Il crack demografico


Per spiegare le cause del calo demografico si fa riferimento a parametri economici o a imponderabili fattori psicologici come lo stress metropolitano. Ma è pur vero che nonostante la crisi in borsa il nostro tenore di vita rimane più alto di quello dell’Ottocento e che lo stress di una metropoli contemporanea sarà grande, ma vivere in un comune del basso medio evo, allietato da epidemie ricorrenti, guerre civili sanguinose e possibili invasioni, non significava certo vivere nella fattoria del mulino bianco.

A un certo punto nella storia sopraggiunge la crisi demografica. Si accompagna di solito ad una stanchezza di vivere, ad una crisi che scuote i fondamenti stessi della civiltà. In epoca moderna, alcuni antropologi hanno cercato di studiare le dinamiche che reggono la demografia, ricorrendo a spiegazioni complesse (etiche, economiche, gestionali) per spiegare il motivo per cui i contadini tendono alla fecondità spensierata, mentre i borghesi si compattano in famiglie “nucleari”. Tra gli altri l’antropologo tedesco Arnold Gehlen ha mostrato come il tasso di riproduzione tenda a diminuire mano a mano che si sale lungo la scala della istruzione o della buona remunerazione economica. Per questo, quando Mussolini lanciò in Italia la campagna demografica ad affollarsi di figli furono soprattutto i bassi napoletani, più che le case della buona borghesia ligia a parole alle direttive del regime.

Il mondo contemporaneo presenta oggi tutta la varietà delle dinamiche demografiche. Cina e India uniscono una tumultuosa crescita economica ad un’altrettanto imponente crescita demografica: i loro governi giungono al punto di imporre leggi draconiane per frenare il più naturale degli impulsi. L’Africa appare invischiata in una tragica forma di darwinismo pratico: molte nascite, per bilanciare le troppe morti per fame. Tuttavia gli studiosi di estrazione cattolica fanno notare come proprio nelle zone dove il cattolicesimo si è esteso, portando istruzione e una certa disciplina del lavoro, le nascite si siano stabilizzate su livelli più equilibrati.

Il Giappone invecchia così come l’Europa, ma preferisce affidarsi ai robot domestici piuttosto che aprire le porte di casa a colf e “badanti” provenienti dai paesi più poveri. Nell’Europa dell’Est la tragica stagnazione del comunismo ha portato con sé anche un collasso demografico. Tuttavia due esempi di società occidentali indicano una controtendenza rispetto alla tendenza demografica negativa delle popolazioni di origine europea: la piccola Irlanda e gli Stati Uniti.

L’Irlanda si mantiene ”giovane” e feconda: una fecondità che non è più sintomo di arretratezza, ma che si accompagna ad una vivace dinamica economica. Le famiglie statunitensi, soprattutto quelle fortemente ispirate da valori religiosi, mantengono un tasso alto di fecondità: siano esse bianche o nere. Laddove si conserva uno spirito attivo, intonato a un fresco idealismo morale o a una ispirazione religiosa del vivere, la fecondità si mantiene nei suoi standard ottimali. Dove invece prevalgono il vivere alla giornata, il materialismo instillato da mille cattivi maestri, l’illusione di una adolescenza protratta fino alle soglie dei quaranta anni la demografia langue, e forse - per misteriose sincronicità - la sterilità aumenta.

Padoa-Schioppa scriveva qualche tempo fa sul Corriere della Sera che «la recessione non ha solo cause economiche ma anche culturali» e identificava proprio una di queste cause nell’invecchiamento della popolazione: «Invecchiamento significa meno idee nuove, minore gusto per l’avventura, tendenza a privilegiare la rendita e la sicurezza… ed anche in definitiva meno futuro e più solitudine». A sua volta il demografo Dumont, invitato a parlare a Roma dalla Fondazione Rebecchini, contesta che il declino demografico sia una fatalità biologica. Il demografo francese punta il dito contro le responsabilità dei politici: «Oggi siamo in un Europa che non assicura la giustizia – leggiamo negli Atti del seminario sulla crisi demografica organizzato dalla Fondazione Rebecchini. Se una coppia fa ricorso all’aborto, in molti paesi d’Europa l’aborto è pagato da fondi pubblici. In compenso se un’altra coppia vuole un figlio, le politiche familiari sono spesso insufficienti».

Il dato interessante è che quando politiche familiari efficienti vengono messe in atto, l’indice demografico in poco tempo risale a livelli accettabili. E per politiche familiari si intendono non solo gli aiuti fiscali ma anche la creazione di asili nido, strutture, servizi. Oggi Islanda, Irlanda, Francia, Norvegia, Finlandia, Danimarca e Svezia sono ai primi posti nella classifica di fecondità europea: vicini al traguardo minimo del pareggio demografico tra nascite e morti. La Francia che per prima aveva conosciuto la depressione demografica ha reimparato ad amare i bambini. I Paesi scandinavi sembrano aver compreso che la felicità di una famiglia feconda è superiore a qualsiasi traguardo di “liberazione sessuale”. L’Italia e la Spagna zapateriana rimangono invece fanalini di coda.

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Tratto da Liberal del 18 ottobre 2008.

Alfonso Piscitelli


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