un debole fondamento storico ma una forte ragione di volontà. Poco importa se la ragione di volontà nasca dal voler conservare privilegi invece che condividerli.
    Del resto la componente egoistica è un forte collante in grado di favorire aggregazioni separatiste che si vogliano distinguere dal tutto di appartenenza.
    Sulla questione legittimità è naturale che chi come me rivendica un diritto non lo può negare ad altri specialmente se estranei al proprio territorio nazionale. Nel caso specifico delle regioni che hanno fatto parte del Regno delle due Sicilie non ho dubbi che abbiano il diritto di rivendicare la propria statualità che un altro stato ha loro tolto con la forza delle armi. Nessuno di noi è disposto a considerare acqua fresca le invasioni armate di Garibaldi e company fatte passare per liberazioni. Lo stesso dicasi per il veneto ed altri. Lei dirà che in questo modo si sfalda l’Italia. E’ possibile che succeda ma certo non spetta a noi popolo dominato salvare il nostro dominatore, del resto gran parte dei precedenti dominatori della Sardegna non esistono più come stato. Se anche l’Italia non esisterà come non esistono più gli stati aragonese, punico, romano, pisano ed altri nostri precedenti dominatori vuol dire che non avevano ragioni storiche forti, come quelle del popolo sardo, per giustificare la loro esistenza.


    4) Esistono movimenti indipendentisti di paesi stranieri cui il movimento Sardigna Natzione s’ ispira o che prende a modello?

    I movimenti indipendentisti sono strumenti che una nazione oppressa si da per organizzare la propria lotta di liberazione nazionale ed è ovvio che lo strumento nasce ed opera in organicità al contesto che lo ha generato.
    Sardigna Nazione Indipendentzia è un’organizzazione organica alla rivendicazione di sovranità del popolo sardo ha molto in comune con altre organizzazioni indipendentiste come quelle basche, corse, curde, catalane, fiamminghe, scozzesi, gallesi ed altre ma sia nelle forme di lotta che nelle strategie ha fatto scelte autonome e organiche alla realtà in cui opera.
    Siamo, per esempio, per le forme di lotta pacifica ed alla luce del sole ma non condanniamo i movimenti indipendentisti che nella loro realtà hanno ritenuto opportuno adottare la lotta armata.


    5) Quali sono gli elementi che caratterizzano il movimento di cui lei è uno dei fondatori rispetto agli altri movimenti o partiti nati sulla spinta delle istanze indipendentiste dell’isola?

    Sono diversi, provo ad elencarle i principali in ordine sparso e non di importanza;
    - SNI non crede nel partito unico dell’indipendentismo ma pensa che diverse organizzazioni indipendentiste possano lavorare assieme. Non siamo settari e non ci piace il settarismo.
    - SNI non è un movimento di classe ma pensa che la lotta di liberazione nazionale debba essere fatta da tutti gli strati sociali della nazione sarda. Il cittadino sardo infatti non subisce l’oppressione coloniale in quanto appartenente ad una classe ma in quanto appartenente ad una nazione dominata.
    Se così non fosse implicherebbe automaticamente che la lotta di liberazione nazionale sia un sottoinsieme della lotta di classe e che l'indipendenza di una nazione non ha valore se a governare la nazione liberata è il capitalismo e non il proletariato. Per i fautori di questa tesi non cambia niente se a governare la Sardegna è il capitalista sardo o quello italiano. Se ciò fosse vero tutta la mobilitazione contro la globalizzazione sarebbe tempo perso in quanto nulla cambierebbe se al capitalismo italiano si sostituisse quello delle multinazionali americane, come sarebbero inutili altre lotte, quella di liberazione nazionale della Palestina e della Cecenia e quella contro l'invasione dell'Iraq in quanto non è scontato che la liberazione porti a soluzioni socialiste o comuniste. Significherebbe che una lotta di liberazione nazionale non può essere di tutto il popolo ma necessariamente solo di una parte di esso che poi la impone all'altra parte che se anche fosse d'accordo non può essere componente attiva solo perché non è di sinistra.
    Presuppone anche che;
    - un popolo oppresso nel quale prevale la componente non di sinistra perde il suo diritto all'indipendenza e lo riacquista solo nel momento in cui si decide di diventare di sinistra;
    - che se a governare l'Italia fosse la sinistra sarebbe molto più facile ottenere l'indipendenza del popolo sardo;
    - che all'interno di un ordinamento capitalista non si possono interrompere i rapporti di sudditanza e non ha senso ne giustificazione una lotta di liberazione nazionale. L'Italia sarebbe dovuta rimanere sotto il giogo austriaco, l'America una colonia inglese e non avrebbe avuto neanche senso combattere contro l'impero Hitleriano.
    - SNI non è un movimento purista ma pensa che possano concorrere alla lotta di liberazione nazionale anche singoli o organizzazioni che pur non essendo indipendentisti conclamati vogliano trovare spazi di condivisione con l’indipendentismo. Mi riferisco ai partiti autonomisti tipo il Partito Sardo d’Azione ed altri. E’ nostra intenzione costruire la Casa Comune dei Sardi.

    -
    6) Non c’è il rischio che le divisioni tra i sostenitori dell’indipendentismo e la nascita di più movimenti diano luogo a una dispersione di forze che renda più lontani gli obiettivi da raggiungere?

    Sono totalmente d’accordo ma nonostante i continui inviti da parte di SNI alle altre organizzazioni indipendentiste, in particolare ad IRS, per il momento l’obiettivo rimane lontano. Il dividi et impera è valido anche per gli indipendentisti sardi e si sa che la forza del dominatore aumenta in progressione geometrica con il frazionarsi del fronte indipendentista. Lo sbilancio di forze è attualmente tale che l’indipendentismo corre il rischio di diventare una simpatica nota di colore del popolo sardo. Nonostante l’indipendentismo abbia permeato tutta la politica sarda, compresi i partiti ed i sindacati italiani, se permarranno le divisioni non uscirà dalla categoria della simpatia e non riuscirà ad screditarsi come una proposta credibile e delegabile. Ciò non significa che ci sentiamo inutili o sconfitti anzi devo dire che gli obiettivi, intesi in termini di coscentizzazione del nostro popolo, sono andati oltre quanto potevamo sperare. Il popolo sardo è oggi consapevole di non essere parte del popolo italiano e di essere italiano solo nella sfera statuale. Nella nostra scala di valorizzazione ciò è moltissimo anche se in altre misurazioni, tipo quella elettorale, i valori non sono ancora soddisfacenti. SNI non è comunque un partito elettorale e partecipa alle elezioni solo per dare uno spazio di espressione a chi non vuole dare il voto ad una delle due facce della medaglia del dominatore italiano.
    7) Oggi, secondo lei, oltre a quello cui aderisce, quali sono gli altri movimenti che possono dare un contributo concreto alla causa dell’indipendenza sarda? E quali quelli che hanno esaurito la loro spinta ideale?
    Sicuramente IRS, che come SNI è un movimento pacifista e non di classe e che in parte proviene da una scissione di SNI. Purtroppo IRS è ancora chiuso in un posizione settaria e si sta allontanando da SNI per i suoi continui attacchi agli spazi condivisi che sono le pietre fondanti di una nazione ( lingua, bandiera e costante resistenziale ).
    Anche AMPI, a Manca pro s’Indipendentzia che è un movimento comunista, può, anzi deve, far parte fronte indipendentista anche se deve ancora prendere atto che la lotta di liberazione nazionale non è un sottoinsieme della lotta di classe e che il colonialismo non è una forma strumentale assunta dal capitalismo per sfruttare meglio i lavoratori sardi.
    Anche il PSd’Az può dare un contributo concreto alla causa indipendentista ma deve uscire dall’ambiguità e fare una netta scelta di fronte smettendola di puntellare gli schieramenti italiani di centrodestra o di centrosinistra. Il Partito Sardo d’Azione che è nato nel 1921 ed è nell’immaginario collettivo resistenziale dei sardi potrebbe avere un ruolo che i suoi dirigenti non si sono dimostrati all’altezza per svolgerlo davvero.
    In quanto al PARIS di Doddore Meloni lo ritengo un partito ad immaginem personam che, senza probabilmente volerlo, fa solo danno alla serietà dell’indipendentismo dandole un aspetto macchiettistico organico al concetto di indipendentismo sardo che si è consolidato nell’immaginario collettivo italiano.


    8) Secondo lei i cittadini sardi da quali di queste forze indipendentiste si sentono maggiormente rappresentati, e quanto effettivamente loro stessi sono indipendentisti?

    In Sardegna l’indipendentismo è una consapevolezza diffusa , il “ dobbiamo renderci autonomi” (intendendo chiaramente indipendenti), è una delle reazioni più spontanee alle angarie coloniali dello stato italiano. Ogni sardo si sente prima sardo come identificazione primigenia e poi italiano come cittadinanza statuale. In quanto alla rappresentatività dell’indipendentismo devo dire che nel sentidu dei sardi la categoria “indipendentismo” è monolitica e non frazionata come la militanza e i vari movimenti vengono facilmente confusi l’uno con l’altro ( specialmente SNI con IRS).

    9) Gli ultimi risultati elettorali non sembrano sostanzialmente discostarsi molto dal dato nazionale. Come mai ?

    Come già detto SNI non si è mai posta obiettivi strettamente elettorali se così fosse avremmo fatto altre scelte, nel campo delle alleanze per esempio. Con una legge elettorale maggioritaria non c’è spazio per chi non si accoda ai feudi italiani di centrodestra o centrosinistra. I risultati elettorali, per noi, non sono una misura, dell’incidenza della nostra azione politica. Non si può misurare la nostra azione con un sistema di misurazione organizzato da una struttura con la quale siamo in netto antagonismo. Il non avere consiglieri regionali o deputati non ci ha mai scoraggiato.

    10) Se il processo di riforme dello Stato andasse in una direzione federale anche dal punto di vista istituzionale, oltre che fiscale, avrebbe ugualmente senso che i sardi continuassero a rivendicare una volontà indipendentista?

    Lo stato italiano si può organizzare come meglio ritiene, per noi è del tutto ininfluente, non muterebbe il rapporto di dipendenza che lega una nazione senza stato con un’altra che ci vuole imporre il suo di stato. Il federalismo è un contratto tra uguali, nel quale ognuno degli uguali ha la facoltà di scioglierlo, altrimenti è una riverniciatura unilaterale della dipendenza. Se con qualcuno il futuro sardo si vorrà federare lo vorrà fare con l’Europa e non certo con chi gli ha negato la storia, la lingua, distrutto il territorio e negato la soggettività nazionale.

    11) Da più parti si mette in discussione l’utilità dell’esistenza delle regioni a Statuto speciale allorché andrà in vigore la legge sul federalismo fiscale. Lei e il suo movimento che ne pensate in merito?

    Premesso che secondo i dati del Sole 24 ore la Sardegna è, con un saldo attivo tra tributi interni e spese di 775 € pro capite, la prima tra le tre uniche regioni “autosufficienti” e dunque in grado di reggere il federalismo fiscale. SNI è del parere che gli statuti speciali, fregature durate anche troppo, siano da superare e si debba andare verso la Carta di Sovranità del Popolo Sardo.


    12) Se contrari, come e con quali “ armi” intendete contrapporvi a una legislazione che vada in quella direzione?

    Nel nostro cervello le categorie emozionali legate a quanto succede in Italia non ci sono più per cui il federalismo fiscale appare sempre come un’azione imposta che dobbiamo subire come avremmo dovuto subire qualsiasi altra riforma istituzionale o fiscale che non preveda la nostra indipendenza. C’è da dire che attualmente i sardi provvedono totalmente al finanziamento della sanità, dei trasporti e della gestione del territorio e che dal 2010 le entrate finanziarie della Sardegna saranno assicurate dai 7/10 di tutte le imposte (IRPEF, IRPEG, ACCISE, IVA ed altro) sui redditi prodotti nell’isola, compresi quelli delle imprese che hanno sede sociale fuori. Tutto ciò si concretizza nel fatto che finalmente i sardi avranno il dovuto che supera di circa 1500 milioni di euro le attuali entrate trasferite dallo stato. Considerato che i sardi siamo appena 1.600.000 si capisce subito da dove derivino i 775 € di attivo pro capite. Se passerà il federalismo fiscale lo subiremo ma, non solo non ci metterà in crisi, ma saremo in grado di contribuire al fondo di solidarietà che detta forma fiscale prevede. La nostra forzata meridionalizzazione è stata un’operazione politica necessaria ai partiti ed ai sindacati italiani per convincere i sardi di essere miseri e non poter bastare a se stessi, per poterli facilmente clientelizzare. I sardi dovevano pensare all’Italia come una madre benevola e generosa e non come una matrigna vorace che non dava ma toglieva. Già dal 1985 però, la Fondazione Agnelli aveva evidenziato che la Sardegna riceveva dall’Italia 9000 miliardi di lire in meno all’anno rispetto a quanto dovuto in base all’art. 8 dello statuto speciale della Sardegna. Questo dato è stato artatamente nascosto fino a che su nostra segnalazione al presidente della regione, Soru, ( da notare che lo avevamo già segnalato ai inutilmente ai suoi predecessori e reso pubblico in più occasioni) che aprendo la vertenza entrate ha rivendicato il credito, (riconosciuto e rateizzato per evidente insolvenza) della Sardegna nei confronti dell’Italia che dal 1995 ( non viene considerato quello dal 1948 al 1995 perché pregresso) ammonta a quasi 10 miliardi di euro.

    13) In uno scenario internazionale e nazionale in via di radicale mutamento rispetto alla realtà del dopoguerra, quando si affermarono le prime rivendicazioni e i primi partiti indipendentisti, pensa che sia ancora attuale ostinarsi a rivendicare l’indipendentismo per la Sardegna?

    Non solo ritengo sia attuale ma penso che sia ineluttabile. Per la prima volta nella storia del mondo gli scontri tra stati che prima si risolvevano nei campi di battaglia oggi grazie all’EUROPA si risolvono seduti in poltrona intorno ad un tavolo. L’EUROPA ha trasformato gli scontri armati in confronti politici tra stati ma ha lasciato fuori gli scontri tra stati-nazione e nazioni senza stato. Questi scontri anche se interni ai singoli stati, che sono anche di tipo armato o possono diventarlo, sono in grado di turbare il progetto Europa e di fermarne gli avanzamenti costituzionali. Se l’Europa vuole andare avanti deve costringere gli stati-nazione a trasformare gli scontri, armati o no, con le nazioni senza stato in confronti politici. La questione basca, per esempio, che ha causato molti morti e 700 incarcerati deve essere accettata, dallo stato spagnolo, come una questione politica e non militare. L’Europa deve fare in modo che ciò succeda. L’Europa è un modo nuovo di aggregare che non può basarsi su soggettività vecchie, deve pensare a nuove soggettività basate sul rispetto dei popoli e delle nazionalità. Del resto sarà inevitabile il depotenziamento degli stati che delegheranno sempre più poteri all’Europa e diventeranno “Regioni” , Regioni d’Europa, ma sempre regioni. Il legante interno a queste nuove soggettività non potrà più essere la statualità e le sue funzioni ma piuttosto gli spazi condivisi caratteristici dell’essere popolo e dell’essere nazione ( lingua, cultura, territorio, indole, civiltà ed identificazioni primigenie). La Sardegna, pur avendo tutte le caratteristiche di nazione, in Europa oggi non esiste mentre esistono collettività più piccole, Malta , Montenegro, Cipro ed altre. I sardi come altri 50 milioni di cittadini europei delle nazioni senza stato vogliono uscire dal bagagliaio dei loro stati-nazione ed aprirsi all’Europa ed al mondo. L’Italia ci separa dal contesto non ci fa esistere. La nostra indipendenza la vogliamo costruire aumentando la dipendenza, vogliamo dipendere dalla Francia, dalla Grecia, dall’Inghilterra, da tutta l’Europa è la dipendenza unilaterale che ci impedisce di esistere.
    14) L’idea indipendentista non rischia di essere superata nello stesso modo in cui è ormai evidentemente superato il momento storico da cui essa era nata, rimanendo così più un sogno romantico di pochi che un bisogno collettivo? O lei pensa che non di sogno si tratti, ma di una possibilità reale?
    Penso di aver già risposto a questa domanda ma aggiungo. Sono gli stati-nazione che sono fuori dal loro momento storico e che sono strumenti di aggregazione obsoleti che impediscono ad altre soggettività di concretizzarsi e liberare potenzialità represse ed oggi necessarie a tutti.


    15) A fronte di un’indipendenza politica, qual è il progetto di società per la Sardegna, sia dal punto di vista dei rapporti economici che sociali, proposto dal suo movimento?

    Chi combatte per liberare il proprio popolo da una sudditanza combatte per un ideale di libertà, per un altro mondo possibile basato sull’eguaglianza e non sulla discriminazione, è contro ogni tipo di oppressione e quindi anche contro quella sociale.
    L’indipendentismo è di fatto contro l’imperialismo, il liberismo e la cosiddetta globalizzazione, nuove forme di un sistema capitalista, ne attacca i capisaldi, che sono gli stati-nazione, ne mette in forse la struttura e la funzionalità.
    Lo stato-nazione ha ormai perso il suo compito di organizzatore sociale del proprio popolo, ( stato sociale) si è trasformato in stato della sicurezza ( ordine, sicurezza dei cittadini, pace/pax), allo scopo di difendere il mercato ed alcuni settori della società da possibili attacchi dei settori sfavoriti e dei popoli oppressi.
    La soggettività ( stato o forse meglio Zudicadu) che vogliamo per la Sardegna indipendente non è una copia degli attuali stato-nazione, nasce dalla lotta contro un sistema e di quel sistema non potrà mai farne parte.
    Per l’ordinamento sociale del nostro popolo, faremo tesoro della nostra storia e della nostra cultura, alla base di esso sarà l’uguaglianza dei diritti, le pari opportunità, la tutela dei deboli ed uno stato sociale in grado di assicurare i servizi, il lavoro, la casa, l’istruzione ed un tenore di vita il migliore possibile.
    Questo tipo di società bisogna prepararla e il nostro impegno in quel senso deve essere altrettanto intenso ed assiduo quanto quello per l’indipendenza, senza stabilire priorità nell’impegno ma consapevoli che senza l’indipendenza mai saremo attori de nostro ordinamento sociale.


    16) Dagli anni 60 in poi, lo sviluppo in campo imprenditoriale e economico della Sardegna, è stato segnato da scelte di politica nazionale e internazionale, piuttosto che da proposte e attività nate sul territorio. Come si sono posti al riguardo i vari movimenti ispirati all’indipendentismo?

    Non essere riusciti a evitare o almeno arginare la colonizzazione economica, politica e , in parte, anche militare, non è il sintomo di una impotenza e incapacità di questi movimenti d’incidere in concreto sulla realtà dei fatti?
    Non poteva essere altrimenti lo scontro tra il cosiddetto “sviluppo italiano” e il “malessere sardo” è stato impari ed ha prodotto un disastro economico ed ambientale difficilmente riconducibile. Premetto che non crediamo nel modello unico di sviluppo, di stampo occidentale, da imporre agli altri che per l’occasione vengono incapsulati nel modello del sottosviluppo, pensiamo invece che sia possibile una pluralità di processi: tanti percorsi di sviluppo e di politiche sociali quanti vengono resi possibili dalle pluralità delle situazioni (nel tempo e nello spazio) e dalle loro modalità di cambiamento. E’ l’esportazione di quel modello unico che ha fatto da copertura ad operazioni di conquista imperialistica che imponendo la supremazia dei popoli portatori dello sviluppo su quelli del non-sviluppo, ha diviso i popoli in colonizzatori e colonizzati, in primo mondo e terzo mondo ed ha permesso di imporre patrie ed integrazioni forzate ai popoli tenuti in sudditanza. Si è imposta la rottura per impedire la continuità, si è usato il modello di sviluppo come arma economica e politica, per creare nuovi mercati e nuovi territori dove smaltire i veleni prodotti dal modello unico. Uno studioso del settore (Ignacy Sachs ) afferma che lo sviluppo si rivela come “ Una partita animata da una forte ostilità tra la società civile, da una parte, e la coalizione stato-forze del mercato dall’altra che non può che finire, inevitabilmente nel cattivo sviluppo”. In Sardegna il risultato non può essere che peggiore perché alla coalizione stato-forze del mercato si aggiunge la borghesia comporadora o borghesia notarile ( secondo la definizione di A. Merler ) che con le sue componenti, politiche, sindacali, funzionariali, di intellettuali organici e di piccoli capitalisti suta mesa, hanno servito messa allo stato italiano nella “funzione” che aveva l’unico scopo di impedire un vero sviluppo autocentrato e perpetuare la precarietà e l’assistenzialismo. Non poteva essere altrimenti per un modello di sviluppo che nasce da una sintesi capitalistico-marxista che pone in primo piano i diritti di classe dell’individuo ( salario, alimentazione, casa etc.) e non solo trascura i diritti sociali, culturali e di popolo ma li comprime perché, secondo loro, contrari all’internazionalismo capitalista e a quello proletario. E’ in questo contesto che l’industrializzazione selvaggia della Sardegna ha trovato, negli anni 60-70, borghesia comporadora, sinistra parlamentare e gruppi extraparlamentari comunisti, uniti nella lotta per sostituire i pastori ed i contadini con la classe operaia. Per il successo di quel modello di sviluppo, che aveva solo obiettivi politici e non economici, era necessaria la nostra debolezza, era necessario tagliare l’erba sotto i piedi ad organizzazioni e partiti che rivendicavano ai sardi la sovranità sulle loro risorse e sul loro territorio, essi operavano sul tessuto sociale che li aveva espressi, erano pesci nella loro acqua e dunque pericolosi. E’ stata la concomitanza ideologica tra stato italiano e politica italiana che ha dato potenza all’operazione sviluppo e ne ha determinato il successo. La realtà sarda era diversa, non era adatta allo stato perché non integrata nella nazione italiana ma non era adatta neanche alle griglie di interpretazione e di controllo sociale del clientelismo democristiano e dell’intruppamento politico dei sindacati e dei partiti di sinistra italiani. Di necessità dunque la santa alleanza. Stato, capitalisti, destra, centro, sinistra ed estrema sinistra italiani, si sono uniti nella conquista della società sarda certi ognuno di portare a casa il proprio bottino; allo stato l’integrazione nazionale dei sardi e la sua legittimazione, ai capitalisti i contributi stanziati, alla destra e al centro i carrozzoni clientelari, alla sinistra ed ai sindacati gli operai da intruppare e alla sinistra rivoluzionaria la speranza della rivoluzione proletaria. Devo ammettere che forse potevamo fare di più per opporci alla “colonizzazione” ma le forze in campo nemico avevano con loro non solo risorse economiche e politiche ma anche ideologiche in grado di imporre una scala di valorizzazione che ha costretto la nostra resistività nella sfera della negatività. Alle forze di “occupazione “ italiane si è subito aggiunta una classe intermediaria sarda, la borghesia comporadora, che dall’intermediazione ha avuto genesi e ha tratto privilegi . In quegli anni sono nate, in Sardegna delle vere e proprie agenzie della dipendenza, momenti organizzativi, istituzionali, produttivi ed ideologici, interni al contesto dipendente, finalizzati a garantire il funzionamento della dipendenza e l’accettazione del modello di sviluppo dipendente. La collaborazione tra le agenzie e la santa alleanza italiana è subito solida e fattiva. La borghesia comporadora ha immediatamente capito che doveva la sua nascita alla dipendenza e che solo perpetuando la dipendenza poteva continuare ad esistere, prosperare e raccogliere le briciole del suta mesa.


    17) Come legge l’occupazione di quest’estate dell’Isola di Mal di Ventre da parte di Salvatore Meloni, l’indipendentista del Partitu sardu pro s’inpendentzia? Pensa anche lei, come lui, che per dare visibilità alle cause giuste sia legittimo ricorrere a gesti estremi?

    Intanto le dico subito che non mi pare che si tratti di un gesto estremo anzi penso proprio che sia un’azione a rischio zero. Capiamo l’esigenza di visibilità Doddore Meloni ma il prezzo pagato in serietà dall’indipendentismo è troppo alto. Purtroppo quell’azione, anche se non volutamente, si presta ad essere strumentale e organica ad un’azione “concertata” che vede in campo romanzieri, saggisti, musicisti che in maniera soft ma efficace tendono a fare dell’indipendentismo sardo un piato da servire al tavolo dell’immaginario collettivo italiano.
    Nell’immaginario collettivo italiano, l’indipendentismo sardo, è arretratezza, colore, non civiltà, ignoranza, banditismo formale e folclore. Mancava la faccia turistica, con la repubblica di Malu Entu siamo al completo e presto al ristorante del re di Tavolara si chiederà di aggiungere quello del presidente di Malu Entu.


    30/10/2008
    Bustianu Cumpostu

  2. #2
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    Ma l'intervista, peraltro interessantissima, uscirà il 30 ottobre?

  3. #3
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    Citazione Originariamente Scritto da Luca Visualizza Messaggio
    Ma l'intervista, peraltro interessantissima, uscirà il 30 ottobre?
    credo ci sia un errore nella data. mi risulta sia giá stata pubblicata

  4. #4
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    L'intervista è davvero interessante,
    qualcuno riesce a postarla sul sito Padania,
    così la leggono anche altri?
    Grazie!

 

 

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