http://www.liberazione.it/a_giornale...ubb=01/11/2008
Liberiamoci dall'identità che ci spinge verso il passato
Franco Berardi Bifo
C'è un abisso nel prossimo futuro dell'umanità, e se camminiamo con la testa rivolta all'indietro ci finiremo dentro rovinosamente. Così Marcello Cini conclude il suo recente articolo che io condivido nella lettera e nello spirito.
E allora partiamo di qui. Cos'è l'abisso che ci troviamo di fronte? Gli effetti della crisi finanziaria si manifesteranno - si stanno già manifestando, e siamo solo ai primi segnali - con un'ondata di licenziamenti, disoccupazione di massa, immiserimento della società. E' facile prevedere che la popolazione occidentale reagirà con un moto aggressivo che avrà dapprima caratteri di egoismo rabbioso, di bellicoso nazionalismo e di violenza razzista. Dobbiamo mettere in conto che una fase quasi inevitabile di guerra civile interetnica devasterà la vita sociale per alcuni anni: la cultura consumista, lo spirito di competizione hanno creato le condizioni di una fiammata di razzismo proprietario che non potremo evitare con le parole. Ma quella violenza non restituirà alla minoranza occidentale bianca la supremazia di cui ha goduto nei cinque secoli moderni, perché non ci sono più né le condizioni produttive né quelle militari perché l'egemonia occidentale possa sopravvivere.
La livida frustrazione è destinata a trasformarsi nel medio periodo in qualcosa di molto differente. Una nuova onda di solidarietà, un nuovo sentimento di generosità sono destinati a diffondersi. Li possiamo già intravvedere nei movimenti studenteschi di questi giorni, e crescerà. Anche se per un certo periodo quest'onda sarà minoritaria è nostro compito alimentarla con le parole e con la costruzione di forme nuove di organizzazione.
Eccoci al punto. Quali forme nuove di organizzazione sociale possiamo proporre, creare, sostenere?
Il tentativo di rianimare l'identità comunista novecentesca è a mio parere il contrario esatto di quello che occorre.
Non perché il comunismo sia morto. Credo anzi che nel futuro sentiremo di nuovo risuonare l'antico grido dei seguaci di Fra' Dolcino e di Thomas Munzer: Omnia sunt communia.
Ma nell'esperienza del ventesimo secolo la parola comunismo ha finito per significare quanto di peggio oggi si possa desiderare: la conformità delle esistenze e il predominio delle nomenklature, non certo la comunità dei beni da cui può sorgere la piena diversità delle esistenze singolari. Questo significa comunismo secondo il senso comune, e solo chi si tappa le orecchie e gli occhi può non riconoscerlo.
La parola comunismo - alla luce dell'esperienza del ventesimo secolo - è venuta a significare anche alcune altre cose: rivoluzione diretta da una minoranza organizzata, conquista del centro del potere capitalista, dittatura del proletariato, partito unico. Vi è forse qualcuno che possa attendersi realisticamente, o anche solo desiderare, queste evoluzioni per la storia del ventunesimo secolo?
Di fronte all'abisso spalancato dal privatismo e dalla competizione possiamo forse pensare alla costruzione di un'avanguardia rivoluzionaria, possiamo forse pensare all'istaurazione della dittatura del proletariato? Cerchiamo di essere sinceri con noi stessi: potremo affrontare il futuro soltanto se sapremo cancellare il '17 dalla nostra immaginazione.
L'identità non è sempre una buona cosa (io penso anzi che in generale sia una cosa pessima). L'identità sottomette l'immaginazione del futuro alle categorie interpretative ad ai modelli di comportamento che abbiamo acquisito nel passato.
Alberto Burgio sostiene che l'89 non ha chiuso il processo di trasformazione, e io sono d'accordo con lui. Direi anzi che gli eventi catastrofici di questi ultimi mesi segnano proprio il passaggio oltre la sfera dell'89. Ma sarebbe suicida non imparare niente dall'esperienza del passato, sarebbe stupido non far tesoro della lezione dell'89. Quella lezione, è ora di dircelo con chiarezza, consiste in questo: la rivoluzione sovietica è stata un errore colossale. Non le sue evoluzioni successive (lo stalinismo, la burocratizzazione, il gulag) l'89 ha liquidato, ma la rivoluzione stessa.
La rivoluzione sovietica ha spostato la storia della lotta di classe sul binario sbagliato, sul binario di una contrapposizione statalista invece che sul piano dell'autonomia progressiva della società dal capitale.
Con 1989 il concetto stesso di rivoluzione è uscito dalla sfera del concepibile. Rivoluzione significa comando della volontà umana sugli eventi, governo finalizzato del processo sociale, abolizione di una classe e sua sostituzione con un'altra nel luogo del potere centralizzato. Oggi sappiamo che la volontà umana non può governare linearmente l'infinita complessita sociale, e che nessuna formazione sociale può essere cancellata. Ripartiamo di qui per ragionare sul futuro: non più in termini di rivoluzione, ma in termini di autonomia. Da questo punto di vista Martov aveva ragione e Lenin torto: il movimento operaio può vincere quando sa accrescere l'autonomia della sfera sociale dal dominio capitalistico, non quando abolisce il capitalismo, perché nella storia l'abolizione non esiste. Abolizione (Aufhebung nella lingua di Hegel) è una parola che non vuol dire niente quando si tratta di società, di cultura, di economia.
Quali forme organizzative possiamo immaginare e proporre per l'epoca turbinosa che ci attende?
Credo che nei prossimi anni vedremo moltiplicarsi le esperienze di vita extra-economica, le zone di resistenza umana, le strutture di solidarietà e di condivisione, i movimenti di appropriazione più o meno pacifica. Quello è il terreno su cui dobbiamo agire. Redistribuzione del reddito e riduzione del tempo di lavoro saranno l'orizzonte verso il quale una parte crescente della società andrà muovendosi. Il reddito di cittadinanza indipendente dal lavoro sarà l'obiettivo generale di una nuova ondata di lotte, di azioni quotidiane, di gesti non sempre legalitari di appropriazione.
Se vogliamo essere parte di questo processo liberiamo la nostra immaginazione dall'identità, che ci costringe a guardare verso il passato. Perché saggio è colui che molto ha visto, nulla ha dimenticato, eppure sa vedere ogni cosa come se fosse per la prima volta.
01/11/2008